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CAMBIAMENTO CLIMATICO
QUELLO CHE NON SI DICE
Relazione 2020


“L’Homo Deus, al quale siamo arrivati, intriso del suo altezzoso narcisismo sta distruggendo la sua culla, la sua casa, il suo pianeta e quindi se stesso. Serve che la nostra coscienza, la nostra ragione e i nostri sentimenti, ci riportino alla Natura, a quella madre che ha avuto ed ha cura di noi fornendoci acqua, aria, terra. Come un patrimonio da rispettare e non come un patrimonio da gettare alle ortiche”.

Homo Deus di Yuval Noah Harari



PREMESSA


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Cambiamento climatico?

Finalmente se ne parla.

Dopo un silenzio di decenni, dalla Convenzione di Rio de Janeiro nel 1992 (COP 1), al Protocollo di Kioto del 1997 (COP3), fino all'Accordo di Parigi del 2015 (COP 21), alla Conferenza di Bonn del 2017 (COP 23), alla Conferenza Onu sul clima di Madrid del dicembre 2019 (COP25), il cambiamento climatico è un concetto ormai diffuso in tutto il mondo.

Assorbito, trasformato, chiacchierato, inattuato, riciclato secondo punti di vista o interessi, accettato ma anche negato (tra i principali negazionisti Trump presidente USA, il Paese che più di tutti emette gas serra e Bolsonaro presidente del Brasile che promuove la deforestazione massiccia della foresta amazzonica, polmone verde della Terra), il cambiamento climatico si sta facendo strada grazie all'ostinazione di una ragazzina svedese, Greta Thunberg, che con la sua azione, dapprima solitaria e poi estremamente coinvolgente di Fridays for future, l'ha portato all'attenzione del mondo.  I potenti sembrano tutti con Greta, ma speriamo non solo a parole. Gli Stati sono infatti divisi sulle politiche da adottare entro il 2020.

Quindi se ne parla.

Il cambiamento climatico non si può negare; le immagini non sono parole, rappresentano la realtà. Finalmente sono sotto gli occhi di tutti. I documenti, gli studi, le ricerche sono stati liberati dall’apartheid degli scienziati di ogni specializzazione, hanno oltrepassato gli anonimi paraventi dell’informazione, per uscire “a riveder le stelle”. Greta Thunberg, con la sua determinazione ha rotto il silenzio, il buio, l’esilio e ha coinvolto il mondo.

Nel rapporto 2019 dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale appare che la temperatura media globale del 2019 (da gennaio a ottobre) è stata di circa 1.1 gradi centigradi al di sopra del periodo preindustriale e il 2019 è sulla buona strada per essere considerato il secondo o terzo anno più caldo mai registrato.  QN 14.3.2020: “Si stanno sciogliendo a tempo di record i ghiacciai dell’Antartide e della Groenlandia e, secondo gli esperti, le previsioni attuali di un aumento del livello del mare andranno riviste al rialzo con il rischio di inondazioni per oltre 40 milioni di persone entro la fine del secolo”.

La comunità scientifica è ormai unanime nell’indicare le attività umane quali responsabili della crisi climatica con una concentrazione di gas serra nell’atmosfera che ha raggiunto livelli record e che non si registrava da almeno 650.000 anni, e forse prima.

L’OMM Organizzazione Meteorologica Mondiale afferma che, nelle principali stazioni di osservazione nel 2019 sono stati osservati livelli di anidride carbonica più alti rispetto all’anno precedente e che “il fallimento nella mitigazione dei cambiamenti climatici potrebbe portare a perdite maggiori di vite umane ed economiche nei prossimi decenni”.

Il segretario generale dell’OMM, Petteri Taalas, avverte che “ora è il momento di considerare come utilizzare i pacchetti di stimolo economico per sostenere un passaggio a lungo termine a pratiche commerciali e personali più rispettose dell’ambiente e del clima”.

Poiché il cambiamento climatico riguarda il pianeta intero e quindi colpisce tutti senza distinzione, occorre che tutti i Paesi del mondo, in particolare i maggiori responsabili, provvedano a eliminarlo.

L'economia del mondo industrializzato è stata sviluppata negli ultimi 150 anni sulla base di una grande disponibilità di energia fossile a basso costo fondandosi sull'assunto paradossale che le risorse a disposizione siano infinite.

Ma, poiché il cambiamento climatico non è prodotto solo da combustibili fossili (trasporti, riscaldamento, energia….) ma da molti altri fattori, occorre affrontarli tutti indistintamente, senza eccezioni.

Tra questi, imponente, trascurato totalmente o quasi, c’è l‘allevamento di animali destinati all’alimentazione: intensivo ed estensivo.

Gli allevamenti, a loro volta, sono correlati a tanti gravi problemi di cui non parliamo o parliamo senza considerarne l’origine.  

Nonostante la partecipazione di 196 Paesi, la venticinquesima conferenza sul clima di Madrid si è conclusa con un nulla di fatto. I partecipanti hanno segnalato il “bisogno urgente” di agire contro il riscaldamento climatico, ma senza arrivare a un accordo su alcuni punti essenziali. Greenpeace: "Hanno vinto le imprese inquinanti".

Già nel 1979 il Rapporto Charney www.lifegate.it/persone/...  firmato da un gruppo di climatologi, aveva lanciato l'allarme sui possibili effetti delle attività umane sul clima. Dal 1992 con la Convenzione di Rio fino al forum di Davos del 2019, la concentrazione di CO2 nell'atmosfera anzichè diminuire è salita del 26% e del 44% dall'inizio dell'epoca industriale. Secondo gli scienziati se le emissioni di gas serra rimangono ai livelli attuali il pianeta si riscalderà di 4 o 5 gradi in questo secolo innescando fenomeni meteorologici estremi e facendo aumentare anche il livello del mare.

Siamo da tempo "abituati" a fenomeni estremi come siccità, temperature insostenibili, ondate di calore, tornado, uragani, trombe d'aria, alluvioni, bombe d'acqua, eccessiva acidificazione degli oceani, scioglimenti di immense superfici ghiacciate, perdita di biodiversità animale e vegetale....Da quanti decenni ci diciamo che le stagioni non esistono più?

Ma dobbiamo sperare e credere che l’intelligenza dell’uomo abbia il sopravvento sul suo interesse. Il coinvolgimento dell'opinione pubblica e la stessa percezione dell'aggravarsi della crisi che i devastanti incendi di questi ultimi mesi nel mondo hanno sottolineato, possono spingere i governi a prendere finalmente sul serio il tema. Solo in Italia, secondo la Banca dati europea sugli eventi estremi (Eswd) nel 2018 se ne sono registrati 1026 a fronte dei 600 del 2017, 531 del 2016 e i 363 del 2010. Le opinioni sono volubili ma i numeri non mentono. Il decennio 2010-2019 è stato il più caldo da quando si registrano le temperature.


SEGNALI E AVVERTIMENTI


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Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”.
Dante Alighieri

  • Secondo il premio Nobel per la chimica Paul Krutzen e il biologo Eugene Stoermer ma anche secondo la Società internazionale dei geologi, siamo entrati nell'era geologica dell'Antropocene, concetto ancora confinato alla comunità scientifica. E' l'era connotata dall'impronta devastante dell'uomo sulla Terra. Un impatto che ha raggiunto proporzioni tali da essere equiparato alle trasformazioni subìte dalla Terra nelle ere geologiche precedenti.  La nostra condotta (dell'Homo deus di Yuval Noah Harari o dell'Homo stupidus stupidus stupidus di Vittorino Andreoli) provoca, non solo il surriscaldamento globale, ma anche l'acidificazione degli oceani e limita fortemente la riproduzione di molte specie animali avviandole all'estinzione. Non soltanto: "Ci stiamo avvicinando a passi da gigante verso il collasso". Quindi, continuando con le parole del direttore scientifico del WWF Gianfranco Bologna, "La terra non è in pericolo, è in pericolo l'umanità". Ancora: "Essere nell'Antropocene vuol dire riconoscere che, per la prima volta della vita sulla Terra, una singola specie è capace di modificare l'evoluzione. Stiamo conoscendo sempre meglio i meccanismi della natura e ci rendiamo conto che si sviluppano su processi circolari: se anche vengono prodotti degli scarti, questi sono sempre riutilizzati da qualche altra forma di vita. In natura non abbiamo inquinamento, non abbiamo rifiuti. L'uomo invece ha strutturato il sistema economico privilegiando un processo lineare: prendo qualcosa, ne faccio un prodotto che mi serve e poi lo butto".
  • Il 2 agosto 2017, il 1 agosto 2018 e il 29 luglio 2019 è caduto l'Earth Overshoot Day (EOD) del pianeta, calcolato dal Global Footprint Network www.overshootday.org/..., ovvero il giorno nel quale l'umanità ha esaurito le risorse prodotte dal pianeta nell'intero anno. Se ogni anno facessimo arretrare di 5 giorni il giorno del sovrasfruttamento, torneremmo a vivere nei limiti di un solo pianeta entro il 2050; attualmente stiamo consumando 1,7 pianeti Terra. Ridurre del 50% la componente dell’Impronta Ecologica globale dovuta all’assorbimento di anidride carbonica, sposterebbe la data dell’Overshoot Day. Nella classifica del Global Footprint Network, l'Italia non fa una bella figura visto che siamo noni nell'elenco, il nostro Overshoot Day è caduto il 15 maggio. Emerge che se tutti gli abitanti del globo vivessero come gli italiani ci sarebbe bisogno di 2,8 pianeti Terra per sostenerne i consumi. Infatti l'impronta ecologica pro capite dei Paesi europei è la più alta del pianeta insieme a quella degli Stati Uniti. Fino al 1970 il nostro pianeta era sufficiente per far fronte al consumo umano.
  • La ricerca italiana pubblicata sulla rivista Biological Theory e condotta da Paolo Rognini del Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Pisa, stabilisce che "Stiamo scoprendo che i nostri crani ospitano cervelli che danno ancora risposte ancestrali non adattative all'era in cui viviamo. In pratica abbiamo alcuni comportamenti residui di risposte arcaiche che ci porteranno a distruggere il pianeta e, di conseguenza, noi stessi, realizzando così una versione del tutto inedita dell'evoluzione: l'auto estinzione di una specie".  Rognini continua: "Siamo portatori di un atteggiamento predatorio nei confronti del mondo che ci sta intorno e solo modificando la nostra cultura riusciremo a non far scomparire la specie umana".
  • E' stato coniato nel 1947, il Doomsday Clock ovvero l'orologio planetario (orologio dell’apocalisse) che indica il tempo che resta alla civiltà umana. Lo gestisce il Bullettin of the Atomic Scientists un'associazione di scienziati dell'Università di Chicago a cui partecipano anche 13 premi Nobel. www.ansa.it/canale_.... Attualmente segna 100 secondi alla mezzanotte. Nel tempo i motivi di preoccupazione che ci hanno avvicinato all'apocalisse sono stati tanti ma oggi quello principale, secondo gli scienziati, è il cambiamento climatico. www.greenme.it/informarsi/...
  • E' in corso la sesta estinzione di massa. Entro pochi decenni circa il 75% delle specie viventi scomparirà dalla Terra. Secondo le previsioni di Daniel Rothman – geofisico del Mit di Boston, la prima e più importante università del mondo, che ha comparato il ciclo del carbonio nei periodi in cui sono avvenute le altre estinzioni di massa – già da qualche anno è in atto un aumento dei valori, tale da innescare il processo di estinzione che entro il 2100 raggiungerà il suo apice e impiegherà circa diecimila anni a trovare un nuovo equilibrio. L’aspetto più drammatico è che per la prima volta in miliardi di anni, a causare l’anomalo aumento della concentrazione di carbonio è l’essere umano.

Ma, nonostante i segnali negativi che da tempo gli scienziati hanno messo in evidenza senza ottenere attenzione, finalmente se ne parla e, forse, parlandone apertamente si troveranno i consensi per decidere di intervenire.

Si parla del cambiamento climatico, soprattutto e ufficialmente, del suo aspetto parziale legato ad alcune cause e ad alcuni effetti. Dell'effetto serra prodotto dai combustibili fossili: gas, petrolio, carbone. Così spiega anche Luca Mercalli presidente della Società meteorologia italiana. Soprattutto il carbone, che si utilizza in quanto è a buon prezzo e molti Paesi lo hanno in casa quindi non devono importarlo.

Il sistema energetico mondiale si basa su combustibili fossili per circa 82% dei consumi e solo il rimanente su fonti rinnovabili. In Italia i combustibili fossili rappresentano il 67% delle fonti di energia mentre l'energia idroelettrica, eolica, solare, geotermica, rappresentano il resto.

In generale si parla "di ridurre le emissioni di sorgenti inquinanti, siano esse di particolato ovvero le polveri sottili, oppure l'anidride carbonica con la limitazione del traffico, rinnovando il trasporto pubblico, introducendo in massa veicoli elettrici, fare in modo che l'elettrico prenda piede davvero e non resti una soluzione di nicchia, capace di generare calore ed energia in modo pulito".

Secondo gli scienziati dell' IPCC Intergovernmental Panel on Climate Change, comitato dell'ONU per il clima,  www.wwf.it/news/..., le emissioni di gas serra dovranno diminuire del 45% entro il 2030, e arrivare a zero netto entro il 2050; abbandonare gas, petrolio e carbone. Una rivoluzione energetica verso un mondo 100% rinnovabile. Quindi l'IPCC chiede a tutte le nazioni di eliminare le centrali a carbone entro la metà del secolo. Ma la Cina, pur essendo leader nelle energie pulite, continua anche a produrre sempre più carbone.

Ma non è ancora sufficiente. Conoscere la verità è la prima forma di difesa e l'inizio del cambiamento.
Purtroppo, secondo il Rapporto Eco-Media 2019 promosso da Pentapolis Onlus, lo spazio dedicato all'ambiente dai principali TG italiani risulta pari al 10% delle notizie (su 36.896 servizi realizzati solo 3.773 sono stati dedicati all'ambiente).
Le notizie sull'ambiente coprono quattro categorie: cronaca dei disastri naturali, condizioni meteorologiche, rapporto attivo dell'uomo sull'ambiente, presentazione documentaristica delle bellezze della natura e del mondo animale.
Nel 2019 le notizie relative ai temi ambientali hanno avuto però un peso maggiore rispetto agli anni precedenti. La struttura dell'agenda dei Tg Prime Time vede la preminenza delle notizie legate alla tutela dell'ambiente al 43%. Seguono quelle legate ai cambiamenti climatici 31%, casi di inquinamento 16%, gestione dei rifiuti 10%.

L'obiettivo n. 13 dell'Agenda Onu 2030 imporrebbe di intraprendere azioni urgenti per combattere i cambiamenti climatici. E' ormai incontrovertibile il fatto che le concentrazioni di anidride carbonica CO2 nell'atmosfera continuino inesorabilmente a crescere superando la quota di 410 ppm (parti per milione, unità di misura adimensionale ovvero numero puro che non ha unità di misura e indica un rapporto tra quantità misurate omogenee di un milione a uno) toccata nel 2018.

Secondo il Global Risk report 2019, i principali rischi globali rimangono legati alle tematiche ambientali, rappresentando 5 dei primi 10 rischi globali sia per “probabilità di accadimento” sia per “impatto”: in particolare, le catastrofi climatiche sono ancora il principale rischio in termini di “probabilità”. www.formiche.net/2019/....

Al sesto posto di questa classifica c'è un altro tema ambientale: la perdita di biodiversità. Questi rischi climatici, sempre secondo il rapporto, sono interconnessi con altre emergenze globali: disuguaglianze sociali, rischi geopolitici e sociali, le crisi alimentari… e secondo l'IPCC, organismo dell'ONU che ha stilato il più importante e documentato rapporto sul cambiamento climatico, ci restano solo 10 anni per fermare l'aumento delle temperature.
Il costo globale dei disastri naturali è stato stimato, negli ultimi vent'anni, in 520 miliardi di dollari l'anno e l'Italia rientra, purtroppo nei primi dieci Paesi al mondo che ha subìto in questo periodo i danni maggiori.

La Strategia Energetica Nazionale e il Piano Nazionale Energia e Clima (SEN) del 2017 www.mise.gov.it/images/... elaborato dagli Stati Generali della Green Economy in collaborazione con il Ministero dell'Ambiente e il Ministero dello Sviluppo economico, prevede di accrescere l'energia da fonti rinnovabili,  di aumentare l'efficienza energetica, e un percorso di decarbonizzazione ma, secondo l'ISPRA Istituto Superiore per la protezione e la Ricerca Ambientale, per la prima volta dal 2015, il contributo delle rinnovabili è sceso mentre la produzione da fonti fossili e le emissioni sono tornate a crescere.

Nel SEN, inoltre, si evidenzia più volte la questione dell'impatto potenzialmente negativo dell'uso di biomasse.

L'energia da biomassa è l’energia prodotta da materiali di origine organico-vegetale quali piante, alghe marine, rifiuti organici vegetali, legno, rami e legname da ardere, scarti di lavorazione dell’industria agroalimentare o del legno, scarti e reflui dell’allevamento del bestiame e residui delle attività agricole o forestali.

Secondo Ferdinando Laghi, Direttore di Medicina Interna Ospedale di Castrovillari (CS) e Vice Presidente Nazionale Associazione Medici per l'Ambiente ISDE-Italia, l'uso di biomasse di origine boschivo-forestale rappresenta una vera e propria aggressione nei riguardi dell'ambiente e della salute umana www.toscanachiantiambiente.it/... confinandole in un ambito di vera e propria speculazione economica. Speculazione che, purtroppo, si regge su normative che la sostengono e la incoraggiano, attraverso incentivi economici pubblici, cioè soldi di noi tutti, che potrebbero essere assai meglio investiti.

Quindi se ne parla, ma cosa non si dice?

Non si dice delle emissioni che riguardano gli allevamenti intensivi i quali interessano il 70-80% degli animali consumati ogni anno nel mondo a pranzo e a cena ma che producono tanti gravissimi effetti a loro strettamente collegati anche se gran parte del mondo scientifico ha preso atto che l'industria zootecnica, in continuo sviluppo,  è tra le attività che maggiormente hanno concorso e concorrono all'aumento della temperatura terrestre visto che i  principali gas serra sono prodotti naturalmente dai processi biologici.

Primo fra tutti, lo conferma la FAO Food and Agriculture Organization, organismo dell'ONU che, nel Rapporto Livestock's long shadow del 2006, poi aggiornato perchè alcune voci non erano state conteggiate
www.fao.org/3/k7930... - www.fao.org/news/story..., ha calcolato che gli allevamenti intensivi producono oltre il 50% di gas serra (GHG, Green House Gases) e quindi possono essere annoverati tra i maggiori responsabili del cambiamento climatico oltre che pesare sulle risorse alimentari e idriche, inquinamento delle acque, accaparramento delle terre, deforestazione, perdita di biodiversità, degradazione del suolo.
Aggiungiamo che influiscono sulla nostra salute, l'antibiotico resistenza, la fame nel mondo e lo spreco alimentare.

Secondo la FAO il consumo di carne potrebbe crescere del 73% entro il 2050 con effetto letale per gli ecosistemi terrestri, considerato che è prevista una crescita della popolazione mondiale che diventerà di circa 10 miliardi. L'Attuale popolazione mondiale di oltre 7 miliardi, risulta essere quasi 10 volte di più degli 800 milioni di persone che si stima vivessero nel 1750, data indicata come inizio della rivoluzione industriale e continua a crescere a un tasso di circa 83 milioni di individui l'anno.

Il rapporto FAO è stato confermato dalla Commissione Europea www.ec.europa.eu/clima/... che attesta come  cause dell'aumento delle emissioni in atmosfera siano:

  • la combustione di carbone, petrolio e gas
  • l’abbattimento delle foreste (deforestazione)
  • lo sviluppo dell'allevamento di bestiame
  • i fertilizzanti azotati
  • i gas fluorurati

Purtroppo si parla, a gran voce, soltanto e soprattutto della prima causa, ovvero dei combustibili fossili. Perché?

Occorre porre la salute, al centro della transizione ecologica, per ottenere benefici per l’economia globale e per i cittadini, come aria più pulita, città più sicure e alimentazione più sana. Questo il messaggio che hanno lanciato gli autori del report annuale “The Lancet Countdown on health and climate change”, pubblicato a metà novembre 2019 dalla rivista scientifica The Lancet.
Anche le emissioni derivanti dall’agricoltura sono aumentate dal 2000 al 2016: quelle che vengono dall’allevamento sono cresciute del 14%, mentre quelle che derivano dalla produzione vegetale del 10%. Bovini, pecore e capre contribuiscono al 93% delle emissioni totali provenienti dall’allevamento e il 62-65% di queste deriva dalla produzione di carne.
Ma l’aumento maggiore di emissioni tra il 2000 e il 2016 si deve al pollame, con un +58%. www.altreconomia.it/salute...

Brooke Barton direttrice di Ceres, l'’organizzazione no-profit che mobilita imprese e investitori per affrontare il problema della scarsità d'acqua e altre sfide alla sostenibilità www.ceres.org/about...,  ha commentato: "Ciò che stupisce e non è più accettabile, è che uno dei principali settori industriali a livello globale e tra i primissimi responsabili del riscaldamento terrestre, non abbia finora assunto alcun impegno per modificare la situazione come invece stanno facendo, per esempio, le aziende che producono energia elettrica" Da Il Fatto alimentare 20 febbraio 2019.

Il nuovo report dell'UNEP United Nation Environmental Programme e l'International Panel for Sustainnable Resource Management (Programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite), uscito il 2 giugno 2010 e intitolato "Calcolo degli impatti ambientali dei consumi e della produzione", definisce gli allevamenti di animali e i sistemi di produzione di prodotti animali tra le più impattanti e pericolose attività produttive e relativamente ai consumi di risorse e alle fonti inquinanti evidenzia senza ombra di dubbio il consumo di alimenti animali - carne, pesce, latticini - come una delle cause primarie di inquinamento, effetto serra e spreco di risorse www.scienzavegetariana.it/....
L'attuale modello alimentare è sostenuto da poche multinazionali che producono semi, pesticidi, ormoni e anabolizzanti, allevano e macellano animali, controllano la distribuzione e l'immagine del prodotto carne.

