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Le Buone Notizie

Rubrica curata dalla nostra associata Elena Corna



14-L'ombrello più bello




Il panda gigante, specie iconica per la difesa degli animali e dei loro habitat, è stato dichiarato fuori pericolo; non è più ufficialmente a rischio estinzione. A spingere l’Iucn (International Union for Conservation of Nature) a questa decisione è stato l’aumento della popolazione di panda, dato matematico che ha permesso la revisione dello status del panda, che passa da specie a rischio estinzione a specie vulnerabile. La popolazione di panda giganti in natura è cresciuta da circa 1.100 esemplari negli anni Ottanta a 1.900 nel 2023. Un dato molto confortante, se si pensa che nel 1965 lo stesso animale era stato definito come ‘rarissimo’.  La Cina ha deciso tuttavia, e giustamente, che la protezione dei panda giganti non si allenterà, come ribadiscono i portavoce della China’s Forestry and Grassland Administration.

Secondo le loro dichiarazioni, in Cina i panda giganti sono ancora animali selvatici protetti di prima categoria anche perché sono considerati una ‘specie ombrello’. Una specie ombrello è una specie solitamente in cima alla catena trofica, un animale o anche una pianta, la cui tutela protegge anche indirettamente molte altre specie nella comunità e il loro habitat. La Cina si è quindi molto impegnata negli ultimi anni con azioni a beneficio della fauna. Il miglioramento delle condizioni di vita della fauna selvatica cinese è dovuto all’impegno del Paese nel creare un sistema piuttosto ampio di riserve naturali, con lo scopo di proteggere vaste aree di ecosistemi naturali in modo sistematico e completo. Tanto che alla fine del 2019 la Cina aveva 11.800 riserve naturali, che rappresentano il 18% della superficie del Paese. Una misura necessaria, perché la riduzione degli habitat naturali del panda e la drastica riduzione delle riserve di bambù (il suo cibo) aveva portato quasi all’estinzione un animale che ha oltretutto un bassissimo tasso di natalità. Oggi la tutela di questa creatura è sentita come un dovere imprescindibile, anche perché iI panda ha rivestito un ruolo importante per la Cina anche dal punto di vista politico, tanto che fu creata l’espressione “diplomazia del panda”. Tutto iniziò, almeno così si racconta, nel 1972 durante la storica visita di Nixon a Pechino. Pare che la moglie di Nixon sia stata conquistata dai panda e allora il premier Zhou Enlai ne regalò una coppia che finì allo zoo di Washington. Spiega Francesco Mattogno: È una storia che viene ricordata perché da sola riesce a racchiudere tutti i punti salienti della diplomazia dei panda. Gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese avevano appena cominciato a parlarsi, dopo oltre vent’anni di tensioni, e la donazione dei panda simboleggiava la volontà di Pechino di aprirsi al dialogo con Washington. Non valeva solo sul piano metaforico. Inviare i panda allo Smithsonian’s era anche un modo per avviare una prima forma di cooperazione scientifica tra le parti, volta a favorire la tutela della specie, che si sarebbe poi rafforzata nei decenni successivi.

Esisteva inoltre tutto un ragionamento legato al soft power, che vale ancora oggi. I panda sono «dolci», carini, adorabili. Spedirli all’estero permetteva alla Cina di presentarsi con un’immagine molto diversa da quella di pericolosa “minaccia comunista”, come la ritenevano gran parte degli Stati occidentali.(1)

Da allora, la Cina prima regalò e in seguito prestò agli zoo di vari Paesi numerosi esemplari di panda denominandoli “animali ambasciatori di buona volontà” (Animal Goodwill Ambassadors). Racconta ancora Mattogno che Deng Xiaoping ha poi consolidato la diplomazia dei panda, creando la forma di contratto di prestito utilizzata ancora oggi da Pechino. Di fatto i panda vengono affittati in coppie (un maschio e una femmina) dai paesi che li ricevono: tendenzialmente la durata del prestito va dai 10 ai 15 anni, con varie opzioni di prolungamento, e costa allo Stato ospitante fino a 1 milione di dollari all’anno. Ci sono poi altre clausole. Una di queste prevede che tutti i cuccioli nati dalla coppia siano di proprietà cinese, come i genitori, e che debbano essere portati in Cina entro i 4 anni di età.

Oggi ci sono almeno 728 panda negli zoo e nei centri di riproduzione di tutto il mondo. Alcuni di questi stanno ora tornando in Cina nel tentativo di accelerare la diffusione della specie, anche perché è ormai chiaro che la vita in cattività nuoce ai panda, com’è ovvio. Nuoce a tutti quanti. Si è osservato che i panda giganti che si trovano al di fuori della propria normale latitudine, in particolare tra i 26 e i 42 gradi nord, sono più letargici; inoltre, in molti zoo i panda mostrano comportamenti anomali, come il continuo camminare avanti e indietro, il dormire eccessivamente o lo stare per ore in attesa davanti alla porta aspettando il cibo. La loro salute anche ne risente. Anche se sarebbe bastata la normale osservazione, ora uno studio decennale conferma che i panda negli zoo non stanno bene. I panda (come tutti gli animali n.d.r.) non dovrebbero essere tenuti e allevati negli zoo, afferma Mark Bekoff, professore emerito di ecologia e biologia evolutiva: Per quanto ci si impegni, gli zoo non potranno mai offrire ai panda un habitat normale per la specie. I panda in cattività non sono “ambasciatori” dei loro simili selvatici.(2)

Nel 2024, allo scadere di alcuni contratti di prestito, la Cina ha visto il ritorno di molti panda. Da Madrid è arrivata un’intera famiglia (Hua Zui Ba, 20 anni, e Bing Xing, 23 anni, e i tre figli: Chulina, 7 anni, e i gemelli You You e Jiu Jiu, di 2 anni. I figli sono nati a Madrid). Sono tornati anche la coppia che viveva nello zoo di Tokyo e la coppia che viveva in Finlandia.

Insomma, c’è un ritorno in Cina di molti panda “migranti” che andranno a vivere in un habitat idoneo e privo di pericoli. La speranza è che si riproducano e che il loro numero cresca fino a far uscire i panda dalla lista delle specie vulnerabili.

FONTI:

Marzo 2025
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1-Francesco Mattogno, Quando un panda fa l’ambasciatore di mestiere, 2024, www.istitutoconfucio.unimi.it/2024/06/dialoghi-quando-un-panda-fa-lambasciatore-di-mestiere/
2-Jessica Taylor Price, Gli effetti della vita in cattività sui panda, 2023,





13-Trasporto di animali vivi: comincia ad essere limitato questo macello pre-macello




Regno Unito: il disegno di legge che prevede il divieto di esportazioni di animali vivi dal Regno Unito ha superato la fase finale in Parlamento il 14 maggio 2024 ed è entrato in vigore il 20 maggio, in quanto l'Animal Welfare (Livestock Exports) Act ha ricevuto il consenso reale.

La decisione è maturata soprattutto dopo una consultazione del governo del 2020 che ha rivelato che l’87% dei cittadini erano a favore della misura. Un risultato che riflette, speriamo, la crescente sensibilità per il benessere degli animali e il rifiuto delle pratiche crudeli dell’industria dell’allevamento.

Per decenni inoltre i volontari della CIWF (Compassion In World Farming) hanno organizzato proteste molto partecipate nei porti all’imbarco degli animali destinati alla macellazione o all’ingrasso e hanno avviato indagini sotto copertura, evidenziando l'orrore delle esportazioni di animali vivi.

Gioisce Philip Lymbery, CEO globale di Compassion in World Farming:” "Questo è un giorno da festeggiare davvero! Siamo lieti che questa legislazione sia stata approvata da entrambe le Camere del Parlamento con il sostegno di tutti i partiti. E ci congratuliamo con il Governo per aver mantenuto questa promessa estremamente importante. Questa legge attesa da tempo garantirà che la Gran Bretagna non tornerà mai più ai giorni bui in cui si esportavano fino a 2,5 milioni di pecore e vitelli all'anno in Europa o oltre per la macellazione o l'ingrasso. Compassion in World Farming e i suoi sostenitori dedicati hanno condotto una campagna per vietare le esportazioni di animali vivi per oltre 50 anni. Vedere finalmente porre fine a questa pratica crudele è un momento importante per il benessere degli animali e un giorno che sarà celebrato per decenni a venire!"(1)

Sulla stessa strada il Brasile: il 25 aprile 2023 il tribunale civile federale di San Paolo si è pronunciato a favore di un’azione civile pubblica che chiedeva il divieto di esportazione di animali vivi. La sentenza però non avrà effetto fino a che il Tribunale federale non avrà deliberato circa la sospensione dell’ingiunzione in materia concessa nel 2018 (Nel 2018 il giudice Djalma Gomes aveva già addirittura concesso un'ingiunzione ordinando la sospensione dell'esportazione di animali vivi su tutto il territorio nazionale, ma dopo un ricorso l’ingiunzione era stata sospesa).

Queste le parole del giudice: "Come punto di partenza abbiamo che gli animali non sono cose. Sono esseri viventi senzienti, cioè individui che provano la fame, la sete, il dolore, il freddo, l'angoscia, la paura. Il cane non è una sedia, il bue non è una sedia sacco di patate, né sacco di sabbia. Ecco perché l'evoluzione della civiltà ha fatto sì che gli animali smettessero di essere solo oggetti di diritto e diventassero soggetti di diritto."

Il giudice ha sottolineato che le norme e i principi relativi alla tutela della dignità animale devono prevalere sul “mero interesse economico” delle aziende zootecniche che esportano bovini vivi.(2)

Nello stesso aprile 2023 la Nuova Zelanda ha preso la stessa decisione, di abolire il trasporto di animali vivi via mare.(3)

Le decisioni di questi Paesi riflettono, speriamo, la crescente sensibilità per il benessere degli animali e il rifiuto delle pratiche crudeli dell’industria dell’allevamento.

Il CIWF sta agendo con determinazione per far sì che altri Paesi seguano l’esempio del regno Unito ma pare che l’Italia, per ora, non ne voglia sapere.(4)

Non ho per il momento informazioni più precise riguardo all'orientamento dell’Italia, ho cercato di consultare il sito del CIWF ma appaiono immagini agghiaccianti e…non ho potuto continuare.

Settembre 2024
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4-Il Regno Unito ha vietato l’esportazione di animali vivi. Ma l’Italia non vuole farlo, a cura della Redazione di Greenreport, https://www.greenreport.it/news/green-economy/512-il-regno-unito-ha-vietato-lesportazione-di-animali-vivi-ma-litalia-non-vuole-farlo






12-Il baby boom delle Caretta caretta



Il 2023 ha portato una buona notizia che riguarda le tartarughe marine. Le tartarughe marine, in particolare la Caretta caretta, sono diminuite drasticamente negli ultimi decenni fino ad essere classificate come specie in pericolo, a causa di una serie di minacce fra cui la pesca accidentale, l’inquinamento marino e il cambiamento climatico. In particolare, è letale la quantità di buste di plastica in mare, che vengono ingoiate dalle tartarughe che le credono meduse.

La Caretta caretta mangia le meduse, sì. È importante perché è una specie chiave per gli ecosistemi marini. Svolge infatti un ruolo essenziale nel mantenimento dell’equilibrio ecologico delle acque marine, contribuendo alla dispersione di semi e al controllo di alcune specie di meduse. La sua presenza è un indicatore della salute degli oceani.

Proprio per tutelare questa specie a rischio si sono mosse diverse associazioni già da molti anni, soprattutto con il progetto Life Turtlenest, il cui obiettivo pratico principale è la protezione dei nidi e dei siti di nidificazione fino alla schiusa delle uova. I nidi vanno protetti perché molti dei siti di nidificazione preferiti dalle tartarughe sono anche i luoghi balneari preferiti dai turisti.

Ebbene, Il 2023 è stato l’anno record delle nidificazioni di Caretta caretta nel Mediterraneo Occidentale. Sono 444 i nidi di tartaruga marina registrati in Italia a chiusura della stagione: è il dato più alto da un bel pezzo. Un record che ha coinvolto anche le coste di Spagna e Francia, rispettivamente con 27 e 12 nidi. Dunque, complessivamente sulle coste del Mediterraneo Occidentale sono stati identificati 483 nidi.
Centinaia di volontari per tutta l’estate hanno sorvegliato i litorali, monitorato e messo in sicurezza i nidi. A fine agosto/settembre, in Sicilia sono nate 7000 tartarughine; la vera novità è che per la prima volta c’è stato un nido anche in Emilia Romagna, e precisamente sulla spiaggia di Milano Marittima. Proprio perché era la prima volta, l’evento è stato vissuto come una vicenda molto importante. È stato il nido più osservato d’Italia.

A fianco del nido sono stati posti una telecamera pronta a lanciare un segnale quando la schiusa avrà inizio, e una postazione dove un gruppo di volontari si è alternato 24 ore su 24, con turni di cinque ore di giorno e otto di notte. E il bilancio è stato positivo: su 91 uova, se ne sono schiuse con successo 81.