Nel nostro Paese l'ultimo rapporto Green Italy della Fondazione Symbola ha contato 432.000 imprese che investono nella green economy ma serve il superamento delle numerose barriere di un'Italia che perde terreno "sulle fonti rinnovabili, sull'efficienza energetica, sull'innovazione ambientale, sul consumo di suolo e sulle emissioni di gas serra che non calano". Comprese e soprattutto quelle derivanti da allevamenti di animali.
"Ogni aspetto del nostro sistema sociale è al collasso: dalla perdita di fertilità del suolo a causa dei metodi industriali estensivi, all'aumento del riscaldamento globale per gli aberranti allevamenti intensivi, dallo spreco alimentare che determina una perdita già in fase di produzione del 50% (FAO 2019), all'inquinamento indoor che rende le nostre case più inquinate del centro di una metropoli causando, secondo l'ONU, 4 milioni l'anno di morti premature". Dall'articolo su Vita e Salute, giugno 2019, di Lucia Cuffaro presidente del Movimento per la decrescita felice, scrittrice e conduttrice della rubrica televisiva "Chi fa da sé" di Unomattina in Famiglia RAI1.

Quando soffia il vento del cambiamento,
alcuni costruiscono dei ripari
e altri dei mulini a vento.

Proverbio cinese.


QUELLO CHE NON SI DICE


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Quando si tratta della verità e della giustizia non c‘è distinzione tra i grandi problemi e i piccoli, perché i principi generali che riguardano l’azione dell’uomo sono indivisibili. Chi non prende sul serio la verità nelle questioni minute non merita fiducia nelle questioni importanti. Questa indivisibilità vale non solo per i problemi morali, ma anche per quelli politici, perché non si possono capire correttamente i piccoli problemi se non nella loro interdipendenza con i grandi”.

Albert Einstein

Quello che non si dice, ma si dovrebbe dire perché è strettamente collegato al cambiamento climatico anche se, la negligente comunicazione, l’arrogante economia, la fragile politica, rifiutano di farlo.
Salvo persone che hanno a cuore, senza se e senza ma, l’interesse dell’umanità, che vedono lontano, oltre i confini del proprio orticello. Persone che hanno sempre parlato come voci nel deserto.
Ecco quello di cui non si parla, se non marginalmente, perché ferisce la coscienza, alleggerisce la tasca o si contesta per proteggere forti interessi economici di gruppo, ma produrrebbe quasi una mutazione genetica nel nostro comportamento: è l’enorme influenza sul cambiamento climatico degli:

Allevamenti intensivi.

I quali sono strettamente correlati a:

  1. Fame nel mondo
  2. Spreco alimentare
  3. Acqua
  4. Salute
  5. Antibiotico resistenza
  6. Deforestazione
  7. Biodiversità


ALLEVAMENTI INTENSIVI


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È vero che l'uomo è il re degli animali, perché la sua brutalità supera la loro. Viviamo grazie alla morte di altri. Già in giovane età ho rinnegato l'abitudine di cibarmi di carne, e ritengo che verrà un tempo nel quale gli uomini conosceranno l'anima degli animali e in cui l'uccisione di un animale sarà considerata con lo stesso biasimo con cui consideriamo oggi quella di un uomo

Leonardo Da Vinci


Ciò che rende la nostra fase storica, il nostro sistema sociale l’apice di un processo di civilizzazione barbarico è un sistema industriale che ha fatto della produzione e consumo, della morte o se si vuole della distruzione della vita, il suo principale business. Il quadro che presenta lo stato della nostra specie su questo pianeta è divenuto quello di un immenso campo di concentramento e sterminio per piante, animali ed esseri umani in cui questi ultimi svolgono i direttori ed esecutori di un massacro continuo secondo i diktat dell’apparato tecnico-scientifico”. Henry Beston, naturalista e scrittore americano.

L’idea di esseri umani che uccidono gli animali per vivere fa soffrire troppo. Statistiche mondiali hanno dimostrato che lavorare in un macello è uno dei lavori più pericolosi tra quelli svolti dall’uomo. Lavoro carico di violenza a tutti i livelli, dall’uccisione dell’animale alle diverse fasi di produzione di fabbrica, sottopone i lavoratori a costante pericolo di perdere la vita e la salute. Sia la loro salute fisica che quella mentale è a rischio. Studi hanno dimostrato che gli operai dei macelli sono come “storditi” dalla continua visione di violenza a cui assistono ogni giorno e questo incide sul loro comportamento: su come trattano se stessi, le loro famiglie, e gli animali con cui si rapportano, disconoscendo quasi la portata del collegamento tra uccisione di un animale uguale uccisione di un uomo.

Migliorare la salute dell’uomo e degli animali, insieme a quella delle piante e dell’ambiente, è l’unico modo per mantenere e preservare la sostenibilità del Pianeta”. Ilaria Capua virologa.

Ilaria Capua continua a ripetere che la salute umana è indissolubilmente legata alla salute degli animali e della natura. Questo concetto così semplice e universale, per anni è stato dimenticato. Milioni di animali sono oggi stipati negli allevamenti intensivi: vere e proprie fabbriche di carne in cui si sottopongono gli animali a trattamenti atroci, si usano massicce dosi di antibiotici e si inquinano acqua, suolo e aria.

Quando chi non è vegetariano afferma che i problemi degli umani sono più importanti, non posso fare a meno di chiedermi che cosa egli faccia a favore degli umani che lo costringa a sostenere l’inutile e crudele sfruttamento degli animali negli allevamenti” Peter Singer, filosofo.

Secondo le ultime stime di Animal Equality (25 marzo 2020), 150 miliardi di animali vengono uccisi ogni anno nel mondo per l’alimentazione umana. Ma non per tutta la popolazione umana.
Ecco il dato sulla crescita delle disuguaglianze economiche e sociali fotografato dall'ultimo Rapporto Oxfam, Oxford committee for Famine Relief: nel mondo 26 ultramiliardari possiedono più risorse della metà più povera del pianeta. In Italia il 5% più ricco detiene la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero della popolazione. www.oxfamitalia.org/...

Sempre secondo il rapporto Oxfam, le disuguaglianze dominano il mondo. Per dirla in un altro modo: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. L’1% più ricco possiede metà della ricchezza aggregata netta totale del pianeta (il 47,2%), mentre 3,8 miliardi di persone, che corrispondono alla metà più povera degli abitanti del mondo, possono contare sullo 0,4 per cento.

La Piramide della ricchezza: www.credit-suisse.com/...

La Piramide delle disuguaglianze: www.cnms.it/...

Pochi sono a conoscenza e comunque il silenzio è d’obbligo per occultare gli interessi dei miliardari, delle multinazionali, dei centri di aggregazione della ricchezza, che l’allevamento intensivo di animali è tra le attività che maggiormente hanno concorso e concorrono all’aumento della temperatura terrestre essendo responsabili dell’emissione in atmosfera di ben il 51% dei gas serra (GHG) soprattutto di anidride carbonica (distruzione di migliaia di ettari di foreste), metano (processi digestivi dei ruminanti, evaporazione dei composti presenti nel letame) e monossido di azoto (impiego di fertilizzanti chimici a base di azoto).

Inoltre, la massiccia presenza di allevamenti dovuta alla richiesta di carne di una popolazione umana in continua crescita, determina un degrado ambientale inarrestabile causato da: deforestazione e consumo di suolo destinato alla produzione di foraggio, emissioni inquinanti, perdita di biodiversità, sversamento di reflui zootecnici, contaminazione delle falde acquifere e numerose altre nefaste conseguenze.

Una mostruosità del nostro secolo è stata la costituzione degli allevamenti intesivi e lo sviluppo di una complessa disciplina di tortura che si chiama zootecnica. Il lager zootecnico non solo ha rimosso qualsiasi senso di responsabilità umana nei confronti degli animali domestici, ma ha fatto di più: ha volutamente ignorato le loro caratteristiche di esseri senzienti. Questa attività è letteralmente un crimine legalizzato”. Roberto Marchesini, veterinario, etologo, filosofo.

Nel 1990 l’IPCC Intergovernmental Panel on Climate Change, aveva già preso atto del surriscaldamento globale in corso e nel rapporto 2007 risultava che la temperatura media al 2005, era aumentata di 0,74°C.

Tale valore ha determinato:

  • lo scioglimento di molti ghiacciai
  • l’innalzamento del livello del mare e conseguente scomparsa progressiva delle coste
  • esondazioni e violente tempeste nel nord del mondo
  • una progressiva e sempre maggiore desertificazione in molte zone del sud del mondo
  • la riduzione dello strato di ozono
  • l’acidificazione degli oceani e l’erosione delle barriere coralline

Anidride carbonica, metano e ossido di azoto sono prodotti dei processi biologici ma l’industrializzazione e l’intensificazione sempre più spinta di agricoltura e zootecnia hanno esasperato questa situazione.

Le previsioni degli scienziati sugli esiti che il continuo aumento di temperatura potrà avere sono, ad esempio:

  • ripercussioni sull’agricoltura con iniziale aumento delle rese ma inferiori qualità nutritive
  • estinzione di specie
  • cambiamenti degli ecosistemi
  • diffusione di malattie
  • conseguenze economiche con la diminuzione dei consumi e del PIL

Per far posto ai pascoli necessari all’allevamento di animali, ampie zone sono state deforestate e con la riduzione della fotosintesi clorofilliana (cattura e trasformazione di anidride carbonica in ossigeno) si ha come effetto la diminuita capacità della vegetazione (alberi di alto fusto) di catturare la CO2 e trasformarla in ossigeno. Dal rapporto FAO risulta che ben il 70% delle aree deforestate in Amazzonia sono occupate da pascoli, il resto da coltivazioni di foraggio. Ma risulta chiaro che, continuando negli anni la pratica della deforestazione e dopo i recenti dannosi incendi del 2019, questa percentuale è notevolmente aumentata.

Il rapporto evidenzia inoltre che i terreni deforestati sono degradati e sterili per via dell’eccessivo sfruttamento. Laddove c’era il polmone verde del mondo, la rigogliosa foresta amazzonica, nelle aree sfruttate dai pascoli ora c’è il deserto e ormai, sempre secondo la FAO, i pascoli mondiali sono esauriti e non rimane che abbattere nuove foreste. www.globalwarmingmadeinitaly.net/

L’importazione di carne dal Brasile è in preoccupante ascesa. Confagricoltura segnala che nel 2018 le esportazioni di carni bovine brasiliane sul mercato UE sono ammontate a 120mila tonnellate. Con oltre 28mila tonnellate, l’Italia è stata nel 2015 il principale importatore europeo di carne bovina dal Brasile. Nel 2016 questa cifra è salita ulteriormente, con oltre 16mila tonnellate importate già nei primi sei mesi. www.corriere.it/...

In conclusione, l’Europa e l’Italia, indirettamente, contribuiscono, attraverso i propri consumi di carne, alla deforestazione dell’Amazzonia.

Secondo l’ultimo rapporto FAIRR Farm Animal Investment Risk & Return, se non ci saranno mutamenti molto significativi nella dieta globale, entro il 2050 il 70% delle emissioni di gas serra saranno riconducibile agli allevamenti e alle monocolture necessarie per ottenere mangimi. Ciò significa che ci sarà un enorme divario tra la realtà e gli obiettivi individuati per contenere il riscaldamento globale entro i due gradi. Non solo, ma anche un decimo dell’acqua della Terra sarà usata per produrre carne e latte. www.it.technocracy.news/11385/

In Italia, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ISPRA, nel suo ultimo rapporto definisce il riscaldamento e gli allevamenti intensivi di animali come i maggiori responsabili del particolato più pericoloso, quello primario PM 2,5 (l’insieme delle sostanze sospese nell’aria con dimensione fino a 100 micrometri, ovvero la millesima parte di un millimetro) mentre l’industria è al terzo e i veicoli al quarto posto. Il particolato secondario è quello con diametro inferiore a 10 micrometri, il cosiddetto PM 10, (che si forma in atmosfera da processi chimici che coinvolgono le emissioni primarie), più leggero del particolato primario e che rimane più a lungo nell’atmosfera prima di cadere al suolo ma che noi respiriamo maggiormente aumentando il rischio di patologie gravi: asma, bronchite, enfisema, allergie, tumori, problemi cardiocircolatori. Secondo l’ISPRA in Italia il 7% circa di tutte le morti per cause naturali è da imputare all’inquinamento atmosferico. Inoltre il nostro Paese è il secondo in Europa per decessi prematuri, dopo la Germania. www.greenpeace.org/italy/...

Secondo i dati dell’OMS nel 2016 circa 4,2 milioni di persone al mondo sono morte prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico. L’ISPRA punta il dito soprattutto verso gli allevamenti intensivi, principali responsabili di emissioni di ammoniaca nell’aria (il 76,7% a livello nazionale nel 2015) principale fonte di particolato secondario. Osservando i grafici si può vedere come il PM 10 è concentrato nella pianura padana e questo la dice lunga sull’epidemia di coronavirus. www.corriere.it/...

Il problema è che, mentre si può intervenire sul traffico e sul riscaldamento velocemente, non così sugli allevamenti che hanno bisogno di riforme strutturali come la riduzione del numero di animali. I dati degli ultimi sedici anni denotano come il settore allevamenti non ha subìto alcun tipo di miglioramento in termini di inquinamento da PM. Anzi, se nel 2000 gli allevamenti erano responsabili del 10,2% di particolato, nel 2016 la percentuale di PM 2,5 causato dagli allevamenti ha subìto un incremento del 32%. www.storage.googleapis.com/...

Il trend degli ultimi anni è chiaro: diminuisce l’inquinamento dovuto ad auto, moto e trasporto su strada, diminuisce quello legato ad agricoltura, industria e produzione energetica ma aumenta la quota legata al riscaldamento (che passa dal 15% del 2000 al 38% del 2016) e al settore allevamenti (che passa dal 10,2% al 15,1% in sedici anni).

L’Agenzia europea dell’ambiente stima che nel 2015 in Europa l’esposizione a concentrazioni elevate di PM, sia stata responsabile della morte prematura di circa 442.000 persone mentre stando ai dettami ben più rigidi dell’OMS, tra il 74% e l’85% della popolazione europea è stata esposta a concentrazioni superiori ai limiti. Ovvero quasi tutti noi.

La nota rivista The Lancet si è occupata dell’impatto dell’alimentazione sulla salute della popolazione e del pianeta ed ha elaborato la Planetary Health Diet con l’obiettivo di rendere l’alimentazione umana, entro il 2025, più attenta alla salute a all’impatto ambientale partendo dalla de-carbonizzazione della produzione agricola, passando dal dimezzamento degli sprechi alimentari, l’abbattimento dei consumi idrici e di suolo e l’azzeramento delle perdite di biodiversità. www.galileonet.it/...

Semi e cibo sono oggetto di speculazioni finanziarie, portate avanti dalle imprese multinazionali che nel processo di mercificazione della vita giocano un ruolo dominante. E’ un modello economico che consente la concentrazione di potere e ricchezze monetarie in un numero esiguo di “uomini” che controllano le multinazionali. Le imprese globalizzate detengono il potere di modificare le legislazioni nazionali sulla tutela della salute, di smantellare il diritto a un lavoro dignitoso, di ostacolare i processi democratici per sostituirli, imponendo riforme “strutturali”, in istituti autoritari. Tra le conquista umane, un ruolo decisivo per il miglioramento delle nostre condizioni di vita viene universalmente riconosciuto all’agricoltura. Se alla domesticazione ed alla coltivazione delle piante avvenuta nel corso degli ultimi 10.000 anni, dobbiamo produzione e scorte di cibo sempre maggiori, è anche vero, però, che all’agricoltura si sono spesso associate grandi disuguaglianze sociali, malattie, tirannie. Oggi il miliardo e passa di agricoltori distribuiti in 450 milioni di aziende agricole, in maggioranza operanti su piccola scala, si trova di fronte a due modelli di agricoltura alternativi:

  • quello imposto dall’alto, dai grandi poteri economici e finanziari, basato su genetica e chimica che, forte degli iniziali successi quantitativi, mostra da più di un ventennio tutti i suoi limiti (erosione dei suoli, perdita della biodiversità, consumi crescenti di pesticidi legati all’uso di OGM, resistenza agli erbicidi, inquinamento delle falde acquifere);
  • quello che a partire dai primi decenni del secolo scorso ha cercato di tenere in equilibrio quantità e qualità della produzione agricola e che non si serve dell’apparato biotech e della chimica di sintesi ma punta piuttosto ad un rapporto equilibrato tra ambiente ed organizzazione produttiva per un’agricoltura ed una alimentazione priva di veleni.

Una sfida apparentemente impari ma dall’esito della quale dipende ormai il futuro dell’uomo e degli altri esseri viventi sul pianeta. (Per un’altra città con Maurizio Fratta, Vandana Shiva, Salvatore Ceccarelli, Antonio Guerrini, Gianni Tamino, Aldo Zanchetta) www.perunaltracitta.org/...

La conversione del sistema produttivo di tutti gli allevamenti del globo richiede sforzi e costi considerevoli e costituisce una sfida economica tra le più imponenti del nostro tempo. Ma il ricercatore dell’Università di Oxford, Joseph Poore, ricorda che ogni anno si spendono almeno 500 miliardi di dollari in sussidi agricoli e che ci sono quindi molti soldi già in circolazione con cui si potrebbe dare inizio al cambiamento.


COME VIVONO GLI ANIMALI NEGLI ALLEVAMENTI?


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Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l’abitudine ai furgoni dove le bestie agonizzano senza cibo né acqua dirette al macello.

Marguerite Yourcenar

Vivono in condizioni inaccettabili, fanno una vita terribile, in spazi minimi che spesso non consentono loro neppure la facoltà di stendere le ali, di muoversi, non vedono mai la luce del sole, non calpestano l’erba. Migliaia di animali rinchiusi in minuscoli spazi o in gabbie sovraffollate, privati di tutti i loro bisogni etologici, di qualsiasi movimento naturale o rapporto affettivo. Ammalati, distrutti, l’ombra di se stessi, arrivano terrorizzati al momento dell’uccisione in quelle macabre “catene di smontaggio” che sono i macelli. Questa è la regola, è norma di legge. Anche per gli animali che “sembra” abbiano una legge. Quelli invece senza alcuna legge specifica che li gestisca negli allevamenti sono tanti: 340 milioni di conigli, 170 milioni di anatre, 150 milioni di tacchini, 83 milioni di pecore,10 milioni di capre, 88 milioni di bovini, un miliardo di salmoni, 440 milioni di trote.

In Italia la maggior parte degli allevamenti sono intensivi. Ecco alcuni esempi, solo alcuni dei tanti orribili luoghi di tortura di animali. Luoghi debitamente occultati, ipocritamente illustrati come favole, indegnamente legalizzati.

Ma è facile trovarne molti altri sulla rete.


MAIALI


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Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà.

Emile Zola

I maiali sono allevati in grossi capannoni e ingrassati fino all’immobilità. E’ negato loro qualsiasi comportamento della specie, come esplorare o scavare il terreno o l’innato senso della pulizia perché obbligati a urinare e defecare nello spazio occupato, pavimentato a cemento. I maiali, tanto miti e pacifici, in queste condizioni si ribellano, aggrediscono i loro compagni, divorandosi la coda e le orecchie l’un l’altro. Per evitare questo, l’allevatore (l’operaio e quasi mai il veterinario) provvede al taglio della coda e alla stroncatura dei denti, senza anestesia.

Ma un’altra tortura, sempre senza anestesia, è riservata ai lattonzoli, maialini di una settimana: la castrazione. Viene fatta per evitare l’odore di verro nella carne macellata.

Le scrofe passano gran parte della loro vita all’interno di gabbie. Lo scopo per il quale vengono allevate è la riproduzione, un processo continuo. È per questo che in fase di gestazione, parto e allattamento, vengono confinate in gabbie che causano problemi fisici, come piaghe da decubito e disfunzioni alle zampe, quindi enorme sofferenza. All’interno delle gabbie infatti è praticamente impossibile qualunque movimento.

Descrizione sintetica di alcune delle situazioni documentate:

  • Cadaveri di maialini abbandonati nei corridoi
  • Maialini mummificati, corpi in decomposizione
  • Un operatore che uccide un maialino scagliandolo contro il muro
  • Animali agonizzanti abbandonati nei corridoi esterni
  • Scrofe costrette in gabbie troppo piccole, coperte di ferite e con piaghe da decubito
  • Animali ammassati e costretti a vivere in condizioni di sovraffollamento
  • Maiali coperti di feci e urineMangiatoie piene di feci
  • Maialini con ferite aperte
  • Un operatore che urina in mezzo ai recinti
  • Infestazioni di blatte, topi e vermi
  • Resti di testicoli e pezzi di corpi abbandonati nei recinti e nelle gabbie
  • Scrofe costrette a vivere bloccate tutta la vita tra feci, urine e resti organici
  • Liquami non smaltiti adeguatamente in un fossato adiacente all’allevamento e ai campi





MUCCHE DA LATTE


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La compassione per gli animali è la più preziosa qualità dell’uomo
e io sono tanto più felice quanto più la sviluppo in me.

Lev Tolstoj

Le mucche “da latte” sono selezionate geneticamente ed inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Macchine. Dall'età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri (provocando, in entrambi, un trauma), perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in minuscoli box larghi poche decine di cm, in cui non hanno nemmeno lo spazio per coricarsi, e quindi neanche la possibilità di dormire profondamente. Sono alimentati con una dieta inadeguata giusto per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al macello. La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l'ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate per il latte soffra di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle).

Negli ultimi anni, le cose sono andate peggiorando, e una mucca viene "consumata", nel vero senso della parola, in soli 2-3 anni. A volte succede che le mucche sfruttate per il latte, al momento della macellazione siano così esauste che non riescono nemmeno a stare in piedi, e vengono portate al macello trascinandole di peso e causando loro una sofferenza estrema che si aggiunge a quanto già patito negli anni precedenti. Sono chiamate "mucche a terra", animali talmente consumati da non essere più in grado di stare sulle proprie zampe.





GALLINE OVAIOLE


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E’ vero cho l’uomo è il re degli animali, perchè la sua brutalità supera la loro. Viviamo grazie alla morte di altri. Siamo tombe ambulanti.

Leonardo da Vinci

Negli allevamenti di galline ovaiole non ci sono esemplari maschi, dato che non depongono uova e la loro carne non ha valore commerciale. Sono considerati uno scarto e quindi i pulcini maschi vengono tritati vivi nell’apposita macchina o soffocati appena nati.

Sovraffollamento, stress, cattiva igiene della lettiera e movimento limitato creano fenomeni di plumofagia, patologia che induce le galline a strappare le penne a se stesse o alle compagne. Per limitare questo problema, appena nate subiscono il debeccaggio, ovvero il taglio del becco. Contenendo quest’organo terminazioni nervose, l’intervento provoca grande sofferenza.