Questo boom di nascite è un segnale incoraggiante, e un effetto collaterale è stato che molti bagnanti sono stati “sensibilizzati” circa l’importanza delle tartarughe. Bisogna però continuare a fare il possibile per salvaguardare la salute del mare e delle coste minacciate dall’uso intensivo delle spiagge, dai rifiuti e dalla cementificazione. Almeno, però, ora in mare nuotano migliaia di nuove tartarughine nate nel 2023.

Novembre 2023




11-Il rosso e il nero



Nel luglio 2023 è stata resa nota la scoperta di un meraviglioso animaletto che vive nelle acque dell’isola di Marettimo. Non se ne sospettava l’esistenza, lì. Si tratta del corallo nero (Antipatharia subpinnata, mentre il corallo rosso è il Corallium rubrum, ambedue Cnidari).

I coralli sono fondamentali per l’ecosistema perché la loro morfologia arborescente crea ambienti complessi capaci di ospitare un livello di biodiversità incredibile, fungendo da rifugi e da aree di "allevamento e crescita" per molte specie.

Il biologo marino Giovanni Chimienti, ricercatore dell'Università di Bari, ha appunto intuito che l'incredibile biodiversità dell'isola delle Egadi potesse dipendere anche dalla presenza di corallo nero. E l’ha trovato. Con il suo team ha scoperto sui fondali dell’isola una foresta di coralli neri di circa 4.000 metri quadri tra i 55 e gli 80 metri di profondità.

Il corallo nero è una specie difficile da osservare in natura vista la profondità a cui vive, da 50 a oltre 300 metri, dove forma foreste animali mesofotiche. Nessuno a Marettimo quindi l’aveva visto finora. Oggi però si può disporre di mezzi come i ROV (Remotely Operated Vehicle), che hanno filmato le foreste.

"Fin dalla mia prima immersione sono rimasto colpito dalla biodiversità di queste acque”, conferma Chimienti. “Nel Mediterraneo vivono almeno quattro specie di coralli neri e nella foresta le abbiamo trovate tutte, inclusa quella endemica, Antipathella subpinnata, che non si trova in nessun altro mare al mondo" (1).

Quella di Marettimo non è l’unica foresta di corallo nero; ce n’è un’altra molto grande, composta da ben circa 800 colonie, che è stata rinvenuta nei pressi dell’Isola di San Domino all’interno della Riserva Marina Protetta delle isole Tremiti in Puglia (2).

A Marettimo, Chimienti e il suo team hanno scelto di lavorare a stretto contatto con i pescatori locali, per trasmettere un messaggio cruciale: la fauna delle Egadi ha più valore da viva e le pratiche di pesca più dannose, come le reti da posta e i palangari che entrano in contatto con i fondali, vanno abbandonate.

Il corallo nero va infatti tutelato perché è bellissimo: cresce in verticale come una gorgonia, può superare il metro d’altezza e vivere fino a duemila anni. Però ci mette molto tempo a crescere ed è delicato. Soprattutto, va tutelato per la sua importanza come habitat per molte specie marine.

"Ci piace pensare alle colonie di corallo nero come a una futura arca di Noè in grado di traghettare i nostri amati pesci nel futuro."(3)

Settembre 2023
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10-La carne del futuro



Il Senato ha approvato il divieto di produrre e importare carne coltivata in Italia. Pare sia l’unico Paese al mondo ad avere un divieto del genere. E questo, mentre L'Unione Europea sta dedicando nuovi fondi alla carne coltivata, che fa parte della strategia Farm to Fork dell'UE e del Green Deal, il piano per rendere l’economia dell'Unione neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050 (1).  

La carne coltivata è carne vera, non sintetica e nemmeno di origine vegetale; è carne vera che si ottiene però senza uccidere nessuno. Se n’è già parlato in questa rubrica. È più etica ed è immensamente più sostenibile. Oltretutto le proiezioni di mercato vedono questo prodotto in fase di boom nei prossimi anni, con il mercato della carne coltivata a superare i 200 milioni di dollari di valore solo entro il 2025. Infatti, il numero delle start up che la producono è aumentato moltissimo in pochi anni.

L’Italia quindi volta le spalle non solo a una scelta etica, ma rinuncia a un affare potenzialmente enorme.

Questa non è una buona notizia. La buona notizia però è che le cose si muovono a livello mondiale e, che gli Italiani lo vogliano o no, dovranno adattarsi, semplicemente perché ormai si è preso atto, a livello globale, che gli allevamenti non sono più sostenibili (oltre ad essere crudeli).

In Canada l’azienda produttrice The Better Butchers entro i prossimi due anni aprirà a Vancouver la prima macelleria al mondo che venderà solo ed esclusivamente carne coltivata (2) e probabilmente si espanderà anche negli Stati Uniti, dove la Food and Drug Administration ha approvato definitivamente la vendita per consumo umano della carne coltivata di pollo.
Non solo: durante l’annuale Conferenza dei sindaci degli Stati Uniti, i sindaci hanno affrontato il tema della sempre maggiore diffusione di malattie croniche tra i cittadini e degli ingenti costi sanitari a esse collegate (che attualmente si aggirano intorno ai 4 trilioni di dollari l’anno), e il tema della sostenibilità ambientale. I sindaci hanno quindi deciso di promuovere decisamente l’alimentazione “plant-based”, salutare per i cittadini e per l’ambiente. In pratica, le città aderenti avranno come obiettivo  l’inclusione di più opzioni a base vegetale in qualsiasi contesto in cui il governo fornisca cibo ai cittadini (scuole, ospedali, servizi sociali), cercando al contempo di promuovere l’alimentazione a base vegetale nei contesti privati, attraverso campagne informative.
È notevole anche l’iniziativa di New York, in cui ogni operatore sanitario riceverà una formazione di base e gratuita in nutrizione vegetale, grazie a una nuova partnership da 44 milioni di dollari avviata tra il sindaco Adams e l’American College of Lifestyle Medicine (ACLM). Una formazione “di massa” unica al mondo, che vuole essere uno strumento concreto per combattere le malattie croniche, partendo dal miglioramento della dieta (3).

E in Europa? In Europa si aspetta il benestare dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ma il Governo olandese ha agito in autonomia per permettere quantomeno di presentare ai consumatori questo alimento rivoluzionario, tramite la stesura di un “codice di condotta” che renderebbe possibili le degustazioni in ambienti controllati. L’Olanda da tempo è impegnata nella tecnologia della coltivazione cellulare degli alimenti (4), e una volta di più, come già accaduto nella storia, dimostra di essere qualche passo avanti.