Le galline sono rinchiuse in capannoni di cemento e non vedono mai il sole. L’esposizione alla sola luce artificiale provoca anemia, visibile nelle creste abbassate e nelle zampe pallide, e un generale stato di apatia.







PESCI


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Gli animali non sono prodotti a nostro uso e consumo. Non dobbiamo agli animali misericordia, bensì giustizia.

Arthur Schopenhauer

In genere si pensa che la maggior parte dei pesci venduti al supermercato siano stati pescati in mare, ma non è affatto così. Si stima che entro il 2030 il 60% del pesce consumato deriverà dagli allevamenti ittici e già negli ultimi anni, in Italia,  abbiamo raggiunto il 51%, quando solo nel 1974 era il 7%.

Oggi, per sostenere la domanda, l’acquacoltura è già in tutto e per tutto una tipologia di allevamento intensivo simile a quello di mucche, maiali e polli, con lo stesso tipo di dinamiche volte alla massima produttività a discapito delle condizioni di vita degli animali.

Fin dalla riproduzione, la vita dei pesci allevati risulta molto stressante. Per esempio per le trote che sono i pesci maggiormente allevati, i riproduttori vengono tenuti fuori dall’acqua e strizzati dagli operatori per raccoglierne le uova. Questa manipolazione è molto stressante per gli animali.








Più delle parole, sempre limitate, scarne, inefficaci, parlano i video. Le investigazioni effettuate da volontari di associazioni, con risultati per loro devastanti dal punto di vista psicologico, sono condensate in molti video.

Animali sfruttati come fossero merce già confezionata nei vassoi di polistirolo. Merce chiamata carne che ormai più non vede, non sente, non allatta, non nidifica, non nuota, in una parola, non vive. Considerati numeri, semplici oggetti all’interno di una crudele catena di montaggio, devono crescere rapidamente per essere trasformati in prodotti di consumo nel minor tempo possibile.

In definitiva, siamo tornati indietro, al tempo di Cartesio e della sua teoria secondo cui gli animali amputati, tagliati, infilzati non erano che macchine e se si lamentavano, gridavano, urlavano, i loro lamenti erano paragonabili al rumore delle lancette di un orologio. Con la differenza che, nel 1600, gli animali condannati ai supplizi erano migliaia, milioni, oggi sono 170 miliardi ogni anno. www.gabbievuote.it/gli-animali-in-italia.html

Avere il potere di uccidere non significa avere il diritto di farlo.

La denominazione europea di “benessere animale” che fa riferimento a un insieme di regole che determinano le modalità di detenzione, tortura e sterminio di esseri viventi innocenti, è semplicemente una vergogna. Anzi, una vera e propria truffa legislativa ai danni dei cittadini europei che, rassicurati da una denominazione volutamente così falsa e fuorviante, immaginano che sia in qualche modo preso davvero in considerazione il benessere degli animali ingiustamente coinvolti in una orribile spirale di terrore. Il solo fatto di associare il termine “benessere” a specifiche procedure di sterminio è quanto di più disumano (o forse troppo umano? Nietzsche) esista e riporta alla mente le cancellate di ingresso dei molti lager nazisti con su scritto “Arbeit Macht Frei” (il lavoro rende liberi)”. Sauro Martella fondatore di Network Veganok.

La carne degli animali, oltre che aumentare il rischio di malattie cardiovascolari e tumorali può avere altre conseguenze dannose per la salute umana. Il primo punto critico è la stessa alimentazione degli animali trasformatasi radicalmente con la cosiddetta “agricoltura scientifica” il cui scopo è il maggior risparmio possibile. Per questo alcune componenti della dieta naturale degli animali sono state sostituite con materie prime di minor valore, a volte rifiuti veri e propri, tra i quali farina di carne con ossa, lieviti da petrolio, farine di sangue, siero di latte, scarti essiccati di uova e anche se queste sostanze di origine animale non sarebbero ammesse, le trasgressioni sono numerose”. (Monia Farina, biologa, in Prima causa di morte)

Sempre secondo Monia Farina, anche nell’acquacoltura, allevamenti di pesci, i problemi sono i soliti degli allevamenti di animali a terra. Invece, nei pesci pescati in acque libere il pericolo è relativo all’inquinamento. Nei tessuti dei grandi pesci come il tonno, le sostanze nocive quali il mercurio ed altri metalli pesanti, si accumulano con concentrazioni di 1000 e anche 10.000 volte superiori a quelle presenti nelle acque. Ad esempio si stima che circa l’80% della diossina assorbita dai finlandesi, derivi dal pesce di cui si nutrono abbondantemente. In Italia la laguna di Venezia è particolarmente ricca di metalli pesanti e diossina.

Gli animali degli allevamenti, oltre ad essere i maggiori produttori al mondo di metano, il secondo gas che contribuisce all’effetto serra, sono anche una delle cause più importanti di inquinamento dell’aria e dell’acqua. Almeno l’80% delle emissioni di ammoniaca dipendono dalle deiezioni degli animali e dai fertilizzanti. La prima catastrofica conseguenza sono le piogge acide che distruggono suolo e foreste.

Altro studio sul riscaldamento globale è quello su Climate Policy focalizzato sul consumo di carne, responsabile, secondo gli scienziati dell’Università di Harvard autori della ricerca, di almeno metà delle cause che hanno portato a un innalzamento della temperatura di 1,5°C. Come interventi primari, ai quali dovrebbero essere ispirate le scelte politiche, in questo caso gli autori ne indicano tre:

  • Riconoscere che il numero di animali allevati ha raggiunto il massimo tollerabile (livestock peak), che essi sono i responsabili principali dell’emissione di metano e gas azotati, e che tale situazione deve cambiare subito; tra questi gas, il metano è particolarmente pericoloso, perché ha una capacità di contribuire all’effetto serra pari a 85 volte quella della CO2, e perché le previsioni, a oggi, dicono che aumenterà di 60 volte entro il 2030.
  • Iniziare il cambiamento del sistema a partire da modifiche relative all’allevamento degli animali che hanno una maggiore impronta ambientale, e cioè bovini da carne e da latte e maiali;
  • Introdurre o promuovere solo alimenti che rispondano a caratteristiche ben precise dal punto di vista della salute e del pianeta.

A conferma di quanto sopra sia importante e di come sia recepito dai cittadini, la domanda di prodotti alimentari a base vegetale è aumentata del 140% in pochi anni secondo Business Insider il giornale online che si occupa di aziende, capitali e investimenti. Altro esempio è la mossa di Wework, l’azienda americana che si avvia a diventare un colosso, ha bandito da tutte le sue sedi e attività il consumo di carne, puntando il dito sugli allevamenti di animali ritenuti tra i principali responsabili dell’inquinamento ambientale.

Gli allevamenti sprecano enormi quantità di acqua, molte migliaia di litri per produrre un solo kg di carne. Il Governo italiano dovrebbe bloccare il sostegno agli allevamenti intensivi e salvare l’agricoltura ecologica, su piccola scala, l’unica che può garantire salute per gli esseri umani e per il pianeta. Ora è il momento di agire in quanto prossimamente l’Europa dovrà definire la nuova Politica Agricola Comune PAC, ovvero l’insieme di regole per l’assegnazione di sussidi e incentivi agli agricoltori e allevatori europei.

Infine, gli allevamenti intensivi sono luoghi di contagio per definizione e ogni anno ci sono ondate di epidemie che causano stragi incalcolabili tra gli animali. Il perché è presto detto e ripetuto: sovraffollamento, condizioni igieniche estreme, antibiotici usati in maniera incontrollata. Questo è il terreno ideale per diffondere e rafforzare un virus.

La peste suina africana (PSA) è una malattia virale che colpisce maiali e cinghiali, altamente contagiosa e spesso letale per gli animali. Dall’Africa sub-sahariana l’epidemia è arrivata nel 2007 in Georgia, Armenia, Azerbaigian e da lì nel 2014 nei paesi dell’est Europa per arrivare nel 2018 anche in Belgio. In Italia è presente già dal 1987 in Sardegna, regione che da otto anni è soggetta al blocco delle esportazioni di carne di maiale per via del continuo riaccendersi di focolai.

Negli ultimi mesi questa piaga ha colpito soprattutto gli animali cinesi, oltre 150 milioni di maiali coinvolti. Per capire l’entità della devastazione provocata da questa malattia basti pensare che la stima di maiali macellati in Cina per l’alimentazione, nel 2019 è del 20% in meno.

Per arginare il contagio si usa un’unica soluzione: l’eliminazione degli animali infetti e di quelli che sono stati a contatto con loro. Vale a dire interi allevamenti sterminati da un giorno all’altro. Il ministro dell’agricoltura cinese ha affermato che per bloccare lo sviluppo della peste suina in Cina sono stati già abbattuti 916 mila maiali. Vittime senza colpa.

Ma questa non è una reale soluzione, né per la peste suina né per qualsiasi altra epidemia. I focolai si spengono, ma poi si spostano e ritornano.

Non siamo però soddisfatti.

Si inventano mega stalle e mega allevamenti avicoli che si stanno diffondendo, non solo in USA e in Cina, ma anche in Brasile e Africa. In Cina pare che oggi il 70% degli allevamenti siano “landless farm” (fattorie senza terra) e, infatti, in 40 anni la Cina ha quadruplicato la propria produzione animale ed è l’avidissimo mercato di mangime (come la soia) oggetto, non a caso, dei litigi daziari fra cinesi e americani. www.agronotizie.imagelinenetwork.com/... Mega farm, per esempio, che imprigionano 100.000 mucche da latte con dimensioni 40-50 volte maggiori dei maggiori impianti europei e almeno 3 volte quelli americani. Cartesio, in relazione a questi allevamenti, diventa un pivello.

Ecco la parte sublime, condita con la parte tossica, dell’art.13 del Trattato di Lisbona, ricetta classica degli esseri umani che non hanno il coraggio di tracciare un fossato tra verità e menzogna, tra etica e interessi, tra bene e male:
Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell'Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale.”

Solo parole perché gli animali, nonostante siano dichiarati esseri senzienti (che sentono, soffrono, hanno paura…proprio come noi), si imprigionano, si amputano, si torturano, si macellano, si uccidono nei mille modi che l’essere umano ben conosce e senza che nessun controllo venga effettuato, senza che nessuna pur imperfetta legge venga applicata. Almeno nella stragrande maggioranza dei casi, delle comunità, dei Paesi.

Recenti studi realizzati all’Università di Harvard e pubblicati su Nature, non fanno che confermare un aspetto molto importante e cioè che in questo momento storico, fatto di cambiamenti climatici, virus e incertezze profonde circa la sicurezza sanitaria e la salute globale, l’uomo non ha bisogno di mangiare carne o altri derivati per ricevere tutti i nutrienti di cui ha bisogno.

Il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro WCRF, è stato istituito per favorire la prevenzione dei tumori attraverso la ricerca e sua divulgazione. Sia il WCRF che l’American institute of cancer research AICR, dopo aver concluso una panoramica di circa 7.000 studi scientifici, hanno elaborato alcune raccomandazioni che tengano conto della prudenza nell’articolarle, tra le quali: consumare in prevalenza cibi di provenienza vegetale, limitare il consumo di carni rosse e di carni lavorate e conservate.

In questo momento della nostra storia, è un imperativo evolutivo non mangiare animali perché gli allevamenti intensivi stanno uccidendo il Pianeta”. Howard Lyman, attivista e saggista statunitense.

L’uomo è ciò che mangia

Ludwing Feuerbach


FAME NEL MONDO


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

Immaginare la fame di chi ha fame
la sofferenza di chi soffre
Il freddo di chi è nudo
la solitudine di chi è solo:
a conti fatti Dio è questo
e il resto vale ben poco.

Da Piccolo Karma di Carlo Coccioli

La giornata mondiale dell’alimentazione istituita dalla FAO Food and Agriculture Organization of United Nations, ha un obiettivo ambizioso: annientare la fame nel mondo entro il 2030. Dichiara che per raggiungere l’obiettivo “dobbiamo adottare uno stile di vita più sostenibile”. Ovvero, secondo la ricerca dell’Università di Oxford pubblicata sulla rivista Nature, si sostiene che nutrire circa 10 miliardi di persone sarà possibile solo cambiando il modo in cui mangiamo e il metodo in cui produciamo cibo. Occorre: "ripensare il modello di produzione del cibo, allevamenti e consumo di acqua; mangiare il 75% in meno di manzo, il 90% in meno di maiale e metà del numero di uova; triplicare il consumo di legumi e quadruplicare i semi oleosi". www.ehabitat.it/2020...

La FAO stima che entro il 2050 i consumi di carne, se continueranno di questo passo, raddoppieranno e simili cifre si traducono in un sensibile incremento degli allevamenti intensivi. Sfamare la popolazione umana attuale e anche fosse più numerosa, è possibile ma non in base al modello alimentare occidente, purtroppo imposto o imitato anche in altri paesi. Per sfamare tutti sarebbe necessario ridurre drasticamente i consumi di prodotti animali dei paesi industrializzati e fermare quelli globali. Raddoppiare i già altissimi numeri di animali allevati, industria terrestre e acquacoltura, significherebbe portare la Terra al collasso sotto il punto di vista ecologico, sanitario ed economico oltre che etico. E non basta. Servirebbero altri 3-4 pianeti per evitarlo. www.cfpaldomoro.it/...

Solo il 20% della popolazione mondiale ha regolare accesso alle risorse alimentari, mentre il 26% della superficie terrestre è invaso dagli allevamenti di animali ai quali è imputabile la produzione annua di 1,5 miliardi di tonnellate di deiezioni che, se non ci saranno cambiamenti, nel 2030 (anno previsto per emissioni zero di GHG) diventeranno 5 miliardi.

Gli allevamenti intensivi sottraggono grandi quantità di cereali all'alimentazione umana per alimentare gli animali e accaparrano terreni per i pascoli e le colture di foraggio. I Paesi industrializzati impiegano ben 2/3 della loro produzione cerealicola per l'allevamento degli animali e 36 dei 40 Paesi più poveri del mondo esportano cereali negli Stati Uniti dove il 90% del prodotto viene utilizzato per nutrire gli animali destinati al macello. Inoltre per il pascolo e la produzione di foraggio si accaparrano (land grabbing) le terre migliori di questi Paesi.

Il land grabbing è un fenomeno che sta creando crescenti disuguaglianze tra chi si impadronisce di questa risorsa essenziale alla vita, con acqua, semenze e biodiversità, e chi ne viene espulso o ridotto a dipendenza senza più autonomia. E’ un fenomeno guidato da interessi economici e politici di poteri sovrani ed imprenditoriali che non tengono conto dei bisogni, dei diritti e delle speranze delle comunità locali.

Nonostante la legge internazionale (Convenzione ILO 169 delle Nazioni Unite) riconosca i diritti territoriali delle popolazioni indigene e il loro diritto di vivere nelle loro terre nel modo che preferiscono, le compagnie e addirittura i governi interessati ad invaderle, sono i primi a non rispettarla. www.gfbv.it/3dossier/...

E’ facile e anche logorante doversi domandare: perché si emettono le leggi se poi non vengono rispettate né fatte rispettare?

I casi raccolti nel nuovo rapporto FOCSIV www.focsiv.it/wp... offrono dati, informazioni, e raccontano storie di sopraffazione delle comunità più povere, che non hanno più diritto neanche alla loro terra, alla loro sopravvivenza. Esse sono rappresentate come un ostacolo al progresso. I padroni della terra non sono più i suoi custodi ma ristrette élite politiche ed economiche che decidono dello sviluppo di tutti. Si accaparrano le terre ma anche la nostra intelligenza e la nostra coscienza.

In Paraguay, per esempio, le foreste in cui vivono gli ultimi indiani incontattati del Paese vengono abbattute per fare spazio agli allevamenti che servono i mercati europei, russo e nordamericano. I gruppi di indiani incontattati sono costretti alla fuga.
Queste popolazioni non hanno difese immunitarie contro le malattie portate dall'esterno e rischiano di essere sterminati.  

Nel settembre 2013 Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni www.survival.it/, ha scritto alla Commissione europea per sollecitare un'indagine sulle importazioni di "carne" che mette in fuga  gli Ayoreo  del Chaco  (una delle principali regioni geografiche del Sudamerica che tocca Argentina, Bolivia, Brasile e Paraguay). Il loro territorio è stato acquistato da speculatori e allevatori che lo stanno rapidamente deforestando.

Alcune grandi aziende argentine che lavorano ed esportano carne sono "legate alla deforestazione del Gran Chaco, la seconda più grande foresta tropicale dell'America Latina dopo l'Amazzonia”. Lo denuncia Greenpeace, che pubblica oggi il rapporto "Foreste al macello", frutto di un'indagine durata oltre un anno www.greenpeace.org/...

Gli indiani Guaranì brasiliani www.survival.it/popoli/guarani sono stati allontanati dalle loro foreste disboscate per gli allevamenti e ridotti a vivere ai margini di una superstrada. Soffrono enormemente per la perdita quasi totale della loro terra che è stata completamente invasa e devastata da allevatori e imprenditori agricoli. Per i Guaranì, la terra è origine di ogni forma di vita. I loro leaders vengono assassinati, e i loro bambini muoiono di fame. A centinaia si sono tolti la vita e quelli che si sono ribellati, sfidando le violente reazioni degli allevatori e dei loro sicari, sono stati uccisi.

L'elenco dei popoli indigeni strappati alle loro terre è lungo, non solo nel Chaco e nella foresta amazzonica ma anche nell'Africa meridionale come i Boscimani.

Dovremmo passare da un sistema fondato sull'accaparramento e la prevaricazione, a quello basato sulla distribuzione solidale e l'accoglienza. La Terra è una sola e per quanto ci si comporti da Homo Deus (Homo Deus di Yuval Noah Harari della Hebrew University di Gerusalemme) resteremo Homo (e neppure sapiens) perchè Deus è qualcun altro.

Se tutti i terreni coltivabili della Terra venissero usati esclusivamente per produrre alimenti vegetali si potrebbe sfamare una popolazione cinque volte superiore a quella attuale. Verrebbe pertanto risolto il problema della fame nel mondo.

Invece, su scala mondiale, il 90% della soia e il 50% dei cereali prodotti sono destinati a nutrire gli animali di cui si alimentano i Paesi ricchi lasciando denutriti i Paesi in cui la morte per fame è all'ordine del giorno. L'animale considerato come macchina che trasforma risorse vegetali in "carne", è pertanto completamente inefficiente: consuma molto e produce poco, sia in termini di chilogrammi di alimento che in termini di proteine trasformate.  Sono "fabbriche alla rovescia" ovvero a perdere. Il consumo è enorme ma la resa è poca. Per ottenere 1 kg di carne si arriva a consumare 15 kg di vegetali.

In un mondo di abbondanza è difficile capire perché in tutto il pianeta quasi un miliardo di persone siano affamate o sotto alimentate e che ciò non accada perché non c'è abbastanza cibo per tutti o per mancanza di risorse, se non perché i Paesi ricchi sprecano un'enorme quantità di cereali, per nutrire mucche maiali, polli, ecc.ecc., solo per soddisfare desiderio e ingordigia.

Ogni anno viene pubblicato il rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World www.data.unicef.org/..., grazie al lavoro e alla collaborazione di diverse agenzie delle Nazioni Unite tra cui FAO, IFAD, UNICEF, WFP e WHO e secondo tale studio 155 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni sono sotto-sviluppati (troppo bassi per la loro età), mentre 52 milioni soffrono di deperimento cronico, il che significa che il loro peso non è adeguato rispetto alla loro altezza. Secondo il rapporto del 2018, oltre 821 milioni di persone soffrono di denutrizione cronica, pari a circa il 10,8% della popolazione mondiale e un ulteriore 26,4%, pari a 1, 3 miliardi, sperimentano l'insicurezza alimentare moderata o grave. In totale oltre 2 miliardi di persone. Il dato è in crescita. Il rapporto spiega anche che, per far fronte ai futuri cambiamenti climatici, si dovranno rafforzare la capacità adattativa dei sistemi alimentari e la resilienza climatica, cioè l'attitudine a ridurre e assorbire i danni.

Nel suo libro "Ecocidio - Ascesa e caduta della cultura della carne", del 1992, Jeremy Rifkin (uno degli economisti più famosi, sociologo, saggista) formula una precisa accusa verso la "cultura della carne" imperante in Occidente, che sarebbe responsabile da un lato di numerose malattie, dall'altro di enormi squilibri ecologici e della sottrazione di grandi quantità di cereali all'alimentazione umana, incrementando così la povertà e la fame nei paesi del Terzo Mondo.

Se il problema non sarà arginato bisognerà mettere in conto un grande spostamento di persone, i migranti climatici, costretti a lasciare le loro terre a causa di desertificazioni, inondazioni e altri fenomeni estremi.

Ciò che l'industria dell'allevamento non ammette è che il sistema attuale produca già sufficiente cibo per nutrire tutti e anche di più. Fino a che la parola d'ordine, la base del sistema sarà: "produrre per consumare" (ovvero lasciarci manovrare per consentire a pochi di accumulare ricchezze), niente potrà cambiare e l'umanità dovrà assistere alla propria distruzione. La Teoria del Caos insegna. La Teoria tratta dell’analisi di sistemi che, per quanto siano descritti in modo esatto da equazioni matematiche, presentano un comportamento caotico e apparentemente casuale poi tradotto in "effetto farfalla" (il battito d'ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas).

L'allevamento intensivo rappresenta un terzo della produzione globale ed è responsabile di alcuni dei maggiori danni alla salute pubblica e all'ambiente e della più grande inefficienza alimentare del pianeta. Infatti fra i 17 obiettivi del'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile stilata dall'Intergovernmental Panel on Climate Change IPCC dell'ONU, compare il cosiddetto "target zero" che si propone di "porre fine alla fame, raggiungendo la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un'agricoltura sostenibile" perchè "il consumo di alimenti provenienti da allevamenti intensivi non solo ha un impatto devastante sugli ecosistemi ma se non diminuiremo i gas serra rilasciati dagli animali nell'atmosfera, il riscaldamento globale è destinato a causare una crisi alimentare entro il 2050".

Uno dei membri del gruppo di lavoro dell'IPCC, Hans-Otto Portner, dichiara infatti: "Nutrire una popolazione mondiale di 10 miliardi sarà possibile ma solo se cambieremo il modo in cui mangiamo e il modo in cui produciamo cibo. Non vogliamo dire alle persone cosa devono mangiare ma, se la popolazione dei Paesi ricchi consumasse meno carne e se i politici creassero incentivi appropriati per raggiungere questo scopo, sarebbe senza dubbio un beneficio, sia per il clima, sia per la salute umana".  Il Fatto alimentare 05.09.2019.

Se il sistema non cambia, la domanda mondiale di cibo aumenterà notevolmente nei prossimi decenni a causa della crescita demografica e dell’allineamento culturale dei Paesi emergenti all’occidente. Allo stesso tempo dovremo affrontare la costante riduzione del suolo destinato all'agricoltura perché aumentando il consumo di carne aumenteranno le emissioni di gas serra.

Gli europei ingeriscono in media, ogni giorno, il doppio di proteine del necessario quindi per arrivare a una sostenibilità ambientale ipotizzata, occorrerà ridurre il consumo di alimenti di origine animale e limitare lo spreco.

Uno studio della T.H. Chan School of Public Health di Harvard stabilisce che la forte presenza di CO2 nell'aria recherebbe effetti collaterali anche su alcune piante, in particolare riso e grano che non crescerebbero nel modo corretto. Inoltre afferma Sam Myers autore principale dello studio: "La nostra ricerca chiarisce che le decisioni che prendiamo ogni giorno, come riscaldiamo le nostre case, ciò che mangiamo, come ci muoviamo, ciò che scegliamo di acquistare, renderanno il nostro cibo meno nutriente mettendo a repentaglio la salute di altre popolazioni e il futuro di intere generazioni".

Sono sempre più numerosi gli studi su un modo di alimentarsi completamente vegetale, riconosciuto valido da autorevoli associazioni scientifiche come l'American Academy of Pediatrics, l'Academy of Nutrition and Dietetics e finalmente anche il nostro Ministero della salute nel 2016 www.vegolosi.it/news/...

Il 7 febbraio 2020 il Direttore Generale della FAO, Qu Dongyu, ha sottolineato il ruolo fondamentale dei legumi nell'affrontare l'insicurezza alimentare e per garantire a tutti un'alimentazione sana ed equilibrata, rimarcando la necessità di liberare tutto il loro potenziale per accelerare il progresso verso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile OSS dell'Agenda 2030 www.fao.org/news/...

Sulla base dei dati della FAO e dell’Organizzazione mondiale della sanità OMS sull’obesità a livello mondiale, si vede come tra il 1975 e il 2014 si sia passati dal 4,5% al 12,8% e, nei Paesi dell'Ocse (l’Organizzazione comprende 57 Stati partecipanti, di tre continenti, Nord America, Europa e Asia, e interessa oltre un miliardo di persone), al 24% del 2016. Ad oggi, più di 2 miliardi di adulti dai 18 anni in su sono in sovrappeso e 670 milioni di essi sono obesi. L’obesità e il sovrappeso stanno crescendo più velocemente della fame e ciò indica l’estrema urgenza di fornire l’accesso a diete più salutari a tutti i cittadini del mondo. È questo l’allarme lanciato dalla FAO, secondo cui è oramai chiaro un punto: il diritto al cibo ha bisogno di un nuovo approccio che comprenda il diritto a uno stile alimentare sano nella sua totalità. “Mentre la fame è circoscritta a specifiche aree, l’obesità è ovunque. Stiamo assistendo alla globalizzazione dell’obesità”, afferma Graziano da Silva direttore generale della FAO.

I Paesi più colpiti dai deficit nutrizionali potrebbero essere l'India, il Sud est asiatico, l'Africa sub sahariana e il Medio Oriente e non particolarmente interessate sarebbero le popolazioni di Europa e America. Così ci potremmo trovare davanti a una situazione paradossale: i Paesi che meno contribuiscono alle emissioni di gas serra sarebbero quelli che ne patiranno maggiormente le conseguenze dal punto di vista alimentare oltre che da quello ambientale.

L'altra faccia della medaglia oppone agli affamati gli obesi. Da una parte male e poco, dall'altra male e troppo. La denutrizione e l'obesità coesistono.

Ascoltiamo il grido dell'ONU: "Ridurre la carne per ridurre le emissioni" o, meglio, ascoltiamo Albert Einstein che dal suo punto di vista geniale, ha anticipato i tempi: "Nulla darà la possibilità di sopravvivenza sulla terra quanto l'evoluzione verso una dieta vegetariana".

Da tener presente quella famosa Piramide alimentare che ogni tanto vediamo apparire nelle riviste ma che in realtà è misconosciuta. Descrive una serie di regole nutrizionali e la carne è in punta alla piramide www.fondazioneveronesi.it/...

Ribellarsi alle imposizioni dei detentori del potere economico e rispettivi adepti è facile, ogni individuo ha la possibilità di indirizzare il mercato con le proprie scelte.  Ognuno di noi può fare la differenza. Il metodo? Informarsi.

“Uccidere gli animali per nutrirsi del loro sangue e delle loro carni è una delle più deplorevoli e vergognose infermità della condizione umana.

Alphonse de Lamartine.


SPRECO ALIMENTARE


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

Siamo tutti peccatori dietetici; solo una piccola percentuale di ciò che mangiamo ci nutre; il resto va nello spreco e nella perdita di energia.

William Osler, medico canadese, definito il padre della medicina moderna

Un altro grave problema legato all'alimentazione e quindi alla fame e quindi agli allevamenti intensivi e quindi al cambiamento climatico, è lo spreco alimentare. Ogni anno in Europa si sprecano 88 milioni di tonnellate di vegetali tra frutta e verdura, per un costo complessivo di 143 miliardi di euro (studio del Direttorato delle risorse sostenibili della Commissione europea di ISPRA recentemente pubblicato da Waste Management).

Secondo il Programma Alimentare dell’ONU che ha lanciato la campagna “Stop the Waste”, con tutto il cibo sprecato nel mondo si potrebbero sfamare circa 200 milioni di persone. Uno sperpero inaccettabile.

Da Il Fatto alimentare del 17 febbraio 2020:

  • lo spreco alimentare, che nel 2005 la FAO ha stimato interessare tra il 30 e il 40% di tutto il cibo prodotto, potrebbe avere dimensioni molto più ampie, addirittura doppie rispetto a tale stima. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università olandese di Wageningen, e pubblicato su PLOS One, prova infatti a rivalutare il fenomeno tenendo presente fattori che, all’epoca, non erano stati considerati come determinanti. Tra i nuovi elementi ci sono i comportamenti dei consumatori, che possono essere molto diversi in situazioni economiche differenti.
  • I ricercatori hanno messo in relazione la produzione alimentare, i guadagni e il consumo di calorie (sempre in base a dati della FAO e della Banca mondiale). Hanno scoperto che la quantità di cibo sprecata cresce con il reddito, a partire da una spesa media di 6,70 dollari pro capite al giorno. Inizialmente l’aumento è molto vistoso, mentre quando il reddito sale la tendenza al rialzo è meno evidente. Se si traduce tutto questo in calorie si vede come in media, a livello mondiale, si passi dalle 214 kcal (pro capite al giorno) sprecate indicate dalla FAO nel 2015 a ben 527 kcal.
  • La realtà, naturalmente, è diversa da Paese a Paese: gli Stati Uniti sono i peggiori, mentre i più virtuosi sono diversi stati africani e asiatici. Nel Regno Unito, per esempio, 250 milioni di pasti all'anno perfettamente commestibili vengono inviati come rifiuti negli impianti di incenerimento. Questo conferma indirettamente la relazione tra ricchezza e spreco.
  • Per arginare il fenomeno, gli autori indicano come priorità sia la riduzione dello spreco nei paesi più ricchi, sia la prevenzione nei paesi emergenti e in via di sviluppo, che rischiano di raggiungere quelli più sviluppati anche a livello di cibo gettato. Inoltre, i ricercatori ricordano che è stato messo in piedi un grande database, aggiornato via via che giungono nuovi dati, per poter seguire il fenomeno in modo più accurato.

Il 5 febbraio 2020 si è celebrata in Italia la settima Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, patrocinata dai Ministeri dell'Ambiente e della Salute. I numeri dello spreco sfiorano nel nostro paese cifre impressionanti: lo sperpero di cibo degli italiani vale quasi 12 miliardi di euro che sommati agli oltre 3 miliardi di spreco della filiera (produzione e distribuzione) ci portano ad oltre 15 miliardi di euro in totale pari allo 0,88% del PIL. A rivelarlo è un rapporto dell'Osservatorio Waste Watcher realizzato da SWG e da Last Minute Market spin-off dell'ateneo di Bologna www.lastminutemarket.it/chi-siamo,  società fondata per fini solidali verso i bisognosi, da Andrea Segrè. Secondo i dati raccolti in Italia si stima uno spreco settimanale di circa 700 grammi di alimenti pro capite per un valore di 3,80 euro che diventano circa 200 in un anno. A livello nazionale si parla invece di 2.000.000 di tonnellate l'anno di cibo buttato nelle case degli italiani. Ecco perchè ogni anno il Ministro dell'Ambiente, tramite la campagna Spreco Zero, premia Comuni, Regioni, imprese e scuole che si distinguono per l'impegno contro gli sprechi alimentari.

Una possibile soluzione per i paesi più ricchi è stata proposta indirettamente da uno studio uscito su Manifacturing & Service Operations Management, relativo agli Stati Uniti. Secondo una ricercatrice della Cornell University, in alcune zone, l’aumento del numero di negozi di prossimità www.koelnmesse.it/... sarebbe collegato a un calo significativo dello spreco, che potrebbe sfiorare il 10%.

Per i 29 settembre 2020 è stata proclamata dalle Nazioni Unite la giornata per la consapevolezza sullo spreco e le perdite alimentari.

In che modo si può evitare che il cibo venga buttato e che una società senza affamati si affermi nel mondo?  Tenendo presente il Sustainable Development Goals - SDGs www.asvis.it/... approvato dalle Nazioni Unite che ha, come obiettivo, il dimezzamento dello spreco da parte dei consumatori e dei rivenditori entro il 2030.

Obiettivi ONU per lo Sviluppo Sostenibile:

  1. Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo.
  2. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile.
  3. Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età.
  4. Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti.
  5. Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.
  6. Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.
  7. Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni.
  8. Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti.
  9. Costruire un'infrastruttura resiliente e promuovere l'innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile.
  10. Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le nazioni.
  11. Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.
  12. Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo.
  13. Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico.
  14. Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.
  15. Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre.
  16. Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile.
  17. Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile

Ognuno di noi può fare la differenza.

“I ricchi hanno una quantità superflua di cose di cui non hanno bisogno,
e che perciò sono trascurate e sciupate,
mentre milioni di individui muoiono di fame per mancanza di sostentamento.
Se ciascuno possedesse soltanto quello che gli occorre,
nessuno sarebbe nel bisogno e tutti vivrebbero soddisfatti”.   

Mahatma Gandhi


ACQUA


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

Acqua di monte, acqua di fonte, acqua piovana, acqua sovrana,
acqua che odo, acqua che lodo, acqua che squilli, acqua che brilli,
acqua che canti e piangi, acqua che ridi e muggi.
Tu sei la vita e sempre sempre fuggi.

Gabriele D'Annunzio

Il 22 marzo di ogni anno, dal 1992 data di istituzione da parte delle Nazioni Unite, si celebra la Giornata mondiale dell’acqua. Un bene tanto prezioso da essere nominato “oro blu”.

I cambiamenti climatici influenzeranno la disponibilità, la qualità e la quantità delle risorse idriche per i bisogni umani di base. Per tonnellata di prodotto, i prodotti animali hanno un’impronta idrica di gran lunga maggiore rispetto ai prodotti vegetali (studio di Mekonnen and Hoekstra, The green, blue and grey water footprint of farm animals and animal products). www.google.com/...

L’impronta idrica è il volume totale di acqua utilizzata o inquinata per arrivare alla produzione di un bene o di un alimento. L’impronta idrica di un vegetariano oscilla tra 1.500 e 2.600 litri al giorno, quella di una dieta mediterranea tra 2.000 e 3.400 litri mentre chi mangia carne può arrivare a 5.400 litri al giorno. Ognuno di noi gioca un ruolo importante, possiamo risparmiare acqua e ridurre le emissioni di gas serra facendo scelte responsabili nella nostra dieta e nella nostra vita quotidiana.


RISORSE IDRICHE


Per sorridere, video: www.flixxy.com/zeus...

Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che fanno male, ma a causa di coloro che stanno a guardare senza fare niente.

Albert Einstein

Tutti abbiamo bisogno di acqua per sopravvivere. Ma non ci sarebbe più acqua potabile senza fiumi, laghi e zone umide in buono stato di salute. Le risorse idriche dell'Europa sono protette dalla Direttiva Acque.

Quindi l’acqua è una vera e propria fonte di vita. E' un elemento prezioso che costituisce il 65% circa dell’organismo di ogni essere vivente e il 70% della Terra stessa (acqua, ghiaccio, neve, grandine, pioggia....).
Gli ecosistemi di acqua dolce sono i più minacciati sul pianeta e la situazione non è diversa in Europa dove il 60% delle acque non è in buono stato di salute.

La gestione sostenibile dell'acqua è un diritto umano fondamentale. L'accesso all'acqua dolce in quantità e qualità sufficienti è anche un prerequisito per lo sviluppo sostenibile, tra cui la salute, la sicurezza alimentare e la riduzione della povertà.

Nel futuro, non saranno oro e petrolio le risorse più preziose del pianeta. Questo perché, nell’ambito dello sviluppo economico mondiale, la crisi climatica farà dell’acqua la più importante, e quindi richiesta, risorsa naturale.

Inoltre, se non avremo acqua non avremo cibo perchè non avremo una terra in grado di produrlo.

Secondo l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite, entro il 2050 più di 5 miliardi di persone, contro i 3,6 miliardi di oggi, potrebbero soffrire di carenze idriche.
L'Agenzia Europea per l'Ambiente concorda www.eea.europa.eu/it/...

In Europa l'impatto della siccità si farà sentire soprattutto nella fascia meridionale del continente con il rischio di desertificazione di vaste aree (Spagna, Grecia, Italia).

Secondo un rapporto dell’UNICEF e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel mondo una persona su tre continua a soffrire uno scarso accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari. Circa 2,2 miliardi di abitanti del pianeta non dispongono di un accesso all'acqua potabile gestito in sicurezza, ben 4,2 miliardi non possiedono servizi igienici adeguati e complessivamente 3 miliardi non hanno gli strumenti basilari che occorrono per un semplice ma indispensabile comportamento igienico: lavarsi le mani. www.unicef.it/doc/...

"Con la prevista crescita della domanda di acqua dolce di oltre il 40% entro la metà del secolo e con il crescente impatto dei cambiamenti climatici, la scarsità d'acqua è una preoccupazione enorme. Entro il 2050 almeno una persona su quattro vivrà in un paese in cui la mancanza di acqua dolce sarà cronica o ricorrente. Senza una gestion efficace delle nostre risorse idriche, rischiamo di intensificare le dispute tra comunità e settori e di aumentare le tensioni tra le nazioni". Questo secondo il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Guterres.

L'allevamento intensivo è una delle attività che impiega più acqua al mondo.

L'allevamento di animali richiede l'utilizzo di enormi risorse idriche. Una parte dell'acqua richiesta dal sistema zootecnico moderno è impiegata per abbeverare gli animali: un manzo può consumare fino a oltre 80 litri di acqua al giorno, un maiale oltre 20 litri e una pecora circa 10 litri, una mucca da latte durante la stagione estiva, può consumare fino a 200 litri di acqua in un solo giorno. Altra acqua viene usata per la pulizia delle strutture di allevamento e degli animali, per i sistemi di raffreddamento e per lo smaltimento dei rifiuti.

L'acqua viene infine usata nel processo di macellazione degli animali e per la pulizia degli impianti di macellazione: secondo un calcolo fatto per ogni pollo macellato occorrono 1.590 litri di acqua. Tuttavia, il 98% necessaria alla produzione dei cibi animali è usata, naturalmente, per la coltivazione del foraggio: a tale scopo, su scala globale, vengono impiegati oltre 2.300 miliardi di metri cubi d'acqua l'anno.

Sostituendo 1 kg di carne di manzo con proteine vegetali in una settimana si risparmierebbero almeno 15.500 litri di acqua.

Wikipedia, nel suo lungo articolo "Impatto ambientale dell'industria dei cibi animali" www.it.wikipedia.org/wiki/..., raggruppa le ricerche documentate da un gran numero di istituzioni pubbliche internazionali, tra cui le seguenti:

  • L'impronta idrica (ovvero il volume totale di acqua dolce impiegata per un solo prodotto) della produzione globale dei prodotti animali nelle diverse fasi produttive - dall'irrigazione del foraggio all'allevamento dell'animale fino alla preparazione del prodotto finito - è stata stimata, nel periodo 1996-2005, in 2.422 miliardi di metri cubi l'anno, una quota che rappresenta circa un quarto dell'impronta idrica globale.
  • E’ stato calcolato che per produrre 1 kg di carne bovina occorrono 15.415 litri di acqua, 8.763 litri per 1 kg di carne di pecora, 5.988 litri per 1 kg di carne di maiale, 4.325 litri per 1 kg di carne di pollo, 3.265 litri per 1 kg di uova, 1.020 litri per un litro di latte www.osservatorioveganok.com/....
  • Oppure è stato calcolato che l'impronta idrica di un chilogrammo di carne di pollo è di 4.330 litri di acqua, 5.990 per un chilo di carne di maiale, e 10.400 per un chilo di carne di pecora. Per un chilo di carne di manzo occorrono 15.400 litri di acqua o, secondo altre stime, ben 100.000, se l'allevamento è intensivo, e addirittura 200.000 se l'allevamento è estensivo, un volume di acqua quest'ultimo sufficiente a soddisfare i consumi domestici complessivi di una famiglia europea di quattro persone per sei mesi, o di una famiglia del Bangladesh di quattro persone per quasi tre anni.
  • Per un solo uovo sono necessari circa 200 litri di acqua, 1020 per un solo litro di latte e 5060 per un chilo di formaggio. A confronto, la produzione di cibi vegetali richiede una quantità di acqua decisamente più ridotta: per un chilogrammo di riso, la coltura a più alta richiesta idrica, occorrono 2.500 litri di acqua; per un chilo di soia ne bastano 2.145, per un chilo di grano 1.827, per un chilo di mais 1.220 e per un chilo di patate 290.
  • Secondo l'UNESCO-IHE Institute for Water Education, "considerando il consumo di risorse d'acqua dolce, si dimostra più efficiente ottenere calorie, proteine e grassi dai prodotti vegetali rispetto ai prodotti animali".
  • In confronto, per una caloria da cibi animali occorre una quantità di acqua 8 volte superiore a quella necessaria per una caloria da cibi vegetali e fino a 20 volte superiore per carne di manzo.
  • Per un grammo di proteine da carne bovina occorre una quantità di acqua 6 volte superiore a quella necessaria per un grammo di proteine da legumi, e per latte e uova ne occorre una quantità 1,5 volte superiore.


FIUMI E LAGHI


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

“L'acqua di un fiume si adatta al cammino possibile,
senza dimenticare il proprio obiettivo: il mare.”

Paulo Coelho

I cambiamenti climatici causano la minor dsponibilità di acqua dolce legata alla riduzione delle piogge. Tra il 1948 e il 2004 si è verificato un calo in almeno un terzo dei fiumi più importanti del mondo a causa delle alte temperature e dei prelievi dai bacini idrici.

Secondo l'Onu, se non ci sarà un'inversione di tendenza, nel 2030 avremo già esaurito il 40% dell'acqua dolce.

Per quanto riguarda lo stato delle acque in Europa, attualmente solo il 40% di quelle superficiali è in buono stato ecologico. Questo perchè, nonostante si siano fatti passi avanti per ridurre i prelievi d'acqua ed eliminare l'inquinamento da fonti puntiformi e da azoto (derivante soprattutto da agricoltura e allevamento) le acque europee sono costantemente minacciate da inquinamento diffuso e prelievi eccessivi (rapporto Stato dell'Ambiente 2020 pubblicato a dicembre 2019 dall'Agenzia dell'Ambiente EEA) www.eea.europa.eu/it/...

Sulla rivista Enea  si legge che siamo passati dallo scioglimento alla fusione dei poli e che molti fiumi non arrivano al mare. Per approfondimenti www.eai.enea.it/....
Il problema è che la sparizione di un fiume va a compromettere l’equilibrio dell’ecosistema dell’area con conseguenze sia sulla flora, sia sulla fauna e sia sugli abitanti “umani” del territorio.

Per esempio:

  • Il Mar Morto è destinato a scomparire per sempre. Da molti anni il bacino d’acqua alimentato dal fiume Giordano che si estende nella depressione più profonda della Terra, tra Israele, Giordania e Cisgiordania, si inabissa inesorabile oltre i 423 metri sotto al livello del mare (erano 394 negli Anni ’60) e si restringe perdendo un metro all’anno, per un volume impressionante di otto milioni di metri cubi d’acqua che evaporano quotidianamente. Tutto a causa dei prelievi per l'irrigazione. Nel tratto che scorre poco prima del Mar Morto e lungo il confine tra Giordania ed Israele (151 km), è diventato un fetido ruscello, pieno di sostanze chimiche che i locali agricoltori riversano dopo averne preso l’acqua pulita e di liquami scaricati dalle fogne israeliane, giordane e palestinesi. Oltre all’inquinamento il Giordano soffre anche il male della progressiva riduzione della sua portata. www.greenme.it/...
  • Il fiume Colorado, dopo un percorso lungo 2.339 chilometri, si sta prosciugando e il lago Mead, il bacino idrico più grande degli Stati Uniti da questi alimentato, si sta svuotando. Colpa della mancanza di piogge e di otto Stati, dal Wyoming alla California fino al Messico, che si sono spartiti le sue risorse senza calcolare le possibili conseguenze www.repubblica.it/ambiente...
  • Lo Yangtze, il più lungo fiume cinese e terzo al mondo, è molto inquinato e tutti gli organismi che ci vivono rischiano l’estinzione. Dal fiume inoltre proviene almeno il 35% dell’acqua potabile del Paese. L’inquinamento, le molte dighe costruite, l’intensa coltivazione lungo le rive con ampio uso di pesticidi e fertilizzanti, il massiccio prelievo di acqua hanno causato negli ultimi anni l’estinzione di molte specie viventi compreso il delfino bianco. Ma a causa dei miliardi di tonnellate annue di rifiuti solidi e liquidi, scarichi industriali, pesticidi e fertilizzanti agricoli gettati nel corso d'acqua lottano per sopravvivere persino specie comuni come la carpa.