Settembre 2023
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1-Per approfondimento, cfr. C.Sabelli, Gli scienziati italiani contestano il divieto sulla carne coltivata in www.nature.com/articles/d43978-023-00052-5




9-Un altro passo contro la sperimentazione crudele



Il 25 gennaio 2023 è stata dichiarata valida a tutti gli effetti l’iniziativa dei cittadini europei per porre fine alla sperimentazione dei cosmetici sugli animali. Introdotta dal Trattato di Lisbona del 2009, l'ICE consente a un milione di cittadini provenienti da un quarto degli Stati membri dell'UE di chiedere alla Commissione di presentare una proposta legislativa. Ebbene, la soglia del milione è stata ampiamente superata; il 31 agosto 2022 la raccolta di firme è stata chiusa, tutte le firme sono state controllate e l’iniziativa è valida.

E’ una battaglia che va avanti da tempo. Formalmente, infatti, in Europa è vietato testare cosmetici su animali già dal 2004. Dal 2009 è inoltre vietato vendere qualsiasi tipo di prodotto cosmetico che sia stato testato sugli animali (magari al di fuori dell’Europa).

Tuttavia il Regolamento Reach stabilisce che qualunque sostanza chimica con la quale l’uomo può venire in contatto debba essere testata sugli animali, qualora non siano disponibili metodi sostitutivi. Questo significa che è ancora possibile il ricorso a escamotage da parte delle aziende per continuare a sperimentare su animali anche sostanze che poi rientreranno nell’industria della cosmesi.

Quindi gli obiettivi sono due: eliminare davvero la sofferenza animale ed estendere il divieto anche ai paesi extraeuropei.

Ora i rappresentanti della Commissione incontreranno gli organizzatori dell’Ice in modo che possano spiegare le questioni sollevate nella loro iniziativa e formulare le loro proposte. L’iniziativa riceverà anche un’udienza pubblica presso il Parlamento Europeo prima che la Commissione risponda formalmente.

Moltissime associazioni hanno aderito e hanno collaborato alla raccolta di firme ma il merito principale va a PETA (People for ethical treatment of animals), che ha contribuito anche in termini finanziari. A finanziare l’iniziativa, anche aziende come Dove, Unilever, The Body Shop.

Secondo gli organizzatori, la volontà dei cittadini e dei legislatori è chiara: gli animali non devono soffrire e morire nell'interesse della produzione di cosmetici. Chiedono quindi che i requisiti dell'UE in materia di sperimentazione, compresi quelli previsti dal regolamento REACH, non pregiudichino i divieti.  Esortano perciò la Commissione europea a modificare il regolamento sulle sostanze chimiche e a dare immediatamente attuazione ai divieti già previsti dall'UE per quanto riguarda la sperimentazione animale per i cosmetici e la commercializzazione di ingredienti testati sugli animali, come auspicato dai legislatori, al fine di garantire che per la valutazione della sicurezza degli ingredienti cosmetici vengano utilizzati esclusivamente metodi che non prevedano l'uso di animali.

E’ una battaglia ventennale, ormai, che ha registrato delle vittorie, ma l’obiettivo non è ancora raggiunto. Questa però è un’altra vittoria.



Febbraio 2023



8-Progressi plantigradi



Quando ci si vuole informare su qualcuno, per esempio sull’Ursus arctos syriacus (il più piccolo fra gli orsi bruni) e si apre la pagina di Wikipedia, sulla destra appare spesso una tabella che indica lo stato di conservazione.  Le specie o le sottospecie in situazione peggiore sono classificate EW (estinte in natura), seguono le CR (in forte pericolo), poi le EN (in pericolo) e di seguito le VU (vulnerabili).

Ebbene, l’orso bruno siriano è considerato EN (in pericolo) ma per altri ursidi la situazione va migliorando. Il panda gigante, che era il simbolo stesso degli animali a forte rischio di estinzione, tanto da venire scelto dal WWF per il suo logo, dal 2016 è diventato VU. La popolazione dei panda giganti è infatti in graduale continua crescita, grazie alle campagne di sensibilizzazione del WWF e di altre associazioni e grazie agli sforzi del governo cinese, che ha esteso sensibilmente l’area a loro destinata. Due terzi dei panda risiedono in riserve naturali tutelate e quindi vivono e si riproducono tranquillamente, mentre un terzo vive in natura ed è più a rischio; per fortuna, il bracconaggio è nettamente diminuito. Il numero totale dei panda nel mondo è stimato essere di almeno 2500 individui (nel 2014, l’ultimo censimento preciso del WWF ne aveva contati 1864. www.wwf.it/pandanews/animali/i-panda-giganti-non-sono-piu-a-rischio/).

Molto più vicino a noi, un altro urside, l’orso marsicano, è ancora in grave pericolo (CR) ma, dopo anni di progetti e di iniziative, forse finalmente la situazione sta migliorando anche per lui. Infatti il Parco nazionale e Lifegate Trees intendono nel giro di un anno tutelare con più decisione l’habitat dell’orso e garantirgli più disponibilità di cibo, piantando almeno 100 alberi da frutto e proteggendo l’area boschiva (www.lifegate.it/orso-bruno-marsicano-2023). Negli ultimi anni la popolazione degli orsi marsicani è cresciuta, nonostante le mille difficoltà (infrastrutture che ostacolano gli spostamenti, carenza di cibo, “incidenti”); nel 2018 sono nati 11 cuccioli e nel 2019 ne sono nati 16 (https://abruzzolive.it/orso-bruno-marsicano-record-di-nascite-nel-parco-nazionale-dabruzzo-nel-2019-sono-nati-16-cuccioli/).

Come nel caso del panda, hanno giocato un ruolo anche la comunicazione e la sensibilizzazione che hanno generato un’ondata di simpatia per l’orso marsicano. I video dell’orsa Amarena che gira per il paese con i suoi cuccioli sono forse l’esempio più noto (vedi per esempio www.youtube.com/watch?v=DEZjtGQqnfE). Dell’orsa Amarena e dell’orso marsicano in generale si è parlato molto durante la cronaca del Giro d’Italia 2020, durante la tappa che passava appunto dall’Abruzzo. Il Giro d’Italia ha un ottimo share e quindi molte persone che nulla sapevano hanno cominciato a interessarsi all’orso. Le vie della sensibilizzazione sono infinite…

7 novembre 2022



7-Mangiar carne senza uccidere nessuno



Presto si troverà sul mercato la carne cosiddetta “pulita”, non derivante da alcuna uccisione. Singapore è stato il primo paese a metterla in commercio, da circa un anno. E’ una innovazione necessaria e inevitabile: è previsto infatti che la richiesta di carne aumenterà del 70% entro il 2050 ma si sa anche che gli allevamenti intensivi sono assolutamente insostenibili. Da queste premesse è nata la ricerca per la produzione di carne ottenuta dalla coltivazione di cellule staminali, prelevate senza torcere un pelo a nessun animale. Le staminali sono cellule non specializzate che hanno la capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo. Queste cellule vengono poi coltivate usando nutrienti vegetali (1).  Si producono così nuggets, hamburger e forse anche qualcosa che si presenti come una vera bistecca. A stimolare le ricerche non è stata tanto la pietas verso gli animali quanto l’urgenza ambientale; le stime indicano che la carne coltivata, rispetto al sistema attuale fatto di campi di concentramento e stragi (allevamenti intensivi), abbatterebbe almeno del 90% il consumo di suolo, di acqua e di emissioni di gas serra, oltre ad eliminare il problema dei reflui zootecnici.