Le dighe cinesi stanno uccidendo il Mekong, uno dei fiumi più grandi dell’Asia e il settimo più esteso al mondo. La inusuale acqua blu indica mancanza di nutrimento per la fauna del fiume che sta morendo. Centinaia di migliaia di pescatori e contadini, che da sempre hanno vissuto grazie al Mekong, saranno costretti ad andare via dai loro villaggi. www.tpi.it/esteri/...

  • Esteso per 2.800 chilometri, l’Eufrate è il fiume più lungo dell’Asia occidentale da almeno 4000 anni. Tuttavia, in meno di cinquant’anni, il fiume ha perso due terzi del suo scarico. Sebbene il cambiamento climatico negli ultimi decenni abbia certamente svolto un ruolo importante, l’egoismo e la negligenza degli esseri umani hanno accelerato il danno.
  • Il Gange non è solo uno dei fiumi più lunghi del mondo ma è anche tra i cinque fiumi più inquinati al mondo, con una presenza di batteri fecali che supera di oltre cento volte i limiti fissati dal Governo indiano.
  • Il Fiume Giallo è il principale fiume della Cina settentrionale. E' uno dei fiumi più lunghi del mondo e il suo bacino idrografico occupa una superficie di ben 750.000 kmq.  Il corso d’acqua e i suoi affluenti sono quindi sempre stati fondamentali per l’agricoltura cinese, ma oggi le cose sono cambiate. L’inquinamento ha preso il sopravvento anche in questi luoghi e oggi il Fiume Giallo sta diventando una discarica di rifiuti industriali, che rischia di danneggiare tutto quello che tocca.
  • Il lago Ciad in Africa rischia di scomparire. Era uno dei più grandi laghi dell’Africa e si è ridotto di circa il 90%, a partire dagli anni ’60. Questa riduzione delle sue acque deriva da una diminuzione delle precipitazioni indotta dal cambiamento climatico ma anche dallo sviluppo dei sistemi di irrigazione moderni in agricoltura, nonchè dall’aumento della domanda di acqua potabile da parte delle popolazioni umane. Il progetto delle Nazioni Unite Regionale Stabilization Facility for Lake Chad, prevede il finanziamento di una serie di interventi a favore di questa regione, segnata da gravi deficit di sviluppo dovuti sia a cause naturali (depauperamento delle risorse idriche) sia alla presenza di conflittualità e di gruppi armati. www.repubblica.it/...
Ecc.ecc.

E in Italia?

I numeri dicono che le riserve idriche si sono dimezzate in appena sette anni.  Un quinto del nostro Paese è a rischio desertificazione. L’acqua dei laghi è sotto al livello medio mentre al Sud è allarme siccità con possibili seri danni all’agricoltura. In Puglia la disponibilità idrica è addirittura dimezzata negli invasi rispetto al 2019 secondo gli ultimi dati dell’osservatorio Anbi Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue. Mentre in Basilicata mancano all’appello circa 2/3 delle risorse idriche disponibili rispetto allo stesso periodo del 2019. www.terraevita.edagricole.it/...   

Siamo proprio convinti di non essere coinvolti?

Secondo il report della Commissione europea, pubblicato a febbraio 2020, in Italia solo il 43% dei fiumi sono in buona salute. A rischio 40 specie ittiche.

Per la Coalizione Living Rivers Italia che sostiene la campagna europea ProtectWater, di cui fa parte Legambiente, www.legambiente.it/..., il report della CE evidenzia come gli Stati membri manchino ai propri impegni in attuazione della normativa europea, mettendo a rischio la disponibiità d'acqua per la natura e per le persone e fa un ritratto a tinte fosche sull'applicazione della Direttiva europa Acque (2000/60/CE) www.eur-lex.europa.eu/...

La Coalizione osserva che in Italia la situazione delle acque dolci è grave e l'inadeguata applicazione della Direttiva è testimoniata dal fatto che solo il 43% dei 7.494 fiumi avrebbero raggiunto un buono stato ecologico mentre il 41% è ben al di sotto dell'obiettivo di qualità e un 16% è ancora più grave. Solo il 20% dei fiumi è in regola con la normativa europea.

La Commissione europea chiede agli Stati membri di migliorare la gestione delle aque e rileva come sia urgente un cambiamento significativo nel modo in cui si affrontano i principali fattori di pressione sulle acque (inquinamento derivante da agricoltura, uso eccessivo della risorsa idrica). "Con solo il 4% dei fiumi, laghi e zone umide europee che possono considerarsi oggi in uno stato ecologico buono, è veramente deludente se non irresponsabile constatare come lo strumento più efficace per tutelare e ripristinare gli ambienti acquatici non sia ancora oggi utilizzato pienamente" commenta la Coalizione europea Living Rivers.

Di conseguenza, la Commissione europea ha avviato procedure istruttorie Eu Pilot (scambio di informazioni tra la Commissione europea e gli Stati membri da attivare prima dell’apertura formale di una procedura di infrazione) nei confronti del nostro Paese, per violazione del diritto comunitario.

Perchè non sappiamo curare la nostra casa, il pianeta che ci ha dato la vita, la madre Terra, e ci preoccupiamo di curare soltanto il nostro piccolo orticello? Quello di 100 metri quadrati, di un ettaro, di una regione intera, di uno Stato ma non dell'intera casa?
E' veramente triste che chi ne ha conoscenza e coscienza non faccia o non riesca a fare nulla per fermare il degrado del nostro pianeta. Un degrado che prima o poi, come ormai possiamo tutti supporre, si riverserà sull'umanità. Allora sarà forse troppo tardi.


INQUINAMENTO ACQUA DOLCE


Per sorridere, video: www.video.mediaset.it/...

In nome del progresso, l’uomo sta trasformando il mondo in un luogo fetido e velenoso. Sta inquinando l’aria, l’acqua, il suolo, gli animali… se stesso, al punto che è legittimo domandarsi se, fra un centinaio di anni, sarà ancora possibile vivere sulla Terra.

Erich Fromm

Nel rapporto "Il costo nascosto della carne", elaborato da Greenpeace, gli scienziati dimostrano come, nei 29 fiumi presi a campione in 10 Paesi europei, ci sia una fortissima presenza di pesticidi e antibiotici.

Come affermato dalla FAO: «l'evidenza suggerisce che il settore dell'allevamento è la più importante fonte di inquinanti delle acque, principalmente deiezioni animali, antibiotici, ormoni, sostanze chimiche delle concerie, fertilizzanti e fitofarmaci usati per le colture foraggere e sedimenti dai pascoli erosi».

Dopo due anni e mezzo di studio sulla produzione zootecnica degli Usa la Pew Commission on Industrial Farm Animal Production´s (finanziata da Pew Charitable Trusts e Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health) ha reso nota una relazione che chiede una revisione dei regolamenti per il trattamento dei rifiuti animali da parte delle grandi fattorie americane.

La Commissione raccomanda anche la fine di pratiche agricole non sostenibili che hanno un forte impatto su sicurezza alimentare, salute pubblica, benessere animale e risorse ambientali in tutto il mondo. La maggior parte dei rifiuti animali prodotti dalle factory farms viene dispersa nel terreno senza essere trattata e, secondo la Commissione, costituisce una minaccia per le sorgenti di acqua potabile, in quanto le sostanze nutrienti contenute nei rifiuti animali finiscono spesso nelle falde idriche e nei corsi d’acqua, riducendo il livello di ossigeno negli ecosistemi acquatici.

La Pew Commission stima che oggi oltre un milione di persone consumino acqua inquinata da nitrati provenienti dall’agricoltura, compresi quelli provenienti da letame.

In Europa l’impiego di fertilizzanti azotati è regolato dalla cosiddetta “direttiva nitrati” ma l’Italia, nel 2018, è stata messa in mora per la violazione della direttiva perché il nostro Paese “non ha designato tutte le zone vulnerabili ai nitrati, non ha monitorato le proprie acque e non ha adottato misure supplementari in una serie di regioni interessate dall'inquinamento da nitrati da fonti agricole”. E’ ancora aperto il negoziato tra l’Italia e Bruxelles per risolvere il problema (avvio della procedura di infrazione n. 2018/2249): per rispondere alla Commissione europea e mettersi in regola rispetto alle irregolarità contestate il termine del 30 novembre 2019, su richiesta del ministero dell’Ambiente, è stato posticipato al 31 gennaio 2020. www.terraevita.edagricole.it/.... Il tempo è scaduto.

Secondo il rapporto FAO Livestock's Long Shadow 2006, aggiornato, le produzioni animali non si limitano a consumare una parte consistente dell'acqua disponibile a livello globale, ma sono altresì il settore che ha il massimo impatto sull'inquinamento dell'acqua. I fertilizzanti e i pesticidi usati per le monocolture intensive necessarie alla produzione dei mangimi che rappresentano una percentuale molto elevata della produzione complessiva, passano, otre che nel suolo, anche nelle falde acquifere: lo stesso avviene per le deiezioni degli animali e per le sostanze farmaceutiche usate in grandissima quantità. L'impatto ambientale di questi quattro fattori inquinanti è molto elevato.

In agricoltura, con la diffusione dei fertilizzanti a base di azoto, potassio e fosforo che negli ultimi 70 anni è cresciuto di ben 12 volte per aumentare le rese dei terreni agricoli, con l’uso  di pesticidi pericolosi come il glifosato che uccide le api, etichettato dall’OMS come “probabile cancerogeno” e con la caccia che rilascia sul terreno, nell'acqua e nel corpo degli animali il piombo delle cartucce dichiarato dall'OMS il più pericoloso dei veleni e con tante altre pratiche abominevoli si fa ricchezza, si condizionano le scelte, si governa l'umanità.

Il glifosato è l'erbicida più usato al mondo. Solo nel 2016 a livello globale sono stati utilizzati 8,6 miliardi di chilogrammi di sostanza. E' un prodotto tossico per tutte le piante essendo un diserbante non selettivo, vale a dire che elimina indistintamente tutte le erbe infestanti.

Mentre in Italia le aziende legate a Confagricoltura protestano per le proteste di chi vorrebbe eliminarlo dalla produzione, dalla vendita e dall'uso, la Corte di Giustizia europea, il primo ottobre 2019, ha dichiarato nessuno stop al suo uso, in aperta contraddizione con gli obiettivi della Direttiva UE sulle acque e le Direttive UE sulla Biodiversità, Habitat e Uccelli.

Mentre 1.300.000 cittadini europei in 4 mesi hanno firmato per l’eliminazione del glifosato, negli Stati Uniti il tribunale della California ha condannato la Monsanto che lo produce, a un maxi risarcimento.
I produttori di pesticidi dicono spesso che i loro prodotti sono necessari per gestire le erbe infestanti. Tuttavia, queste sostanze chimiche pericolose danneggiano gli ecosistemi e possono avere un impatto sulla salute umana, considerato che sono comunque veleni.

Infatti:

  • Nel 2015, lo IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che fa parte dall’OMS, ha inserito il glifosato nella lista delle sostanze “probabilmente cancerogene” (gruppo 2A).

ma:

  • L'EFSA, Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha espresso un giudizio più rassicurante, anche se le sue valutazioni sembrano essere state copiate da quelle dei produttori del glifosato. Il tema è tornato d'attualità quando si è scoperto che circa un centinaio di pagine del rapporto EFSA che ha valutato i rischi dell’uso del glifosato sono stati copiati - parola per parola - dalla richiesta di rinnovo dell’autorizzazione da parte delle aziende che lo producono.

Quanto non sappiamo?

Quanto ci viene nascosto?


SPRECO DI ACQUA


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Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato.

Giuseppe Ungaretti

In futuro, il riscaldamento globale e la popolazione mondiale che aumenta, ci imporranno di bere sempre più acqua riciclata.
Bisognerà abituarsi a berla dagli impianti di depurazione anche perchè oggi due miliardi di persone, il 70% delle quali residenti in grandi metropoli, prevalentemene nei Paesi dell'Asia e dell'Africa, non hanno abbastanza acqua e l'Onu prevede che entro il 2050 la domanda di acqua salirà del 20-30% a livello gobale.

E' ciò che afferma l'articolo pubblicato su Nature di Cecilia Tortajada dell'Istituto Water Policy della Lee Kuan Yew School of Public Policy dell'Università di Singapore e Pierre von Rensbsurg del Department of Urban and Transport Plannintg di Windhoek della Namibia https://ilfattoalimentare.it/acqua-riciclata.html. Nell'articolo si raccontano le storie di Paesi dove la lavorazione delle acque reflue (o di scarico) è molto avanzata ed utilizzata anche come acqua potabile.

Mentre metà del mondo spreca questa preziosa risorsa, l’altra metà muore letteralmente di sete: in alcuni paesi di Asia e Africa, infatti, le persone sono costrette a percorrere molti chilometri ogni giorno per procurarsi qualche litro di acqua potabile, mentre in Italia ognuno di noi, in media, ne consuma molti litri al giorno, semplicemente aprendo il rubinetto di casa anche perchè la rete idrica italiana ha perdite del 48% contro il 14% di quelle europee.

Gli italiani sono da sempre al primo posto in Europa per i prelievi di acqua potabile.

La campagna del FAI Fondo Ambiente Italiano "Acqua nelle nostre mani", in collaborazione con Finish, Bosch e il National Geographic accerta che il consumo medio delle famiglie italiane è pari a 220 litri al giorno per abitante mentre la media nord europea è di 190 litri e quella europea di 165.

Sempre secondo il FAI: "intercettiamo ed utilizziamo solo l'11% dell'acqua piovana, non recuperiamo le acque grigie nelle nostre case, usiamo poco o nulla le acque non potabili di prima falda, riusiamo solo l'1% dell'acqua che depuriamo".

Inoltre, il rapporto tra superficie irrigabile e irrigata, secondo Eurostat, in Italia è superiore persino a quello della Spagna che ha una superficie superiore e soffre di maggiore siccità.

Nei Paesi occidentali si lavorano le acque reflue affinchè non siano pericolose, poi si scaricano in mare o nei fiumi.

Secondo Alessandro Russo del gruppo lombardo Cap, a differenza del petrolio e di altre risorse naturali, l'acqua utilizzata non sparisce ma si butta via. L'obiettivo giusto sarebbe depurarla e riciclarla. In agricoltura per esempio.

Quindi dovremmo affrontare un circolo virtuoso per evitare lo spreco di questa importantissima risorsa: depurazione, riciclo e chiusura delle fessure.


CONFLITTI


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“Ogni conflitto è l'espressione tragica di un bisogno non soddisfatto.“

Marshall Rosenberg

Molti scienziati prevedono che l'acqua sarà la causa di una prossima rivoluzione mondiale.

Evidentemente il diritto universale all'acqua rimane solo uno slogan il cui proclama non basta a dissetare nè a garantire l'igiene di base ad alcuni miliardi di persone, secondo il rapporto Unicef-OMS 18.6.19 ‘Progress on drinking water www.agensir.it/...

I rapporti di Onu e Cia: “Le risorse idriche sono una vera emergenza” 22 marzo 2018 hanno affermato che "le questioni idriche sono principalmente una questione di stabilità mondiale".

E di questo passo, in un pianeta sovrappopolato e il cui equilibrio climatico sta cambiando in una direzione sfavorevole, c’è il rischio che per la sempre più strategica acqua si combatterà e si morirà.

La lotta per l'approvvigionamento alle fonti di acqua pulita è quindi una delle maggiori cause di conflitti armati. Le crisi idriche e il mancato approvvigionamento sono già oggi alla base di un significativo numero di conflitti, come si legge nel rapporto dell’Unesco The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind “Nessuno sia lasciato indietrowww.unesdoc.unesco.org/... presentato in occasione della Giornata mondiale dell’acqua il 22 marzo 2019. Rimarca il rapporto: “Se non si inverte questa tendenza, con l’aumentare della popolazione nelle zone povere del mondo (la popolazione africana, stimata oggi in circa un miliardo e 200 milioni di persone, è destinata a raddoppiare entro il 2050) e l’inasprirsi delle conseguenze dei cambiamenti climatici, in futuro sempre più conflitti saranno causati per guadagnare l’accesso all’acqua”.

Finora sono documentati dalla Banca Mondiale ben 507 conflitti legati al controllo delle risorse idriche www.sivempveneto.it/...
Mentre la popolazione mondiale si avvicina a 10 miliardi di persone, assistiamo a crisi idriche e alimentari più gravi, disordini sociali e conflitti”, ha dichiarato Charles Iceland, direttore delle iniziative idriche globali e nazionali del Wri World resources institute.  "L'acqua è spesso una causa principale trascurata del conflitto e della migrazione. Il Wps è stato progettato per aiutare i Paesi che hanno scarso accesso all’acqua a mobilitare risorse e sviluppare capacità per l’azione. Con la possibilità di prevedere i conflitti innescati in parte dai rischi idrici con 12 mesi di anticipo e con un alto grado di risoluzione e certezza geospaziale, speriamo che questo sia un punto di svolta nel contribuire a prevenire tali conflitti".

Per le Water Wars, Ismail Serageldin ex vicepresidente della Banca Mondiale, nel 1995 avvertì: “Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto l’acqua". Da Israele all’India, passando per la Turchia, sono numerosi i focolai che presto potrebbero sfociare in veri e propri conflitti armati. Il corso del Nilo, riserva idrica di molti Paesi africani; il fiume Indo in Pakistan i cui affluenti nascono in India; il bacino fluviale del Giordano e infine il controllo da parte della Turchia del Tigri e l’Eufrate, da cui dipendono Siria e Iraq, il Mekong in Asia, sono alcuni dei teatri futuri delle guerre per l’acqua.

Entro il 2030 - lo dicono i dati delle Nazioni Unite - addirittura il 47% della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato stress idrico e quindi a rischio di conflittualità.

Ma come riuscire a capire in quali zone del mondo si scateneranno conflitti violenti legati alla scarsità e alla cattiva gestione dell’oro blu? A questo tipo di domanda cerca di dare risposta il nuovo strumento lanciato dal World resources institute dal titolo "Water, peace and security" (Wps), reso noto il cinque dicembre 2019 presso l'Organizzazione meteorologica mondiale di Ginevra.


MARE


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Il mare incanta, il mare uccide, commuove, spaventa, fa anche ridere, alle volte, sparisce, ogni tanto si traveste da lago, oppure costruisce tempeste, divora navi, regala ricchezze, non dà risposte, è saggio, è dolce, è potente, è imprevedibile.
Ma soprattutto: il mare chiama.

Alessandro Baricco

I mari sono uno dei nostri migliori alleati contro i cambiamenti climatici. Assorbono oltre il 90% del calore in eccesso generato sul nostro pianeta e si calcola che abbiano catturato circa un quarto della CO2 prodotta da attività umane negli ultimi venti anni.

Ma, anche i mari sono minacciati.

Fenomeni come l’innalzamento delle temperature, l’acidificazione e la perdita di ossigeno sono ormai comuni in tutti gli oceani del pianeta e sono la triste conseguenza del cambiamento climatico in atto come ci conferma la comunità scientifica.

Infatti, se il riscaldamento globale salirà di 2° il livello del mare crescerà tra i 60 e 110 centimetri a fine secolo e gli eventi estremi marittimi che oggi avvengono una volta al secolo, avverranno ogni anno e i danni aumenteranno da 100 a 1000 volte. A dirlo è l’IPCC, il più autorevole organismo scientifico sui cambiamenti climatici. Senza tagli alle emissioni i cambiamenti saranno pesanti anche in Italia, in particolare nell’alto Adriatico. Lo afferma una ricerca di Climate Central pubblicata sulla rivista Nature Communications.

Il rapporto pubblicato dall’ONU nel maggio 2019 parla di un milione di specie a rischio di estinzione a causa dell’impatto umano, più che in ogni altro periodo della nostra storia, tra cui un terzo dei mammiferi marini. www.adnkronos.com/....

"Tra il 2021 e i 2050 - dice il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici - si ipotizza un aumento della temperatura del mare, rispetto al trentennio 1981-2010 tra 1 e 2 gradi, un aumento dell'acidificazione e una stratificazione più marcata delle masse d'acqua con il possibile instaurarsi di condizioni di anossia (mancanza di ossigeno). Le simulazioni indicano anche un aumento significativo tra i 7 e 9 centimetri, del livello del mare" che via via crescerà di parecchie decine di centimetri a fine secolo. Mari più caldi e più acidificati sconteranno una riduzione della produttività con riduzione della pesca e colonizzazione di specie aliene. Ciò che i pescatori e i governi non vogliono.

"L'effetto serra, o comunque si voglia chiamare il riscaldamento oceanico, sviluppa molta energia. Per questo tifoni e uragani sono più intensi e frequenti" Giampiero Maracchi climatolo e meteorologo del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche).

Per sviluppare una coscienza di attenzione e responsabilità, l'8 giugno si festeggia la Giornata mondiale degli oceani. A proporne la nascita è stato il governo canadese nel 1992, al Summit della Terra tenutosi quell'anno a Rio de Janeiro. Dal 2008 la ricorrenza è riconosciuta dalle Nazioni Unite. Attraverso il Won, ovvero la rete di World Ocean Network si impone la divulgazione, l'educazione e la ricerca scientifica sulle tematiche legate al mare. www.greenpeace.org/....

Surriscaldati dal cambiamento climatico, sovrasfruttati da una pesca eccessiva e soffocati da tonnellate di plastica, gli oceani hanno bisogno di essere protetti.

L'oceano, questa immensa distesa d'acqua blu che ricopre parte del nostro pianeta, diventa sempre più la discarica della Terra. Dai sacchetti di plastica ai pesticidi, la maggiore parte dei rifiuti prodotti dall'uomo finisce in un modo o nell'altro in mare. Anche le navi e le piattaforme petrolifere fanno la loro parte.

Gi oceani ricoprono oltre il 70% della superficie terrestre e sono l'habitat di miliardi di vite. Secondo una delle teorie più accreditate, la vita è nata proprio in quelle acque. Pur venendo solcati in lungo e in largo, custodiscono ancora molti segreti che abbiamo cominciato a scoprire solo a metà del XX secolo, quando la tecnologia ci ha dato gli strumenti per immergerci, o immergere le nostre macchine, fino alle profondità più estreme.

Attualmente l'impatto delle attività umane sugli oceani è pesante.

Secondo lo studio britannico pubblicato sulla rivista Current Biology, l’aumento delle temperature oceaniche provocato dai cambiamenti climatici sta causando la migrazione di animali marini, uccelli e forme di vegetazione dall’equatore verso i poli, per esempio: il pinguino di Adelia. www.agi.it/...