Certo, si può obiettare che tanti investimenti e tanti sforzi di ricerca sono discutibili, visto che si può benissimo evitare la carne e mangiare legumi e cereali, e si dovrebbe in primis evitare gli sprechi e far sì che le derrate alimentari vengano distribuite in maniera più equa (2)… Realisticamente, però, appare più semplice “inventare” la carne coltivata che sperare in un’illuminazione etica generalizzata.

A settembre anche Leonardo Di Caprio, il cui impegno per l’ambiente è noto, ha annunciato che investirà nel settore, che comunque ha prospettive di ingenti guadagni (3).

Sia come sia, se questo innovativo sistema di produzione permetterà di porre fine alle sofferenze di milioni di animali e alla pratica ignobile degli allevamenti intensivi, allora è una gran bella notizia.

2 dicembre 2021
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6-Se questo è un uovo



Uno spiraglio di buona notizia viene dall’industria delle uova. Già l’espressione “industria delle uova” é raccapricciante. Tutti sappiamo delle condizioni aberranti in cui vivono le galline ovaiole in queste aziende, ma non tutti si sono chiesti che fine fanno i pulcini maschi.  Parte delle uova fecondate infatti, non vengono vendute ma allevate dall’industria delle uova allo scopo di avere a disposizione nuove generazioni di galline ovaiole.  Quando le uova si schiudono, però, i pulcini possono rivelarsi femmine oppure maschi, inutilissimi maschi. Ogni anno perciò vengono uccisi miliardi (la stima non è precisa, non ci sono dati sufficienti) di pulcini maschi, 300 milioni in UE e 40 milioni solo in Italia.  I pulcini maschi, invece di essere uccisi, non potrebbero essere allevati per diventare polli da carne? No, perché la logica perversa del profitto ha creato due industrie separate e diverse: l’industria delle uova ha selezionato galline adatte ad essere ovaiole che sono forzate a sfornare circa 300 uova all’anno, mentre l’industria della carne ha selezionato animali “a rapido accrescimento”, forzati a raggiungere 4 kili di peso in due mesi scarsi di vita, dopo i quali vengono uccisi e venduti come polli. I pulcini che nascono nelle aziende produttrici di uova non sono quindi redditizi perché crescono meno e più lentamente rispetto ai pulcini selezionati per diventare polli da carne. La strage si attua molto rapidamente: la massa di pulcini viene soffocata oppure triturata viva.  Sì, fa male a leggerlo e fa parecchio male anche a scriverlo.

Ecco, qualcosa si sta muovendo. Nei supermercati si trovano ora (non accadeva fino a poco tempo fa) delle confezioni di uova con la dicitura “Salvaguardia del pulcino maschio”. Segue la spiegazione: selezione delle uova che porteranno alla schiusa dei soli pulcini femmina, tramite sessaggio in ovo e senza uso di metodi invasivi.

Per “sessaggio in ovo” si intende un test molto poco invasivo detto in ovo-sexing, con cui è possibile stabilire il sesso del pulcino nei primissimi giorni di fecondazione delle uova.

Animal Equality, con la campagna “Fermiamo la strage dei pulcini maschi”, ha lavorato molto per sensibilizzare l’opinione pubblica e ha rivolto un appello al Governo italiano per chiedere che anche le istituzioni appoggino l’introduzione di questa tecnologia che eviterebbe la strage di pulcini maschi (1).

La COOP ha aderito all’appello di Animal Equality e ha annunciato che da settembre 2021 sarà presente una referenza di uova a marchio Coop da galline allevate all'aperto e sessate preventivamente con Agri Advanced Technologies (AAT), un sistema che permette di portare alla schiusa i pulcini femmina (2).

L’associazione Gabbie Vuote ODV ha interpellato direttamente la COOP che in effetti ha risposto documentando il suo impegno, che appare quindi sincero. In altri casi, ciò che viene pubblicizzato non è detto corrisponda alla realtà (3).

In Germania e in Francia è già stata approvata la legge che vieta di uccidere i pulcini maschi, e il Governo francese sta erogando finanziamenti per l’acquisto della strumentazione per i test in ovo sexing (4).

Le uova “maschili” vengono solitamente tolte dall’incubatrice e utilizzate per produrre mangime per altri animali, ma ci sono anche aziende che li allevano per poi venderli come galletti (5).  Il che significa che saranno mangiati.

Certo, la cosa migliore sarebbe evitare di divorare polli e galletti e cercare uova di galline felici, ma l’accresciuta sensibilità per la sorte dei pulcini maschi è comunque un passo aventi e dimostra che un numero sempre crescente di umani non è più disposto a tollerare pratiche crudeli, tipicamente umane.

19 ottobre 2021
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5-Le pellicce di visone sono bellissime



In effetti, le pellicce di visone sono bellissime.  Se c’è dentro tutto il resto del visone.

A giugno scorso, il ministro israeliano dell’ambiente Gila Gamliel ha firmato il provvedimento che vieta il commercio di pellicce. Israele è il primo Paese a rifiutare totalmente le pellicce (eccezion fatta per i copricapi religiosi, che restano consentiti; senza questa eccezione, la legge non sarebbe presumibilmente stata approvata.(1)

In questo senso ha già deliberato nel 2019 la California (il divieto entrerà in vigore nel 2023), ma Israele è il primo a farlo come intero Paese. Certo, con quel clima non è un gran sacrificio rinunciare alle pellicce, ma la vanità non bada alla meteorologia; ricordo una cospicua sfilata di pellicce uscire, la domenica di Pasqua, dalla chiesa di una piccola isola siciliana, a 38 gradi di latitudine e 27 gradi di temperatura.

L’India nel 2017 ha vietato l’importazione di pellicce di cincillà, visone e volpe da altri Paesi.(2)

Il caso di Israele, della California e dell’India sono quindi dei buoni esempi che si spera saranno seguiti da altri Paesi, perché il divieto di commercio non potrà che disincentivare anche la produzione. Molti sono già i Paesi che negli ultimi 20 anni hanno messo fuori legge l’allevamento di animali “da pelliccia” e alcuni si avviano in quella direzione (Giappone, Regno Unito, Austria, Olanda, Slovenia, Norvegia, Croazia, Germania).(3)

In Italia l’allevamento di visoni è ancora consentito, anche se il numero degli allevamenti è diminuito e un'ordinanza del ministro Speranza ha sospeso le attività degli allevamenti di visoni fino al 31 dicembre 2021, dopo la scoperta che alcuni visoni sono risultati positivi al coronavirus. La sospensione quindi è dovuta alla preoccupazione per la salute umana, non per la salute dei visoni.

Il ritrarsi dell’Europa dalla produzione di pellicce di visone è andato a beneficio della Cina, attualmente il primo produttore mondiale(4).

Per questo è fondamentale che ne sia vietato proprio il commercio, non solo la produzione.

Un grande aiuto è arrivato dal mondo della moda; nel maggio 2021 Valentino ha annunciato che dal 2023 diventerà fur free, come già lo sono Armani e Gucci, Prada, Balenciaga, Versace e Chanel(5).

Il merito va in gran parte alla famosa campagna PETA “Meglio nuda che impellicciata”, chiusa nel 2020 dati gli ottimi risultati ottenuti sensibilizzando modelle e attrici che si sono prestate alla campagna sensibilizzando a loro volta sia la gente che le case di moda(6).

Ma l’annuncio più clamoroso è un altro: alla fine del 2020 è stato reso noto che chiuderà, entro i prossimi due o tre anni, Kopenhagen Fur, la più grande casa d’aste di pellicce al mondo.

Martina Pluda, Direttrice per l’Italia di Humane Society International, ha dichiarato: “Stiamo assistendo a un calo significativo dei prezzi delle pellicce e ad un aumento dell’invenduto. Ci aspettiamo un’ulteriore decrescita della domanda di pellicce a causa dei focolai di Covid-19 negli allevamenti in tutto il mondo.”

Dunque la domanda di pellicce aveva subito una flessione anche prima della pandemia. Secondo Humane Society International, dato che Kopenhagen Fur gestiva quasi la metà del traffico globale di pellicce, la sua chiusura potrebbe segnare l’inizio della fine del commercio mondiale di pellicce(7).

Appena nel 2013 la IFTF, International Fur Trade Federation, ha comunicato trionfalmente che nel 2011/2012 le aziende del settore avevano venduto pellicce per 15,6 miliardi di dollari a fronte degli 11 miliardi di dieci anni prima; il settore nel decennio aveva conosciuto una crescita valutaria del 44% e le vendite negli Stati Uniti erano triplicate(8).

Dal 2013 sono passati solo 8 anni. In soli 8 anni la pelliccia sembra aver perso molto del suo appeal. Se davvero Kopenhagen Fur chiuderà, se sempre più case di moda diventeranno fur free, se altri Paesi arriveranno a fermare il commercio e/o la produzione di pellicce, allora assisteremo a un cambiamento rapidissimo, in termini di tempi storici, di cultura e di costume. Una vera rivoluzione.

  1. Cfr. www.ilsole24ore.com/art/pellicce-messe-bando-israele-e-primo-paese-vietare-vendita-AEto3GR
  2. www.lav.it/news/lindia-divieto-importazione-pellicce
  3. per dettagli cfr. www.innaturale.com/pellicce-naturali-in-quali-paesi-sono-vietate/ e anche www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/27/allevamenti-da-pelliccia-leuropa-li-vieta-litalia-resta-fanalino-di-coda/3758458/
  4. www.peta.org/about-peta/victories/chanel-bans-fur-exotic-skins/
  5. www.repubblica.it/esteri/2020/02/06/news/la_peta_vince_la_sua_battaglia_e_sospende_la_campagna_le_pellicce_hanno_perso-247779201/
  6. www.hsi.org/news-media/worlds-largest-fur-auction-house-to-close
  7. www.laconceria.it/pellicceria/il-mondo-vuole-la-pelliccia-il-suo-giro-daffari-mondiale-e-156-miliardi-di-dollari

Per approfondimenti, si segnala l’articolo:

14 settembre 2021



4-Un motivo in meno per mangiarsi il fegato?



Il detto “mangiarsi il fegato per la rabbia” non è campato in aria. Secondo la Medicina Tradizionale cinese, veramente la rabbia nuoce al fegato, così come la tristezza nuoce ai polmoni etc.

Coloro che hanno a cuore gli animali ne hanno tanti di motivi per arrabbiarsi e intristirsi, perché tanti sono i comportamenti e le pratiche che ledono gravemente i diritti dei viventi. Una di queste pratiche è l’abitudine di molti umani di mangiare il fegato altrui sotto forma di foie gras, per produrre il quale si fa uso del gavage, una tecnica troppo crudele per descriverla o anche solo per pensarci.

Talmente crudele che sempre meno persone e istituzioni sono disposte a tollerarla.  E’ questa la buona notizia. Praticamente nessun supermercato in Italia vende più il foie gras.  L’ONG Essere Animali ha lanciato nel 2015 la campagna #Viadagliscaffali che ha visto l’adesione, nell’ordine, di Pam, Esselunga, Eataly, Conad, Lidl, MD, Tigros, Sigma, Selex, Bennet, Crai e Carrefour. La Coop aveva già escluso il foie gras dalla vendita ancora prima della campagna. Mancava solo Iper la grande I, che ha aderito ora nel 2021 (www.essereanimali.org/stop-foie-gras).  Hanno aderito anche altre piccole attività commerciali, purtroppo non tutte. In Italia, come nella maggior parte degli Stati europei (tranne Francia, Spagna, Bulgaria, Ungheria e parte del Belgio) la produzione è illegale, per cui quello che si consuma viene importato dalla Francia che ne è la maggiore esportatrice.  Il problema non è risolto, perché i cosiddetti “buongustai” lo comprano online, ma è indubbio che il foie gras riscuote sempre meno consenso. Il Regno Unito, che ne aveva già vietato la produzione, sta ora valutando di bloccare anche l’importazione e la vendita in generale.

In California è già vietato produrlo, venderlo e servirlo nei ristoranti (la legge è stata promulgata dall’ex governatore della California Arnold Schwarzenegger) e dal 2022 lo sarà anche a New York.  E’ interessante il fatto che i produttori statunitensi di foie gras avevano presentato ricorso contro l’ordinanza della California, ma la Corte Suprema l’ha respinto (www.latimes.com/business/la-fi-foie-gras-prohibition-court-ruling-20190107-story.html).