Plastica in mare


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

“Una confezione di plastica da mettere nel forno a microonde
è programmata per una durata di forse sei mesi, un tempo di cottura di due minuti
e una permanenza di secoli nella discarica”.

David Wann

 
"Tutti abbiamo sentito parlare delle isole di spazzatura nell'oceano Pacifico, ma nel Mediterraneo i dati di concentrazione delle plastiche sono addirittura superiori. Nell'Oceano Pacifico c'è un'isola disabitata, lontanissime dalle coste del Cile e della Nuova Zelanda, l'isola di Henderson, sulla quale sono state calcolate addirittura 17 tonnellate di plastica. Non c'è un uomo nel raggio di 5.000 km e l'isola è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco. Tante specie di uccelli a rischio estinzione vi nidificano". Gianfranco Bologna direttore scientifico WWF e Club di Roma.

Ma è l’isola di plastica a essere stata dichiarata patrimonio Unesco o l’sola disabitata in mezzo all’oceano? Il patrimonio Unesco non dovrebbe essere un gioiello e conservato nelle condizioni perfette?

La plastica. Eccola: www.youtube.com/.... Se ne parla da qualche anno soltanto, da quando ci siamo resi conto che esistono i garbage patches, giganteschi accumuli di spazzatura sulla superficie degli oceani e concentrazioni di plastica sulle spiagge, un dramma che minaccia gli ecosistemi. www.youtube.com/...

Il Great Pacific Garbage Patch creatosi al largo dell’Oceano Pacifico grazie alla convergenza di rifiuti (per lo più plastici), provenienti da tutto il mondo, è un’isola di plastica con una superficie grande quanto la Spagna. E’ in continua espansione. www.youtube.com/...

La plastica dilaga mettendo in pericolo 690 specie marine, alcune delle quali a rischio estinzione. Microplastiche (piccole particelle di plastica con diametro medio intorno al millimetro) e microfibre (dal lavaggio degli indumenti), le minacce peggiori. www.youtube.com/...

Si stima che un totale di 15-51 miliardi di particelle di microplastiche si siano accumulate nell’oceano e si stima che nei mari europei entrino tra le 80mila e le 219mila tonnellate di microplastiche all’anno. Le loro piccole dimensioni fanno sì che possano essere ingerite dalle specie marine. La loro tossicità potrebbe essere causata dal polimero plastico stesso, dagli additivi che contiene o da altre sostanze chimiche che si associano alle microplastiche quando sono nell’oceano.

Da uno studio dei ricercatori dell’Università di Vienna, diretti da Philipp Schwabl, che hanno usato un campione di otto persone provenienti da Paesi diversi, si è avuto la conferma che le microplastiche sono state accumulate anche nel corpo umano oltre che in quello di uccelli, pesci, balene, ecc.

Direi che le microplastiche rilevate non sono un evento sorprendente. Per me dimostra che stiamo mangiando i nostri rifiuti: la cattiva gestione è tornata da noi sui nostri piatti della cena. Dobbiamo studiare come può influenzare gli umani”, afferma Chelsea Rochman, ecologista dell’Università di Toronto che studia gli effetti delle microplastiche sui pesci.

L'usa e getta è uno stile che si paga carissimo. Ogni anno si producono 396 milioni di tonnellate di plastica vergine. Cento milioni le tonnellate che inquinano la natura per errori nella produzione, nel consumo, nel riciclaggio.

L'odore della plastica viene confuso dalle tartarughe marine con quello del cibo. Lo sostengono gli esperti dell'Università della Florida, Gainesville, con l'articolo pubblicato su Current Biology. La plastica funziona come una trappola olfattiva spingendo le tartarughe a inghiottirla e a restarne soffocate.

I forti interessi permetteranno di eliminare la plastica dal nostro uso?

Ma non solo le tartarughe o i pesci o i cetacei vengono minacciati dalla plastica, anche gli uccelli marini.

Colpito un uccello su sette, secondo uno studio pubblicato da Marine Pollution Bullettin, prestigiosa rivista scientifica che si occupa di verificare l'avanzamento del'inquinamento da plastica.
Sono stati analizzati gabbiani reali, gabbiani corsi ma anche aironi, cormorani, sule e altri uccelli pelagici ma il problema riguarda molte altre specie senza considerare il livello devastante di pericolosità che riguarda le colonie di albatri del Pacifico che si stanno estinguendo. Il documentario "Albatross", girato dal fotografo Chris Jordan sulla Midway Island nel Nord del Pacifico, mostra i danni prodotti. Video www.albatrossthefilm.com

Si è scoperto che oltre 280 specie marine possono ingerire microplastiche. Una volta ingeriti i rifiuti di plastica possono causare emorragie, il blocco del tratto digestivo, ulcere o perforazioni dell'intestino e possono inoltre esporre gli uccelli a composti tossici derivati dai processi di produzione della plastica; in sintesi:

  • ostruzione
  • effetti chimici dovuti al trasporto di prodotti chimici tossici
  • salute degli animali compromessa
  • impatto sulla popolazione e sugli ecosistemi
  • dispersione di agenti patogeni dannosi

La quantità di plastica tra i rifiuti presenti in mare è del'80%. Nel 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesce secondo la fondazione Ellen MacArthur www.youmedia.fanpage.it/... (video)

L'Italia da un lato subisce gli impatti pesanti dovuti all'inquinamento da plastica, avendo la maggiore estensione costiera nel Mediterraneo, dall'altro contribuisce allo stesso essendo il secondo produttore di plastica del continente dopo la Germania. Il nostro Paese produce 4 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui l’80% proviene dall’industria degli imballaggi, e ogni anno riversa in natura 0,5 milioni di tonnellate di plastica. Solo il 9% viene riciclato e quasi l’80% lo ritroviamo sparso sul territorio o in mare.

Purtroppo, la produzione di plastica invece che diminuire aumenta visto che nell’ultimo decennio sono stati investiti 200 miliardi di dollari per la realizzazione di nuovi impianti i quali porteranno a un aumento della produzione annuale del 40%.

Il turismo, ovvero la Blue economy, è parte del problema plastica e, nel contempo, parte lesa con una perdita annuale di 67 milioni di euro, secondo il WWF www.wwf.it/...

Fino al 2018 il 42% dei rifiuti in plastica italiani era diretto in Cina www.storage.googleapis.com.... "Ma nel 2018 rispetto al 2016 la Cina ha ridotto dell'83,5% il volume dei rifiuti italiani importati, accogliendo di fatto il 2,8% dei nostri scarti di plastica" spiega Greenpeace che ha redatto un report sulle nuove rotte della plastica www.storage.googleapis.com/.... Il timore è che i paesi importatori non trattino correttamente questi rifiuti di plastica.

Secondo il rapporto di Greenpeace "Il Pianeta usa e getta", tratto dal report "Throwing away the future: how companies still have it wrong on plastic pollution 'solutions'", l’inquinamento da plastica è una delle minacce ambientali più gravi dei nostri tempi. Lo confermano le immagini di spiagge e fondali marini sommersi dai rifiuti, quelle di grandi cetacei spiaggiati con enormi quantità di plastica nello stomaco e i sempre più frequenti ritrovamenti di tartarughe e uccelli marini soffocati dalla plastica www.greenpeace.org/...

Il rapporto di Greenpeace indica come l'Italia sia l'undicesimo paese esportatore globale di plastica. Nel 2018 ne abbiamo spediti all'estero 197mila tonnellate per un giro d'affari di 58,9 milioni di euro. Quindi confidare nel riciclo non è sufficiente, occorre ridurre alla fonte la produzione e il consumo di plastica.

Non più “produrre per consumare” ma attivare un sistema circolare, ovvero un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi www.economiacircolare.com/....  Se un tempo la produzione aveva l'obiettivo di soddisfare le necessità degli esseri umani e di conseguenza si consumava per necessità, con l'avvento della rivoluzione industriale le cose sono cambiate. Non si produce più per necessità ma per ricavarne un guadagno, quindi la motivazione determinante del produrre è il profitto.

Alle microplastiche negli oceani, vengono aggiunti prodotti cosmetici come creme per la pelle, peeling, gel doccia e shampoo e giungono nei fiumi e nei mari attraverso le acque reflue.

Secondo il WWF, ogni anno 570mila tonnellate di plastica che finiscono nelle acque del Mediterraneo, l'equivalente di 33.800 bottiglie di plastica gettate in mare ogni minuto, soffocano i nostri oceani e provocano la morte di migliaia di specie animali.  L'inquinamento da plastica sta continuando a crescere.
Se i Paesi non adotteranno soluzioni concrete ed efficaci, entro il 2050 l'inquinamento nell'area mediterranea quadruplicherà. www.assets.wwfit.panda.org/...

Direttive nazionali e internazionali si stanno imponendo per limitare o bandire l'uso di alcune plastiche e per incoraggiare il riutilizzo, o quanto meno il corretto smaltimento, delle plastiche inevitabili. Un esempio italiano è quello del 2018 "Arcipelago pulito" www.ecologiaquotidiana.it/.... Dieci barche di pescatori hanno raccolto in 6 mesi 18 quintali di rifiuti.

Non soltanto.

L'inquinamento causato dalla plastica ha raggiunto le zone più profonde dell'oceano e l'80% degli stock ittici del Mediterrano è sovrasfruttato. L'UICN Unione Internazionale per la Conservazione della Natura ha chiesto che il 30% degli oceani sia protetto entro il 2030 ma attualmente lo è solo il 7,6%.

Le bottiglie di plastica costituiscono la forma prevalente di inquinamento da plastica nei corsi d'acqua anche in Europa. Come afferma una ricerca del 2018 dell'Earth Watch Institute, pubblicata sulla rivista Frontiers in Marine Science, nello stomaco di quasi tre pesci mesopelagici su quattro (ovvero quelli che vivono tra i 200 e i mille metri di profondità) si trovano microplastiche. La ricerca ha preso in esame una zona dell’oceano Atlantico nordoccidentale, ma è comunque un dato che gli scienziati hanno definito preoccupante, perché i pesci analizzati sono prede di altre specie, che vengono poi pescate per arrivare sulle nostre tavole.

Ogni italiano, secondo il Fatto Quotidiano del 2019, ha bevuto 224 litri di acqua minerale l'anno collocandosi al secondo posto nel mondo dopo il Messico (che ha problemi di potabilità), utilizzando ben 11 miliardi di plastica.

Sono 1.500 gli oggetti di plastica rinvenuti per ettaro sui fondali del mare in Liguria, 1.200 nel golfo di Napoli e 900 in Sicilia (rivista ALI della LIPU, inverno 2019).

Al largo dell'isolotto di Cerboli, nel santuario dei cetacei, non lontano dal'Isola d'Elba, 56 balle di combustibile solido perdute in mare nel 2015 si stanno disperdendo lentamente sul fondale. Gli effetti sulla fauna marina sono gravissimi in quanto possono entrare nel ciclo della catena alimentare attraverso il plancton. Il rischio è prima negli animali più piccoli ma poi la plastica, non venendo eliminata, passa negli organismi più grandi.

Ma questa è solo la parte visibile del problema: le microplastiche sono state ritrovate, non solo in mare e nel corpo di animali ed esseri umani, ma anche nelle acque dolci, nei suoli e nell’aria che respiriamo. Il 99% della plastica deriva da fonti fossili come il petrolio, la cui estrazione e raffinazione è strettamente collegata al cambiamento climatico e all’inquinamento atmosferico. Gli impatti della produzione di plastica sul clima sono rilevanti: le stime indicano che nel solo 2019, a livello mondiale, la produzione e l’incenerimento di rifiuti in plastica raggiungerà un livello di emissioni di anidride carbonica pari a quello di 189 centrali elettriche a carbone.

Nonostante le conoscenze scientifiche crescenti riguardo i danni irreversibili che l'inquinamento da plastica può provocare, si prevede che la produzione di questo materiale aumenti nei prossimi decenni, con l’usa e getta a rappresentarne la frazione preponderante.

Le multinazionali hanno a lungo parlato di riciclo come soluzione principale al problema dell’inquinamento da plastica, ma più del 90% di tutta la plastica prodotta a partire dagli anni cinquanta non è mai stata riciclata. I sistemi di riciclo attuali non sono in grado di recuperare una quantità di materiale tale da ridurre la domanda di plastica vergine e di assicurare un adeguato smaltimento della crescente quantità di rifiuti prodotti. A livello europeo solo il 31% dei rifiuti in plastica raccolti nel 2016 sono stati effettivamente riciclati.

Nello specifico le grandi aziende multinazionali degli alimenti e delle bevande devono dare priorità alla riduzione, impegnandosi pubblicamente ed immediatamente ad eliminare la plastica monouso, partendo dalle tipologie di packaging superflue e più problematiche per il riciclo, riducendo il numero di imballaggi e contenitori in plastica immessi sul mercato; investire in sistemi di consegna alternativi basati sullo sfuso e sulla ricarica; essere trasparenti divulgando pubblicamente i dati sulla produzione di plastica monouso, includendo il numero di pezzi, composizione e peso degli imballaggi in plastica.

C’è però una buona notizia, recentissima, sul Fatto Alimentare del 29 aprile 2020 si legge: scoperto un enzima che scompone il Pet (polietilene tereftalato) nelle sue componenti base. Un passo avanti nel riciclo delle bottiglie. La plastica utilizzata soprattutto per le bottiglie, il polietilene tereftalato o Pet, viene riciclata solo al 30% a livello mondiale. La parte avviata alle filiere del riciclo finisce per lo più in prodotti come tappeti e fibre perché essendo scura e opaca, non è apprezzata dall’industria delle bevande. Ciò spiega perché i 359 milioni di tonnellate di plastica (70 dei quali di Pet) prodotti ogni anno costituiscono un gigantesco problema ambientale, e perché la scoperta dei ricercatori dell’Università di Tolosa, in collaborazione con un’azienda specializzata in plastiche sostenibili, potrebbe rappresentare un autentico passo in avanti. Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature che ha dedicato alla scoperta anche un podcast, ripreso anche da Science.

In definitiva, però, il sistema più veloce per contribure a salvare il pianeta dall'invasione di plastiche, è quello di non produrle nè consumarle e la strada maestra sarebbe quella della riprogettazione dell’intera filiera ovvero: disaccoppiare la plastica dalle fonti fossili, eliminare i consumi inutili, usare solo plastica riciclata oppure materiali biodegradabili.

Il Parlamento europeo intanto ha votato a favore del divieto dell’uso di microplastiche ma secondo le stime del World Economic Forum, si stima che 150 milioni di tonnellate di plastica galleggino negli oceani del mondo con ulteriori otto milioni di tonnellate di entrata ogni anno. Una regione critica in tal senso è il Sud-est asiatico.

Quella dell’UE è considerata una posizione storica contro l’inquinamento da plastiche; si è votato per garantire che alcuni dei prodotti di rifiuto più problematici, come i contenitori di polistirene espanso vengano vietati e garantire che i produttori siano ritenuti responsabili dei costi dell’inquinamento. Dal 2021 è vietata la produzione di posate, piatti, cotton fioc, mescolatori per bevande, aste per i palloncini, ecc. Entro il 2025 inoltre, il 90% delle bottiglie dovrà essere riciclato. www.rinnovabili.it/...


Inquinamento marino da prodotti chimici



Per sorridere, video: www.lapresse.it/...

Ci sono abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di ogni uomo,
ma non l’avidità di ogni uomo.

Gandhi

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Science, gli scienziati dell'Università di Oxford hanno evidenziato come l'acquacoltura (allevamento di pesci, crostacei, molluschi in ambiente marino controllato dall'uomo), possa emettere più gas serra degli allevamenti di mucche.

Concimi, pesticidi e sostanze chimiche mettono a dura prova i nostri mari. Un enorme problema per le zone costiere è rappresentato dai deflussi dei concimi impiegati nei campi, che attraverso i fiumi vanno a finire nei mari. L'eccessiva concimazione favorisce la crescita di alghe che consumano l'ossigeno presente nell'acqua e provocano la morte di molti esseri viventi marini. Il fenomeno crea vaste zone morte dove la vita è impossibile, com'è accaduto ad esempio in alcune aree del Golfo del Messico o del Mar Baltico.

Il problema non si limita unicamente alle zone costiere del Golfo del Messico o del Mar Baltico, quasi ogni essere vivente che popola i mari è contaminato da sostanze chimiche. Fino agli anni settanta gli oceani venivano tranquillamente considerati vere e proprie discariche. Nei mari veniva smaltito praticamente di tutto, quindi anche pesticidi, armi chimiche e rifiuti radioattivi. Si ipotizzava che gli oceani fossero sufficientemente estesi per diluire le enormi quantità di sostanze chimiche rendendole innocue. In realtà le sostanze tossiche non sono mai scomparse, anzi fanno ritorno dall'uomo, talvolta in forma concentrata, tramite la catena alimentare.

La Convenzione di Londra (London Dumping Convention) www.nonnodondolo.it/..., mirata alla tutela dei mari dall'inquinamento dovuto ai rifiuti tossici e radioattivi, ha portato qualche miglioramento. Ad essa ha fatto seguito il Protocollo di Londra, siglato nel 1996, che ha introdotto restrizioni più severe come il divieto di scaricare e incenerire in mare rifiuti industriali, radioattivi e tossici. Purtroppo, però, gli scarichi avvenuti negli anni passati e l'incessante smaltimento illecito di rifiuti hanno già provocato l'inquinamento dei mari.

Anche i rifiuti depositati legalmente possono nuocere gravemente alla salute delle acque marine. Inoltre, le sostanze chimiche continuano a finire per sbaglio nei mari durante la produzione, l'uso e lo smaltimento delle merci.

L'inquinamento da deiezioni animali è fuori controllo: a rischio acqua terra e clima. Una conseguenza dimenticata del consumo di carne. I terreni sono in pericolo e anche le acque che, entro il 2030, potrebbero ricevere ogni anno 100 milioni di tonnellate di fosforo, 30 di potassio e 18 di calcio. Un mix micidiale per l'eutrofizzazione che porterebbe all'aumento esponenziale delle zone cosiddette di "mare morto" dove cioè il livello di ossigeno è così basso da non permettere praticamente nessuna forma di vita. Oggi ce ne sono più di 500 nel mondo, alcune delle quali, come quelle del Golfo del Messico e del Golfo del Bengala, estese per migliaia di chilometri quadrati. A lanciare l'allarme è il Guardian.

Un altro pericolo è il petrolio responsabile dei peggiori disastri ambientali. La dispersione di petrolio provoca all'ecosistema marino danni imponenti e non solo di breve durata.

Inventari e studi dipingono un quadro abbastanza tetro per il futuro dei mari. Ma non è ancora troppo tardi per ritrasformare i nostri oceani in habitat puliti e ricchi di risorse. Il WWF richiama all'ordine governi e aziende affinché siano emanate e rispettate normative riguardanti lo smaltimento di rifiuti e sostanze chimiche. Il WWF si impegna inoltre per promuovere la creazione di ulteriori e più estese aree marine protette, nelle quali la pesca venga sottoposta a controlli severi e le trivellazioni, come quelle petrolifere, siano vietate.

Gli incidenti che si verificano durante le trivellazioni petrolifere offshore (cioè in mare aperto) e il trasporto di petrolio provocano danni enormi. Sebbene dopo l'episodio del 2010 avvenuto sulla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico non vi siano più tracce in superficie della fuoriuscita di petrolio, quello che è considerato il più grave disastro ambientale della storia americana non si può certo definire un caso archiviato. In un'ampia area circostante il punto in cui è avvenuta la trivellazione, il fondale marino risulta ancora inquinato. E nei tratti di costa interessati l'erosione è notevolmente più accentuata, in quanto la struttura del terreno è stata danneggiata a lungo dal petrolio. Il petrolio, e i prodotti disperdenti o la combinazione di entrambi hanno conseguenze letali per molti organismi www.wwf.ch/it/...

Alla fine del 2010 il Ministero degli Interni statunitense ha annunciato che fino al 2017 non sarebbero state autorizzate estrazioni di petrolio in nuove aree marine. Il WWF e altre associazioni ambientali hanno chiesto una proroga del divieto. Tuttavia, Shell ha ottenuto dal governo USA il permesso di procedere con i preparativi per imminenti trivellazioni nell'Artico. Attualmente le conoscenze in merito all'ecosistema artico sono ancora scarse, ma si sa per certo che in queste regioni vi sono per diversi mesi all'anno condizioni che rendono impossibile l'eliminazione di un eventuale disastro petrolifero: in poche parole, si tratta di un affare estremamente rischioso e di una potenziale minaccia all'ambiente dell'Artide.

Un altro pericolo è la presenza di mercurio. Viene rivelato da uno studio pubblicato su Scientific Reports www.nature.com/... dai ricercatori dell’Università di Montreal. L’assorbimento di mercurio attraverso il pescato è aumentato costantemente in tutto il mondo a livelli preoccupanti.

Le attività industriali continuano a rilasciare nell’atmosfera e quindi attraverso la pioggia nel mare, quantità sempre più crescenti di mercurio. Ciò si va a sommare all’intensificazione della pesca e quindi del consumo del pesce contaminato.

La convinzione diffusa che mangiare pesce sia fondamentale per la nostra salute è evidentemente errata. Mangiando pesce rischiamo di introdurre nel nostro organismo un’alta quantità di mercurio, coloranti, diossina ed agenti patogeni che annullano gli eventuali effetti benefici.

Ma non solo discariche in mare.

Da Il Fatto alimentare del 26 febbraio 2020.
Il rapporto nazionale pesticidi nelle acque, pubblicato dall'ISPRA nel 2018 ha rivelato come nella Provincia di Trento la presenza di pesticidi sia molto più diffusa rispetto alla media nazionale: se la quantità di principi attivi media per ettaro di superficie agricola utilizzata è pari a 4,9 kg, quella trentina raggiunge i 9,3 kg, quasi il doppio.

Il dato risalta immediatamente agli occhi, e la ragione è che in Trentino si trova la maggiore concentrazione italiana di meleti, tanto che più del 10% delle mele del Paese è coltivata in questo territorio. Tale primato è dovuto anche a un sistema basato sulla monocoltura intensiva, che prevede la coltivazione di una sola specie vegetale al fine di assicurare una produzione costante e standardizzata.

Dal punto di visto dell’equilibrio ambientale e della biodiversità, le monocolture rappresentano una vera minaccia, perché impoveriscono il suolo e favoriscono l’incidenza di avversità parassitarie. La diretta conseguenza risulta dunque essere un contingente utilizzo di fitofarmaci.