A luglio 2021 la start-up parigina ha annunciato di aver realizzato un foie gras da staminali raccolte da un uovo, senza torcere una penna nemmeno a un’oca, e pare che l’azienda sia in grado di immetterlo sul mercato già nel 2022 (https://robbreport.com/food-drink/dining/gourmey-releases-lab-grown-foie-gras-1234625037), mentre lo chef francese Alexis Gauthier, che lavora in Gran Bretagna, ha già creato un’alternativa vegana al foie gras (www.finedininglovers.it/articolo/vendita-foie-gras-vietata).

Per finire, una curiosità. Ancora prima delle campagne delle associazioni animaliste, una strenua lotta al foie gras è stata condotta dall’attore Roger Moore. E’ stato lui a convincere la catena inglese Selfridges a non venderlo più.  L’impegno di Moore per gli animali è stato costante e attivo e lo ha portato addirittura a rivolgersi alla regina Elisabetta. Nel 2017 Roger Moore è stato eletto persona dell'anno dall'organizzazione per i diritti degli animali PETA. Grazie a un’onorificenza conferitagli nel 2003 dalla regina Elisabetta, l’attore ha acquisito il titolo di Sir.  Titolo meritato, perché Sir Roger Moore nobile d’animo lo era davvero.

8 settembre 2021



3-Cittadini vegetali


Il primo luglio 2021 è stata pubblicata una notizia che molti cittadini hanno appreso con giubilo. La notizia è che il pubblico ministero ha chiesto la condanna di sette dipendenti comunali, fra cui l'ex direttore della Direzione Ambiente  e l'ex responsabile del Servizio Qualità del Verde.  Omettiamo per discrezione i nomi, del resto facilmente reperibili negli articoli di stampa (1).

Le accuse sono di falso, di deturpamento di bellezze naturali e di danneggiamento del patrimonio nazionale (per gli abbattimenti degli alberi in piazza Stazione e piazza San Marco, in area Unesco).

Le stragi di alberi non sarebbero state necessarie se il Comune avesse provveduto a una corretta manutenzione e cura. Da anni molte associazioni (Coordinamento cittadino tutela alberi, Italia nostra, ass. Piazza della Vittoria, la stessa Gabbie Vuote…) cercano di dimostrare che sono possibili altre soluzioni oltre alla strage, facendo fare perizie, raccogliendo firme , promuovendo convegni di esperti e presentando progetti alternativi e più rispettosi degli alberi e del paesaggio urbano. Invano, però.

Eppure, anche a prescindere dal rispetto dovuto agli alberi in quanto esseri viventi e senzienti (2), è risaputo che solo gli alberi possono salvare le città, particolarmente in questo periodo di cambiamento climatico. E’ talmente risputo che ne parlano da decenni persino i fumetti (3).
I vantaggi portati dagli alberi sono innumerevoli.

Nelle zone alberate c’è miglior drenaggio e riduzione del rischio di allagamenti, perché le chiome degli alberi assorbono il primo 30% delle precipitazioni, che da lì evapora direttamente senza raggiungere mai il suolo; un altro 30% di pioggia viene trattenuto dall’apparato radicale e poi assorbito dalla pianta.

E poi la protezione dal sole: nelle zone urbane alberate la temperatura percepita è inferiore di 5-15 gradi. Un quartiere che ha un buon ombreggiamento può registrare una riduzione del 15-30% dei consumi energetici, senza contare che guidare in viali alberati all’ombra è più piacevole, il che significa riduzione dello stress e del nervosismo, aumento dell’efficienza alla guida, abbattimento di emergenze quali malori...

Gli alberi sono anche un ottimo rimedio all’inquinamento, assorbendo monossido di carbonio, ossido di azoto e particolato (PM).  A Londra è da anni avviato un programma di abbattimento dell’inquinamento incrementando il verde e hanno calcolato che in un anno gli alberi di Londra assorbono circa 2000 tonnellate di polveri sottili.

E’ stato dimostrato poi (ma non ce n’era bisogno, è un’ovvietà) che i pazienti ospitati in ospedali luminosi che si affacciano sul verde hanno una degenza più breve, hanno bisogno di meno antidolorifici, dormono meglio e hanno meno ansia. Addirittura è stato varato negli USA il Progetto Alberi Guaritori (2002).

Ci sono anche vantaggi economici: una ricerca USA ha calcolato il rapporto fra il valore di un immobile e la sua vicinanza al verde. Quindi un immobile a 800 metri da un parco vale più di un immobile lontano da aree verdi, ma gli immobili a 150 metri da un parco valgono 12 volte di più di quelli a 800 metri! E le attività commerciali su strade alberate hanno un aumento del 12% del reddito.

Infine una curiosità: si è detto prima che i vantaggi sono incalcolabili. Ebbene, c’è chi li ha calcolati. Nel 2007 a New York è stata realizzata una ricerca per monetizzare il valore degli alberi, tramite un programma informatico chiamato Stratum. Sono stati immessi i dati relativi a: impatto degli alberi sul valore di una proprietà, quantità di CO2 e polveri eliminati, quantità di energia conservata dall’ombra e dalla traspirazione etc. Conclusione: gli alberi di New York danno un contributo annuale di 122 milioni di dollari (4)!

Dunque, che l’irragionevole strage di alberi sia oggetto di indagine è un’ottima notizia, e dovrebbe portare l’Amministrazione ad attuare, da ora in poi, strategie più oculate nei confronti dei cittadini vegetali.

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2-Viventi, senzienti e anche intelligenti, come già sosteneva nel 1908 Francis Darwin (figlio di Charles Darwin) e come si può sostenere ancora di più oggi con evidenze incontrovertibili. Vedi S. Mancuso, Verde brillante, Giunti 2013, p, 20 sgg.
3-
Z.P. e la crescirapida precipitosa, Pezzin-Gorlero 1991. Ma le storie su questo tema sono tantissime, a partire dagli anni ’70 (ad es. Topolino e la giungla d’asfalto, Gazzarri-Asteriti 1976)
4-Per tutti i dati riferiti cfr. N. Nadkarni, Tra la terra e il cielo, Elliot 2010. Bellissimo.

2 agosto 2021



2-Che nessuno abbia gabbia; la voce dei cittadini conta.


Talvolta chi difende i diritti degli animali si sente come chi cercasse di svuotare il mare con un secchiello; talvolta però la crudeltà non appare come un oceano ma come un’enorme piscina, di cui possiamo far calare il livello con i nostri secchielli.

C’è una buona notizia, infatti (già comunicata dall’associazione Gabbie vuote, ma repetita juvant, se a qualcuno fosse sfuggita…): il 30 giugno è stata annunciata la risposta della Commissione europea all’iniziativa dei cittadini europei End the Cage Age, che ha raccolto quasi un milione e mezzo di firme di cittadini europei.

La Commissione europea prevede quindi di vietare l’uso delle gabbie nell’allevamento, che ogni anno riguarda oltre 300 milioni di animali allevati nell’UE, programmando un'eliminazione graduale entro il 2027.

Il percorso è ancora lungo, perché la Commissione si propone di presentare una precisa proposta legislativa entro il 2023 per eliminare gradualmente e vietare l'uso delle gabbie negli allevamenti; la proposta dovrà poi avere l'approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell'UE.
Il percorso è lungo ma questo grande primo passo indica che possiamo far sentire la nostra voce e che la sensibilità dei cittadini europei sta crescendo, se si pensa che in un solo anno sono state raccolte e convalidate 1 milione e 400.000 firme e che questa è stata la terza ICE (iniziativa dei cittadini europei) per numero di firme raccolte.

La mente e il cuore di molti cittadini europei si è espressa quindi con chiarezza: l’unica gabbia che va tutelata è la gabbia toracica, quella che protegge, appunto, il cuore.

L’uccello, che è organizzato per traversare a volo mezzo il mondo, è da noi chiuso in un breve spazio, dove esso muore lentamente e grida spasimando verso la libertà (…), ed il cane, il suo intelligente amico, è da lui legato alla catena! Io non posso mai vedere questo senza un’intima pietà per il cane e una profonda indignazione per il suo padrone”.
(Arthur Schopenauer, Parerga e Paralipomena)

Per saperne di più:
18 luglio 2021


1-Caccia: il momento è ORA


imgSe avrà successo l’eroica impresa di ottenere un referendum sulla caccia, occorrerà che nessuno si scoraggi, che tutti ci attiviamo perché i cittadini vadano a votare. Il problema infatti è il quorum. E’ paradossale che un popolo snobbi uno dei pochi strumenti di democrazia di cui disponiamo, ma questa è un’altra storia. Ci si augura che gli italiani vadano a votare in numero sufficiente, perché le prospettive di vittoria appaiono buone, visti alcuni fattori incoraggianti.

Il primo fattore è il calo del numero dei cacciatori, passato da 1.701.853 del 1981 a 791.848 del 2001 (dati ISTAT).

Il secondo è la “cultura anticaccia” (parole dei cacciatori, lo vedremo dopo) che appare diffusa fra la popolazione. Lo era già nel 1990, quando al referendum del 3 e 4 giugno il 92% dei votanti si espresse contro la caccia e per l’abolizione del diritto di accesso dei cacciatori nei fondi privati. Peccato che non si raggiunse il quorum, ma il sentimento prevalente era chiaro e lo è tuttora. L’ultimo sondaggio accurato (Eurisko per ENPA, 2005) rivela che gli italiani contrari alla caccia rappresentano il 74,1% mentre quelli favorevoli sono il 15,2%. Il 71,3% ritiene inoltre che l’attività venatoria sottragga a tutti una parte del patrimonio naturale e il 64,7 % è convinto che i cacciatori uccidano solo per divertimento.  E’ interessante che il 72,4% dichiara che andrebbe a votare in caso di referendum mentre il 17% è propenso all’astensione (Il sondaggio è scaricabile qui). Conclude Marina Berati: Appare chiarissimo che la quasi totalità degli italiani si dichiara contraria a certe pratiche particolarmente controverse (intorno al 90%), e in generale la stragrande maggioranza dei cittadini è nettamente contraria alla pratica della caccia in sé e per sé (70%). (Lo studio è del 2004. Berati  si basa su sondaggi precedenti).

Il terzo fattore è l’orientamento della magistratura, che ultimamente appare più propensa a condannare atti di violenza gratuita verso gli animali da parte dei cacciatori. Nel 2018 in Toscana un cacciatore ha sottoposto un cucciolo di cinghiale a sevizie e un altro ha ucciso senza necessità un labrador. Nessuno dei due è stato assolto (notizie dal sito della LAC). Circa 25 anni fa, sempre in Toscana, era stato assolto un cacciatore che aveva ucciso un cane domestico vicino a casa sua (del cane). Certo è azzardato trarre conclusioni da pochissimi casi, ma forse possiamo permetterci di prendere questi dati come un segnale confortante.

Si aggiunga che nel 2019 è uscito On the wild side di Giacomo Giorgi, forse il più completo e approfondito documentario sui diversi tipi di caccia e sui movimenti che la contrastano, un lavoro che contribuisce a smuovere coscienze e a far traballare indifferenze.

Nel frattempo, e magari anche questo è confortante, la comunità dei cacciatori sembra blandamente preoccupata. L’Associazione nazionale libera caccia promette di vigilare sulla proposta di referendum e afferma che la legge 157/92 va cambiata “sulla base delle richieste del mondo venatorio; questo sia chiaro”.

Chiaro per loro ma non per tutti; per quale motivo le richieste del mondo venatorio dovrebbero essere prioritarie rispetto a quelle del resto del mondo (prede comprese)? Oltre al possibile referendum, è il calo del numero dei cacciatori che li impensierisce. Un recente articolo (di R.Mazzoni della Stella) analizza  le cause del rovinoso declino e plaude a chi ravvisava l’esigenza di “un’attiva opera di educazione venatoria tanto dei cacciatori quanto di tutti i cittadini, perché si possa giungere a una maggiore e migliore difesa e cura di ogni qualsiasi specie di selvaggina”. Certo, uccidere è la cura migliore che ci sia. Poi, constatato che la passione per la caccia è inversamente proporzionale al grado di istruzione, afferma che “ il mondo venatorio non riesce minimamente a entrare in sintonia con questo esercito di giovani istruiti […] che  vengono consegnati alle suggestioni ambientaliste e animaliste, cioè a una cultura sostanzialmente anticaccia.” L’autore conclude che manca “una corretta cultura ambientalista”. Ha ragione. E’ mancata per troppo tempo ma ora si fa strada proprio perché l’ambiente è in serio pericolo. L’esercito di giovani istruiti a scuola studia l’Agenda 2030, ci riflette, si informa e si forma un’opinione e forse una sensibilità. Non viene “consegnato” e quello che apprende non è una suggestione ma una serie di fenomeni inquietanti (cambiamento climatico, estinzione delle specie…).  Altri esponenti del mondo venatorio incolpano la scuola di favorire il declino del numero dei cacciatori (cfr. ad esempio).

Non è detto che la scuola sia responsabile della crisi della caccia, ma sarebbe bello se fosse così; spesso gli insegnanti si sentono frustrati e dubitabondi ma, se è vero che la scuola ha sfornato un esercito di giovani contrari alla caccia, possono rincuorarsi: i loro sforzi non sono stati vani.

15 luglio 2021           



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