In Unione Europea l’uso di pesticidi è vincolato alle sostanze che sono state espressamente autorizzate, ma è fondamentale sottolineare che nell’ambiente spesso non si trovano come singole sostanze, bensì come miscele. L’ormai famoso effetto cocktail, denunciato anche da un accurato rapporto di Greenpeace del 2015, si basa sulla combinazione di più principi attivi ognuno dei quali, preso individualmente, rientra nelle norme in vigore. Il fatto che i controlli siano analisi mirate sulla specifica sostanza ha reso possibile parlare di “veleni a norma di legge”. Le particolari caratteristiche biochimiche delle molecole di pesticidi risultano nocive per la natura nel suo insieme.

Alcuni dei rischi maggiori si riscontrano nella persistenza nel suolo e nelle acque con conseguente danno agli ecosistemi, nel bioaccumulo nei tessuti animali, nell’insorgenza di resistenze con diretta necessità di prodotti sempre più potenti e nella tossicità a largo spettro.

Ad oggi sono solo 70 le amministrazioni locali in Italia che rifiutano, limitano o sanzionano l’uso di pesticidi.

Il cuore di un uomo è molto simile al mare, ha le sue tempeste, le sue maree e nelle sue profondità ha anche le sue perle.

Vincent van Gogh


SALUTE



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“Siamo davvero una specie animale legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia”

David Quammen autore di Spillover

La salute è il bene più prezioso che abbiamo. Ci permette di vivere pienamente.

L'istituzione internazionale preposta alla tutela della salute è l'Organizzazione Mondiale della Sanità OMS. Resasi indipendente dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 1946, subito si prefisse lo scopo di condurre tutti i popoli al livello di salute più elevato possibile, basandosi appunto sul principio che la salute è “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”, e non semplicemente l'assenza di malattia o di infermità.

L'OMS si pose dunque nell'ottica della promozione di uno stile di vita capace di condurre al più alto livello sanitario tutte le popolazioni. Ciò attraverso la valorizzazione e lo sviluppo dell'educazione sanitaria, strumento indispensabile a tal fine: stili e abitudini di vita corretti, e le stesse responsabilità dei governi riguardo alla salute dei popoli, sono il risultato di condizioni sociali, culturali e politiche che devono essere insegnate.

Dagli studiosi del blasonato ateneo di Oxford arriva la proposta di un’etichetta ambientale, ovvero uno strumento d’informazione in grado di riassumer alcuni indicatori importanti come l’uso dell’acqua, l’eutrofizzazione e l’acidificazione degli oceani e inserire definitivamente la carne, e non solo, nella lista dei nemici del clima Quindi la sentenza è scritta: “Diete prive di prodotti animali offrono maggiori benefici ambientali rispetto all’acquisto di carne o prodotti caseari sostenibili”.



ALIMENTAZIONE


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“Non si può mangiare ciò che ha un volto”.

Paul McCartney

L'alimentazione ha da sempre rappresentato un problema fondamentale per la sopravvivenza e lo sviluppo degli uomini. Gli alimenti sono, infatti, la fonte dell'energia e dei principi nutritivi necessari alla crescita e allo sviluppo dell'organismo, il quale ha bisogno di una varietà di nutrienti energetici (carboidrati, grassi e proteine) e non energetici (fondamentalmente vitamine e sali minerali). Una dieta variata ed equilibrata è in grado di fornire tutti i nutrienti necessari all'organismo: non poter variare le scelte alimentari e/o consumare alimenti in maniera squilibrata, cioè in difetto o in eccesso rispetto alle reali necessità, rende difficile raggiungere e mantenere un buono stato di nutrizione e perciò di salute.

Tutti dobbiamo nutrirci e quindi mangiare e poiché da tempo non siamo più cacciatori/raccoglitori, qualcuno dovrà pure produrre il nostro cibo ma non certo a discapito della salute e dell’ecosistema. Il cibo oltre necessità è anche piacere ultimamente sempre più rovinato dai dubbi sulla salubrità di ciò che mangiamo. Ci chiediamo quali pesticidi stiamo assumendo con una porzione di fragole, quanti antibiotici con una fettina, quanto mercurio con un filetto di sgombro, quanta plastica con un bicchiere d’acqua. E quanta parte di natura il nostro cibo ha devastato prima di arrivarci nel piatto? Dobbiamo pensare, prima che si sia costretti da forze esterne, quale sarà la strada per l’accesso a un cibo sano e sostenibile? Qualcuno dovrà farlo.

Innumerevoi sono gli studi di scienziati, appartenenti a varie istituzioni nazionali e internazionali, pervenuti alle stesse conclusioni: la carne rossa e la carne processata, nel tempo, sono patogene.

Tre scienziati, di cui uno, direttore esecutivo dell'Onu, hanno dichiarato sull’autorevole rivista scientifica Nature, che il sistema alimentare mondiale è prossimo a una crisi irreversibile. Dovranno cambiare le diete poco sane e basate sulla carne e su alimenti industriali.

Fermare l’aumento di produzione di carne da allevamenti per far fronte all’emergenza climatica nei prossimi dieci anni, è l’appello pubblicato sulla rivista Lancet Planetary Healt riportato da un gruppo di 50 scienziati. Gli studiosi chiedono ai governi dei paesi più ricchi di fissare una data entro la quale l’aumento dell’allevamento del bestiame si dovrà fermare per arrestare l’incremento di gas serra.

L’Istituto più importante al mondo in tema di salute, l’OMS Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara, attraverso l’IARC Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che la carne rossa e la carne lavorata (quella che subisce processi di salatura, stagionatura, fermentazione, affumicamento o altro: insaccati, wurstel, bacon, pancetta….) è tra gli alimenti cancerogeni al pari di tabacco e alcool www.airc.it/cancro/... e sono responsabili di malattie cardiache, diabete….che costano ogni anno nel mondo, secondo l’Università di Oxford, 285 milioni di dollari e 220.000 decessi.

Sempre l’IARC, nell’ottobre del 2015, tramite vari scienziati provenienti da 10 Nazioni, dopo l’analisi di oltre 8.900 studi epidemiologici, hanno catalogato la carne rossa e gli insaccati come cancerogeni anche per la ricchezza di grassi saturi (come d’altra parte asseriva il prof. Umberto Veronesi, oncologo di fama, vegetariano convinto). www.airc.it/cancro/...

Anche gli 800 studi epidemiologici analizzati da scienziati provenienti da 10 Paesi e riuniti presso l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione, l'OMS ha dichiarato che la carne rossa e la carne lavorata, o processata che dir si voglia, sono cancerogene. Sostituendole con alimenti vegetali si ha una riduzione del 50% del rischio di morte per qualunque causa, comprese le malattie cardiovascolari. Meno carne e più verdure, per il cuore e per allungare la vita.

Il rapporto di OMS Europa, reso noto in occasione della Giornata mondiale sulla sicurezza alimentare, ci ricorda che nel nostro continente ogni minuto, muoiono 44 persone – più di 23 milioni ogni anno – che si ammalano a causa del cibo. Virus, batteri, funghi, sostanze tossiche di vario tipo, naturali e non, con una percezione, purtroppo, assai poco diffusa, come un grandissimo iceberg di cui vediamo solo la superficie e, fortunatamente, in gran parte caratterizzato da patologie non gravi che non richiedono ricoveri o cure particolarmente intense. D’altra parte, esclusa l’aria e l’acqua, l’unico prodotto estraneo che introduciamo nel nostro corpo, ogni giorno, è il cibo. E’ quindi, si può affermare che, fisiologicamente, “Siamo quello che mangiamo”.

Naturalmente c’è chi protesta e si oppone alle verità della scienza (Coldiretti per esempio), ma, secondo il prof. Bruno Fedi, già primario di anatomia patologica, specialista in urologia, ginecologia, cancerologia, citologia, flebologia e bioetica, “le mezze verità scientifiche sono menzogne tutte intere”. Ovvero chi protesta contro il parere dell’OMS rispecchia una mezza verità, ovvero una menzogna tutta intera. “l’OMS ha dato una informazione statistica basata sull’esame di 800 ricerche scientifiche: dunque ha riferito un fatto. Le dichiarazioni contrarie, invece, sono opinioni”.  Il prof. Bruno Fedi ha apertamente dichiarato che di carne si muore. www.youtube.com/...

Un esempio?

L'aumento dei tumori che, nel 1900, rappresentavano il 2% delle cause di morte, oggi sono il 66%. www.youtube.com/...

Il codice europeo contro il cancro raccomanda di basare l’alimentazione quotidiana su una varietà di cereali integrali, legumi verdure e frutta, di limitare le carni rosse, evitare le carni lavorate, limitare i cibi ricchi di grassi e zuccheri e le bevande zuccherate, limitare il consumo di bevande alcoliche. Studi su centinaia di migliaia di persone seguite per decenni, hanno dimostrato che chi aderisce a queste raccomandazioni muore di meno non solo di cancro ma di malattie circolatorie, dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente e anche di malattie infettive (Vita e Salute novembre 2017, Prof. Franco Berrino medico, epidemiologo, già direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano).

Naturalmente, esistono anche studiosi contrari, come il gruppo formato da 14 persone NutriRECS che suggeriscono: “Gli adulti possono continuare a consumare carni rosse e carni processate perché non hanno una forte associazione con lo sviluppo di tumori”.

Ma, come ha detto giustamente i Prof. Bruno fedi, una mezza verità è una menzogna tutta intera. Infatti, il 1 ottobre 2019 il Fondo Mondiale per la ricerca sul cancro WCRF, l’organizzazione con la maggiore autorevolezza scientifica in ambito oncologico, ha subito replicato con queste motivazioni: “Le principali organizzazioni sanitarie e gli esperti mondiali in ambito oncologico stanno esortando a seguire la raccomandazione di limitare il consumo di carne rossa e di mangiare raramente o mai la carne processata, per la prevenzione dei tumori”.

Per proteggere il cuore e il sistema cardiocircolatorio e allungare la vita c’è una soluzione che chiunque può mettere in pratica: ridurre il consumo di carni rosse e aumentare quello di proteine vegetali. Questo il consiglio che deriva da due grandi studi presentati al congresso dell’American Heart Association svolto a marzo 2020. Ma la carne, nonostante sia inserita dall’OMS tra le sostanze sicuramente cancerogene, viene a tutt’oggi presentata come esente da problemi mentre, in contrapposizione, diete più equilibrate e certificate dalla comunità scientifica internazionale, vengono presentate come pericolose. Con il libro Prima causa di morte, l’Associazione italiana di supporto vittimologico, ha sempre denunciato la pericolosità dei prodotti di origine animale sia per la salute umana che per la tutela del’ambiente.

Nel 2020 nuovi studi hanno confermato i precedenti, come quello di nutrizionisti e cardiologi della Northwestern University e della Cornell University pubblicato su JAMA International Medicine e quello dei ricercatori dell’Università della Pennsylvania pubblicato da Lancet EClinicalMedicine che mette in relazione il rischio cardiovascolare e il consumo di carne.

Inoltre, più di un quinto dei test effettuati nel 2017 su campioni di carne ha rilevato la presenza di DNA di animali non indicati in etichetta. Lo scrive BBC News che, attraverso una richiesta fatta sulla base del Freedom of Information Act, ha ottenuto i documenti raccolti dalla Food Standards Agency FSA, che raccolgono i risultati di 665 test effettuati nel 2017 dalle autorità sanitarie locali di Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord. Su 665 campioni, 145 erano costituiti in parte, o interamente, da carne non specificata.

Il prodotto più comunemente etichettato in modo errato è il macinato, seguito da salsicce e kebab. Carne non dichiarata in etichetta è stata trovata anche in piatti pronti, come spaghetti alla bolognese e curry, mentre una porzione di carne di struzzo è risultata contenere solo manzo. (Il fatto alimentare 24/09/2018)

Negli allevamenti il 20% degli animali muore prima di arrivare al macello (secondo i dati diffusi dall'OIE Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale). Per malattie e infezioni, per fame, schiacciati e incastrati in un macchinario o in una grata. Si teme anche che qualche microorganismo presente nei grandi allevamenti, come la salmonella, i virus delle influenze e delle epatiti, possa mutare, uscire dai serbatoi animali e diventare incontenibile. Inoltre i metalli pesanti usati in zootecnica e i pesticidi, che tendono ad accumularsi nella carne e nel grasso degli animali d’allevamento, inquinano il cibo e compromettono la salute. Jonathan Safran Foer, autore del libro “Se niente importa” afferma che è l’industria ad essere crudele, non è l’umanità. Allevamenti intensivi e macelli sono tenuti ben nascosti all’opinione pubblica. Sono luoghi oscuri e orribili, dove milioni di animali vivono nella sofferenza continua. Noi non vorremmo essere trattati come loro ma sappiamo metterci nei loro panni?

Dire di no alla carne e più in generale alle proteine animali, prolunga la vita e ne migliora la qualità. Una ricerca inglese durata 12 anni, che ha interessato un campione di oltre 60mila persone ed è stata pubblicata sul British Journal of Cancer, ha dimostrato che i vegetariani hanno meno probabilità di ammalarsi di tumore rispetto a chi mangia carne.

La produzione di carne, dopo essere passata da 70 milioni di tonnellate del 1961 ai 330 milioni di tonnellate nel 2018 grazie alla massiccia industrializzazione della zootecnia, dovrebbe continuare a crescere nei prossimi decenni specialmente nei paei emergenti. Secondo alcune proiezioni elaborate dalla FAO potrebbe raggiungere i 524 milioni di tonnellate nel 2080. Questo non farebbe bene né alla salute del pianeta, né a quella umana e, soprattutto, radicherebbe un comportamento di violenza e crudeltà nei confronti di esseri viventi fragili e innocenti, mai visto prima, portandoci a identificarci nelle parole di Ovidio, ovvero come carnefici verso gli animali e i nostri simili: “La crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà verso gli uomini”.

Il report dell’UNEP Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite, già dal 2010 evidenzia, senza ombra di dubbio, il consumo di alimenti animali (carne, pesce, latticini) come una delle cause primarie di impatto ambientale, inquinamento, effetto serra e spreco di risorse imponendo una pressione sempre più alta sulla disponibilità d’acqua, di mangime, di fertilizzanti, di combustibile, di capacità di smaltimento dei rifiuti e sulla maggior parte delle altre risorse limitate del pianeta. www.scienzavegetariana.it/...

L’ultimo allarme lanciato dall’Onu nel 2019 con il sesto Global Environment Outlook suggerisce di dimezzare il consumo di carne. www.corriere.it/...

Anche l’acqua, oro blu, è basilare per la nostra vita considerando che oltre 2 milioni di persone, in maggioranza bambini, sono morte nel 2000 per malattie legate alla scarsità di acqua pulita (ritorno del colera). La risoluzione del’ONU del 2010 ha dichiarato l’acqua, per la prima volta nella storia, un diritto universale fondamentale.

Anche i diserbanti, come il glifosato più venduto e utilizzato a livello mondiale, incidono sulla nostra salute. Infatti la IARC, l’Agenzia OMS per la ricerca sul cancro, classifica il glifosato come potenziale cancerogeno. Il rischio c’è. Inoltre, secondo uno studio del 2018 dell’Istituto Ramazzini di Bologna, il glifosato sarebbe in grado, anche a basse dosi, di causare aborti, malformazioni, infertilità maschile, malattie autoimmuni e neurodegenerative. Di recente è pure emersa la capacità di alterare la flora intestinale umana e animale (insetti impollinatori compresi). Da Vita e Salute febbraio 2020, www.ramazzini.org/...

Anche l’aria che, in assenza di riduzione di emissioni di CO2, da oggi al 2050 con le elevate concentrazioni di anidride carbonica, inciderà in modo significativo sia sull’alimentazione sia sulla salute di centinaia di milioni di persone. Lo rivela uno studio della T.H. Chan School of Public Health di Harvard.

Mentre da un lato c'è chi, arrogantemente, propone all'Unesco di far entrare la bistecca alla fiorentina nel patrimonio dell'umanità, bistecca che si scontra con la dieta mediterranea e con tutto quanto dichiarato dall’OMS sulla carne rossa, altri, come il Farm Animal Investment Risk & Return, Fairr, propongono una tassa sul vizio (sin tax), come già avvenuto per il tabacco, le emissioni di CO2 e lo zucchero (per ridurre l’impatto degli allevamenti sul riscaldamento globale che potrebbero scendere notevolmente e dei grassi animali sulla salute umana con un risparmio di 41 miliardi di dollari in costi sanitari correlati a livello mondiale) hwww.agrifoodtoday.it/..., come condiviso da una ricerca dell’Università di Oxford, pubblicata sulla rivista Plos One sempre per compensare il costo sociale delle malattie che provoca il consumo di carne e che costano 285 miliardi di dollari all’anno nel mondo, e altri ancora, come Richard Brenson fondatore del Virgin Group e Bill Gates fondatore di Microsoft hanno deciso di puntare sulla startup Memphis Meat per produrre carne sintetica partendo da cellule animali www.foodweb.it/2018/...

Il malaffare che da tempo si è infiltrato nel mondo animale - corse clandestine di cavalli, traffico di cani, bracconaggio, uso intimidatorio - è approdato nel mondo degli allevamenti, della macellazione e della distribuzione della carne sino al settore ittico.


OBESITA’


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“Il corpo del bambino obeso occidentale e lo scheletro di quello africano
sono il prodotto dello stesso sistema alimentare.”

Vandana Shiva

La carne rossa contiene grassi saturi che provocano alti livelli di colesterolo di cui sono ricchi anche uova e formaggi; per contro è pari a zero il colesterolo presente in cereali, frutta, legumi, semi oleosi. L'aumento ponderale nell'arco dei cinque anni, secondo American Dietetic Association, è risultato essere il più basso tra chi sceglieva di diminuire o eliminare i cibi di provenienza animale.

Da: Il Fatto alimentare 20 aprile 2020. A livello mondiale il fatturato degli alimenti trasformati dall’industria è di 2,2 miliardi di miliardi di dollari. Si tratta di tanti soldi e non bisogna meravigliarsi se in Europa l’industria alimentare ha speso 1,2 miliardi di euro per bloccare con successo l’etichetta a semaforo, il Nutri-Score. Si tratta di un sistema di etichettatura di origine francese ed è uno dei migliori sistemi di etichetta a semaforo perché di facile comprensione. Esistono diverse pubblicazioni scientifiche a supporto di questa tesi e per questo il modello si sta diffondendo in tutta Europa. L’unico paese che si oppone al Nutri-Score è l’Italia, che propone in alternativa l’etichetta a batteria: monocolore, azzurrino pallido, densa di numeri, poco comprensibile per un nutrizionista, figuriamoci per un comune cittadino.
È stato dimostrato che un consumatore informato grazie all’etichetta a semaforo sulla qualità nutrizionale del prodotto riduce drasticamente certe categorie di alimenti. Per contro viviamo in un contesto dove la pubblicità e un marketing sofisticato sono in grado di indirizzare il nostro modo di mangiare, le nostre abitudini e spinge verso l’assunzione di maggiori quantità di cibo. Per fare ciò l’industria spende decine di miliardi in pubblicità e marketing: ad esempio McDonald’s, che vende cibo, è il più grande distributore di giocattoli al mondo!

Il fenomeno iniziato negli anni ‘70 coincide con l’espansione dell’industria alimentare che ha inondato la società di migliaia di prodotti altamente processati ad alta palatabilità e densità calorica. Solo le bevande zuccherate negli USA giustificano un introito calorico pro capite che va dalle 150 alle 235 calorie al giorno. Gli scienziati in centri di ricerca, hanno creato migliaia di nuovi alimenti irresistibili che hanno un mix ideale di grassi, zuccheri semplici e sale (per raggiungere il bliss point o punto di massima beatitudine gustativa). L’obiettivo è vendere sempre più cibo per incrementare il business.

L’industria alimentare investe una parte delle risorse finanziarie per controllare le politiche dei governi, bloccare regolamenti che favoriscono la salute della popolazione (ad esempio la sugar tax), cooptare professionisti della salute (professori, divulgatori), manipolare e distorcere la scienza. Che armi abbiamo per difenderci?

Sull'obesità i dati indicano che l’incidenza sta aumentando rapidamente in tutto il mondo, sia nei bambini in età scolare sia negli adulti. Sono circa 710 milioni le persone obese nel mondo. Tra il 2000 e il 2016, inoltre, l’obesità ha fatto registrare un aumento più veloce del semplice sovrappeso. Il rapporto evidenzia, inoltre, che i bambini in età scolare non mangiano in modo corretto, hanno un’alimentazione in cui scarseggiano frutta e verdura, mentre consumano regolarmente cibi spazzatura e bibite gassate.

Secondo il Rapporto "Okkio alla salute" 2016 dell'Istituto Superiore di Sanità "l'epidemia mondiale di obesità risulta eccezionalmente preoccupante perché, oltre alla popolazione adulta, coinvolge anche i bambini e i giovani con conseguenze sanitarie ed economiche ormai note". Erano 50 milioni le ragazze e 74 milioni i ragazzi obesi nel 2016. A questi vanno aggiunti i 213 milioni di bambini e ragazzi che in quell'anno erano stimati in condizione di sovrappeso. Il dato è in continua crescita www.epicentro.iss.it/...

Secondo l’OMS Organizzazione mondiale della sanità, l’obesità con oltre 1,4 miliardi di adulti in sovrappeso, corrispondenti al 35% della popolazione del mondo, rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica. Problema che è diffuso anche nel nostro Paese infatti l’Istituto Superiore di Sanità dichiara che più di un terzo della popolazione italiana adulta è in sovrappeso mentre una persona su dieci è obesa (9,8%). Complessivamente per l’OMS oltre 340 milioni di bambini e adolescenti tra i 5-19 anni sono in eccesso di peso mentre in Europa, in media, è obeso un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni e in Italia, secondo i dati ISTAT, si stimano circa 2.130.000 i bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni.

L’obesità è un’emergenza globale, sostiene Livio Luzi, Ordinario di endocrinologia presso l’Università degli Studi di Milano e direttore del dipartimento endocrinologia malattie metaboliche del Gruppo MultiMedica IRCCS. Fornire una terapia non invasiva ai soggetti obesi, in crescita costante, è una sfida cruciale anche dal punto di vista sociale, sia per il numero di vittime dell’obesità in crescita costante, sia per i significativi costi che la complessità di questa patologia e delle patologie correlate rappresentano per la comunità.

L’obesità è una malattia influenzata da fattori genetici, ambientali, psicologici. L’obesità è responsabile dell’80% dei casi di diabete tipo 2, del 35% dei casi di malattie ischemiche del cuore e del 55% dei casi di malattie ipertensive tra gli adulti. Inoltre influisce negativamente sull’aspettativa di vita, è causa di disagio sociale e spesso, tra bambini e adolescenti, accompagna episodi di bullismo come le cronache ci riportano.

I ricercatori del Brigham and Women’s Hospital e della Tufts University di Boston dipingono un quadro molto preoccupante degli Stati Uniti, un Paese che da tempo fa i conti con i danni associati a un’alimentazione in contraddizione con le linee guida e i consigli di tutti gli esperti internazionali.

Hanno voluto verificare che cosa succederebbe dal punto di vista economico per i costi di malattie cardiovascolari (ictus, diabete 2 e patologie cardiache che da sole sono responsabili del 45% di tutti i decessi) appurando che per ogni americano si spenderebbero 300 dollari in meno ogni anno.

Questi risultati trovano una sorta di conferma dello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine dai ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health, anch’essa di Boston, verificando che nel 2019 tutti gli Stati americani hanno avuto un tasso superiore al 35% di obesi. Percentuale in continuo aumento dal 2000 quando nessuno Stato aveva un tasso di obesità superiore al 35%. Nel 2030 le previsioni parlano di un americano su due obeso.

Poiché l’Italia si è avviata ad un’alimentazione del tipo americano (vedi le famose merendine) e anche da noi l’obesità è in continua crescita a meno di drastici cambi di rotta, il processo è preoccupante: per la salute e per le spese relative. www.agi.it/fact.... Inoltre, da tenere anche conto che in Italia, secondo l’Istat, le malattie cardiovascolari rappresentano ancora la principale causa di morte, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi e insieme ai tumori del 65% dei decessi dell’anno.

Anche Eurispes ha pubblicato il “Rapporto Italia 2020” ritratto della situazione economica, politica e socioculturale del nostro Paese. Da questa ricerca risulta che l’Italia conquista il record negativo europeo per l’obesità infantile maschile, al secondo posto dopo Cipro, e al quarto per quello femminile. Bambini sovrappeso già dall’asilo, con il rischio di diventare obesi nel corso dell’adolescenza e diventare un adulto obeso con più del 50% delle probabilità.

Il numero di bambini e adolescenti obesi nel mondo è passato dagli 11 milioni del 1975 ai 124 milioni del 2016. E’ quanto emerge dal rapporto realizzato da Unicef, OMS e Lancet.

Mentre l'Unicef dichiara che 6 milioni di bambini muoiono ogni anno nel mondo di fame e malattie, con un trend in crescita, "In Italia, patria della dieta mediterranea (patrimonio immateriale dell'Unesco), due bambini su 10 sono in sovrappeso e uno su 10 è obeso, con una maggiore prevalenza nel centro sud. L’obesità infantile è un fenomeno non solo dilagante ma anche persistente: circa il 50% degli adolescenti obesi rischia di esserlo anche da adulto" (Società italiana di Pediatria). L'Italia inoltre è al primo posto in Europa per i tumori nei bambini che sono in aumento.

Secondo i ricercatori della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana SSNV, la dieta a base vegetale è in grado di ridurre significativamente l’incidenza di numerose patologie croniche: alcuni tipi di tumore, il diabete mellito di tipo 2, le patologie vascolari legate all’arteriosclerosi (ictus cerebrale, infarto del miocardio, angina), l’ipertensione, l’obesità.

Come evidenziato nell’ultimo Rapporto Sanità Ocse del novembre 2019, i tassi di obesità continuano ad aumentare. Senza contare che, nei soggetti sovrappeso o particolarmente obesi, non solo è più elevato il rischio che i processi degenerativi si manifestino precocemente, ma è anche frequente che le problematiche infiammatorie (raffreddori, influenze, allergie, intolleranze, ecc.) si producano nell’organismo con maggiore faciità.

Da alcuni anni è stato istituito a livello mondiale il World Obesity Day, che nel 2020 è caduto il 4 marzo scorso, la giornata mondiale per la prevenzione dell’obesità e del sovrappeso. I promotori italiani dell’ADI, Associazione di dietetica e nutrizione clinica italiana, hanno messo a punto una guida alimentare per ridurre l’approccio verso il cibo di bambini e ragazzi allo scopo di ridurre l’obesità infantile. https://www.obesityday.org/

L’obesità nei bambini, secondo Giuseppe Maria Marinari, responsabile U.O. chirurgia bariatrica (chirurgia dell’obesità) dell’Istituto IRCCS Humanitas di Rozzano, dipende dalle abitudini sbagliate di tutta la famiglia. Spiega Michele Carruba, presidente del Centro studi e ricerche sull’obesità, Università di Milano, che l’eccesso di peso per errori alimentari e la sedentarietà, registrano casi di diabete tipo 2 anche in giovane età. Lo stesso vale per l’incremento di malattie respiratorie e cardiovascolari nella fascia giovanile. Un bambino obeso nell’80% dei casi diventerà un adulto obeso e chi diventa obeso nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni ha un’aspettativa di vita inferiore di 10 anni rispetto a una persona normopeso.

Quindi l’infanzia non è esente da sovrappeso e obesità: 40 milioni di individui sotto i 5anni nel mondo, sono in sovrappeso.
Anche questi specialisti insistono su poca carne rossa, nessuna carne processata, aumento del consumo di legumi e di cereali integrali, orzo, avena, mais, segale.

I ricercatori hanno stimato che un’alta aderenza alla dieta mediterranea può dare circa 4-5 anni di aspettativa di vita in più. Una dieta che oltre ad allungare la vita può ridurre l’impatto sull’ambiente.

La Fondazione Valter Longo Onlus fondata nel 2017 dal professor Longo, direttore del programma di oncologia e longevità dell’Ifom di Milano e che la rivista Time annovera tra i cinquanta scienziati più autorevoli al mondo in tema di salute, lo dice chiaramente www.valterlongo.com/... mentre consiglia una dieta appropriata per la nostra salute.

Nel 2019 la Commissione sull’obesità della prestigiosa rivista medica The Lancet propose “Un trattato internazionale sui sistemi alimentari” per limitare lo strapotere e l’influenza dei grandi produttori alimentari sulle scelte politiche dei governi. Secondo i dati riportati due miliardi di persone nel mondo hanno un eccesso di peso corporeo che ogni anno causa 4 milioni di morti e un costo di due miliardi di dollari, allo stesso tempo due miliardi di persone soffrono della carenza di almeno un micronutriente e 815 milioni sono cronicamente denutrite. Inoltre la produzione di cibo, da un lato oltre che essere causa di obesità e malnutrizione, dall’altro è uno dei maggiori fattori che influisce sui cambiamenti climatici. Il Direttore di Lancet, Richard Horton, afferma che “è impellente un ripensamento di come mangiamo, viviamo, consumiamo, ci muoviamo, incluso un cambiamento radicale verso un modello di business sostenibile e salutare adatto alle sfide future che dobbiamo affrontare”.

The Lancet si è recentemente occupata dell’impatto dell’alimentazione sulla salute della popolazione e del pianeta per elaborare una dieta più salutare e al contempo più sostenibile, analizzando il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo. E’ stata quindi elaborata la Planetary Health Diet con l’obiettivo di rendere l’alimentazione umana, entro il 2025, più attenta alla salute e all’impatto ambientale partendo dalla de-carbonizzazione della produzione agricola, dal dimezzamento degli sprechi alimentari, l’abbattimento dei consumi idrici e di suolo e l’azzeramento della perdita di biodiversità. www.peopleforplanet.it/...

Questa ricerca ha consentito di puntare i riflettori sul bisogno urgente di un cambiamento radicale delle nostre abitudini alimentari per poter affrontare la crisi ambientale in atto insieme alle questioni gravi che riguardano la salute umana.

La proposta che ne consegue contribuirebbe a salvare 11 milioni di persone che ogni anno muoiono a causa di malattie (ictus, infarti, alcuni tumori, principali cause di morte nei paesi occidentali) correlate a un’alimentazione malsana (3 miliardi di persone afflitte dall’insorgenza di numerose patologie e un miliardo che non ha cibo sufficiente) prevenendo, al tempo stesso, il collasso del pianeta causato dagli allevamenti intensivi e dall’agricoltura industriale. Praticamente si tratta di recuperare la dieta mediterranea dichiarata Patrimonio immateriale dell’Unesco con il consumo di: più pasta/riso/legumi/frutta, meno dolci, carne e formaggi. (Terra Nuova marzo 2019 www.terranuovalibri.it/...).


EPIDEMIE


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

 
“Quando hai finito di preoccuparti di questa epidemia, preoccupati della prossima”

David Quammen autore di Spillover

Già in un rapporto del 2007 sulla salute nel ventunesimo secolo, l’Organizzazione mondiale della sanità, avvertiva che il rischio di epidemie virali cresce in un mondo dove il delicato equilibrio tra uomo e microbi viene alterato da diversi fattori quali il cambiamento del clima e degli ecosistemi. Altri coronavirus sono lì a testimoniarlo. Nel corso degli ultimi anni, infatti, si sono avute varie epidemia da coronavirus, tra cui SARS nel 2002 e MERS nel 2012. Covid-19 nel 2019.

Secondo uno studio pubblicato su Cardiovascular Research condotto dall’Istituto Max Planck e Università di Mainz (Germania), l’inquinamento accorcia la vita di ciascuno in media di 3 anni e con 8,8 milioni di morti premature l’anno nel mondo, per cui siamo di fronte a una “pandemia da inquinamento”.

Non c’era bisogno del coronavirus per stabilire le relazioni che corrono tra la salute umana, la qualità dell’aria e il verde urbano, come ricorda Marco Dinetti, responsabile Ecologia urbana Lipu – BirdLife Italia: «lo avevano già detto le Nazioni Unite nel 2014, con la Decisione XII/21 Biodiversity and human health (biodiversità e salute umana) nell’ambito della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità biologica. Lo ha scritto varie volte l’Organizzazione mondiale della sanità, sottolineando come le aree verdi aumentano la qualità degli ambienti urbani, migliorando la salute ed il benessere delle persone. Del resto, anche prima dell’emergenza sanitaria in corso, in Italia si contavano dalle 76.000 alle 91.000 vittime ogni anno, per patologie respiratorie e cardiocircolatorie, associate all’inquinamento atmosferico (polveri sottili). Mentre oggi alcuni ricercatori hanno evidenziato come le zone ad alta incidenza del virus (quali la Val Padana) sono tra le più inquinate d’Europa».

A queste situazioni, dal Dipartimento di Biologia e Biotecnologia Charles Darwin dell'Università La Sapienza di Roma, coordinato da Moreno Di Marco, il cui rapporto è apparso sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the National Academy of Science) e da Isabella Pratesi Direttrice Conservazione WWF Italia, sono stati associati i recenti focolai di malattie infettive di origine zoonotica (trasmesse da animali) per il rischio altissimo di insorgenza di pandemie nell’ottica dei cambiamenti ambientali causati dall’uomo.

La ricerca si basa sulle analogie tra l’attuale Covid-19 e le pregresse epidemie di Ebola (febbre emorragica africana), di Sars (sindrome respiratoria acuta grave), di Mers (sindrome respiratoria meridionale) e di virus Zika (malattia trasmessa dalle zanzare).

Infatti, tutte le pandemie hanno un aspetto in comune ovvero l’origine zoonotica. Sono gli animali a trasmettere il virus all’uomo. Il 70% delle malattie infettive emergenti è imputabile alla specie animale, soprattutto quella selvatica.

Gli studi condotti su COvid-19, hanno dimostrato che la sua origine è legata a un mercato cinese www.campaigns.animalequality.it/..., nella città di Wuhan, provincia di Hubei, origine che l’OMS ha confermato. Nell’arco di un mese il virus si è diffuso in tutta la Cina e poi, come sappiamo, nel mondo tanto da spingere l’OMS a dichiarare la pandemia.

Ma lo studio evidenzia che il rischio di insorgenza di epidemie, non dipende di per sé dalla presenza di animali selvatici, ma piuttosto dal modo in cui le attività antropiche influiscono sull’ambiente e l’ecosistema, soprattutto deteriorandolo, invadendolo e riducendo i territori naturali, sottraendo habitat, cibo e quindi vita alla biodiversità. Ovvero la zoonosi richiede la coesistenza di diversi attori, tra cui sono determinanti quelli ecologici, epidemiologici e comportamentali dell’esposizione all’agente patogeno.

Come dichiara anche Greenpeace Onlus: “I fattori coinvolti nella crescente frequenza di epidemie degli ultimi decenni sono molteplici: cambiamenti climatici che modificano l’habitat dei vettori animali quali virus, l’intrusione umana in un numero di ecosistemi vergini sempre maggiore, la sovrappopolazione, la frequenza e rapidità di spostamento delle persone”.

L’uomo è la vittima finale ma anche il maggior colpevole con i suoi comportamenti a rischio che determinano la pressione patogena. Come ha spiegato Ilaria Capua, virologa dell’Università della Florida, più volte intervistata anche in Italia: “Tre coronavirus in meno di vent’anni rappresentano un forte campanello d’allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell’ecosistema perché se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi”.

David Quammen, giornalista e divulgatore scientifico americano, riepilogò nel suo libro Spill-over gli studi sulle epidemie virali che per anni aveva svolto nei mercati di molte città, preannunciando, ben 9 anni prima, ciò che oggi è successo: l’avvento di una pandemia causata da un nuovo virus, probabilmente un coronavirus, proveniente da un animale selvatico (ospite serbatoio), verosimilmente un pipistrello, in un mercato cinese. Un virus che, tramite un animale amplificatore, intermediario, ponte…(necessario per la mutazione genetica capace di attaccare le cellule umane e che, nel caso di Covid-19, sembra il pangolino, protetto a livello internazionale dalla convenzione CITES, che si continua però a catturare, vendere e mangiare), avrebbe fatto il salto di specie (spill-over) e avrebbe infettato l’essere umano. Ciò che è infine successo. www.ilmanifesto.it/...

Intervistato da Stefano Baldolin di Huffpost, la maggiore preoccupazione di Quammen non è il coronavirus ma il cambiamento climatico con le sue conseguenze catastrofiche (invasione e alterazione di ecosistemi complessi, abbattimento di alberi, costruzione di villaggi, escavazione di miniere…) dato che non sembriamo intenzionati a controllarlo e ridurlo. Mentre abbiamo ragionevoli possibilità e mezzi per mitigare le conseguenze devastanti di questo virus anche in caso di pandemia.

Sempre Quammen, avvisa: tra una decina d’anni se le cose non cambiano, arriveremo ad un altro flagello. Il virus non torna dall’essere umano all’ospite ma continua a risiedere nell’ospite. L’epidemia scompare e poi passano diversi anni prima che si ripeta www.wired.it/...

Oggi è tutto più veloce rispetto al passato, i virus viaggiano in nave, in aereo, con i treni a lunga percorrenza. Città superaffollate, ecosistemi attaccati, ambiente offeso, allevamenti intensivi di animali bersagliati di antibiotici per farli crescere più in fretta, inquinamento, deforestazione, sconvolgimenti di ecosistemi… aumentano i rischi di diffusione. www.nelcuore.org/...

La salute umana non è inscindibile da quella dell’ambiente perché siamo noi stessi ambiente nel momento in cui con l’alimentazione trasformiamo parti di ambiente in parti del nostro corpo.  Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si

Nel passato ogni ecosistema restava isolato da altri ecosistemi e la contaminazione tra le varie forme di vita non avveniva. Oggi l’essere umano si intromette, interviene, modifica e trasferisce su di sé le proprietà degli organismi viventi che incontra, come i coronavirus.

Li incontra, e come? Stravolgendo l’ecosistema, trasferendo fauna selvatica nei wet-market, animali agonizzanti, pronti alla brutale uccisione davanti ai compratori, banchi inondati dal sangue, dalle viscere, dalle squame, dagli escrementi, dalle secrezioni…. www.youtube.com/..., riducendo esseri viventi, coscienti e senzienti, a oggetti di dominio, esprimendo una crudeltà e una inettitudine supreme non più ammissibili. E che, infatti, ci condannano. www.instagram.com/...!

Proveniamo da una cultura che reifica le altre specie, considera legittima la devastazione dell’ambiente ma, scavalcando l’arroganza della nostra specie, per contropartita ci propina i virus letali che con sempre maggiore frequenza si affacciano nella nostra vita.

Il WWF, nel 2020, ha stilato il rapporto “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi – Tutelare la salute umana conservando la biodiversità”, che stabilisce il legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura. Molte delle malattie emergenti come Ebola, AIDS, SARS, influenza aviara, influenza suina e il nuovo coronavirus (COVID19), mai identificato prima nell’uomo, non sono catastrofi del tutto casuali, ma sono la conseguenza indiretta del nostro impatto sugli ecosistemi naturali. www.wwf.it/perdita...
Inoltre, le polveri sottili o particolato, concentrate nell’atmosfera, sono ottimi vettori del Coronavirus. Lo rivela uno studio della Società Italiana di medicina ambientale (Sima), in collaborazione con le Università di Bari e Bologna, che hanno esaminato i dati delle centraline regionali di rilevamento, pubblicati sui siti delle Agenzie regionali per la protezione ambientale ARPA, registrando il numero di episodi di superamento dei limiti atmosferici consentiti dalla legge (50microg/m3 come concentrazione media giornaliera di polveri sottili). Al contempo, i ricercatori hanno incrociato i risultati con i numeri ufficiali dei casi di contagio in Italia, dichiarati dalla Protezione civile.

Alessandro Miani, presidente di Sima, aggiunge: “L’impatto dell’uomo sull’ambiente sta producendo ricadute sanitarie a tutti i livelli”. Sono state inoltre revisionate varie ricerche scientifiche che descrivono il ruolo del particolato atmosferico come “carrier”, ovvero vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. www.lanuovaecologia.it/...

Ian Lipkin, virologo presso il Center for Infection and Immunity della Columbia University e consulente medico per Contagion, esperto di malattie infettive dichiara: “Se prendi degli animali selvatici e li metti in un mercato insieme ad animali domestici e altri animali, dove ci sono infinite opportunità per un virus di fare il salto di specie, stai creando una superstrada per i virus che passano così dagli ambienti selvatici alle persone. Non possiamo più tollerare che questo accada”. www.lifegate.it/...

Mentre si studia tutto il possibile per arginare l’epidemia, per trovare farmaci e vaccino, c’è chi chiede, come il Prof. Bruno Fedi, già citato, che la ricerca di un farmaco o un vaccino in tempi rapidi, si ottenga sospendendo l’obbligatorietà della fase sperimentale sugli animali (test pre-clinici) e chiede che tutte le fasi sperimentali dei test clinici avvengano sugli umani, con il necessario rigore. La salvezza delle vite impone una rapida decisione.

Il prof. Fedi, il 12 aprile 2020, ha scritto “C’è, nella vicenda del coronavirus, un fondamentale aspetto che è stato trascurato. E’ stato ormai dimostrato il passaggio del virus fra specie diverse, Ma sul fatto non si è riflettuto abbastanza. Se fosse vero che il virus è stato fabbricato deliberatamente, sarebbe impossibile dimostrarlo. Ma anche se tutto fosse avvenuto spontaneamente nell’ormai famoso mercato di Wuhan, l’umanità avrebbe una sua responsabilità. Non per aver creato il virus, ma per aver creato le condizioni per un’origine spontanea e, successivamente, per aver riaperto il mercato come se nulla fosse avvenuto. Tutti noi siamo colpevoli di non aver tratto dalla vicenda le logiche conseguenze. Noi consideriamo la natura e gli altri animali come oggetti, fuori del campo morale (l’uomo misura di tutte le cose!), dunque, privi di diritti. Ma gli esseri viventi non sono oggetti; non si possono schiavizzare, uccidere, modificare, usare come cibo, gioco, ma neppure si possono creare condizioni di promiscuità che diano origine a nuovi virus”.

Nonostante tutto, qualcuno sta imparando: il 31 marzo la città di Shenzhen, nel sud della Cina, con oltre 12 milioni di abitanti, ha approvato una legge per vietare il consumo di animali selvatici, cani e gatti.

La Peta, People for the Ethical Treatment of Animals, la più grande associazione per i diritti animali al mondo, chiede all’OMS di chiudere i mercati stipati di animali malati, stressati, vivi per prevenire lo scoppio di ulteriori pandemie, lanciando una campagna mondiale affinché “le malattie mortali trasmesse da animali vengano eliminate alla fonte”.

Anche Animal Equality ha lanciato una campagna internazionale per chiedere l’immediata chiusura dei wet market, “melting pot zoologici”, in tutto il mondo e, grazie ai filmati esclusivi girati dai propri investigatori, si può vedere come gli animali quali cervi, procioni, coccodrilli, cani, gatti, vivano in gabbie sporche, disidratati, affamati e malati e, infine, brutalmente uccisi. www.ansa.it/...

Il 7 aprile, Giornata mondiale della salute, mentre il mondo è alle prese con la peggiore emergenza sanitaria, oltre il 90% degli abitanti del sud est asiatico si è espresso a favore della chiusura da parte dei governi dei mercati illegali o non regolamentati di fauna selvatica www.greenme.it/...

Il 24 febbraio scorso il governo cinese ha annunciato un divieto assoluto di consumo di animali selvatici, proibendone la caccia, il commercio, il trasporto e il consumo. Il Vietnam sta lavorando a provvedimenti simili. Ha affermato il direttore regionale del programma Asia Pacifico del WWF, Christy Williams, mentre il Direttore generale del WWF International dichiara: “E’ tempo di collegare i puntini tra commercio della fauna selvatica, degrado ambientale e rischi per la salute umana: agire ora per difendere sia gli esseri umani che le numerose specie selvatiche minacciate dal consumo e dal commercio è cruciale per la nostra stessa sopravvivenzawww.cloudfront.net/...

Infine l’ONU chiede un divieto in tutto il mondo dei mercati in cui si vendono animali selvatici, per evitare future pandemie. “Proprio la perdita di biodiversità è un fattore determinante nell’emergenza di questi nuovi virus e ora due terzi delle infezioni e delle malattie emergenti provengono proprio dalla fauna selvatica” ha sottolineato la responsabile ONU, Elisabeth Maruna. www.repubblica.it/...

Dopo la California, l’Inghilterra ha emesso in questi giorni di aprile 2020, una legge che vieta la vendita di cani e gatti nei negozi di animali o negli allevamenti industriali autorizzati; anche gli atti di crudeltà saranno puniti con la reclusione fino a un massimo di 5 anni. E’ una grande differenza di civiltà con chi questi animali li tortura e li macella.

Jane Goodall, etologa e primatologa britannica di fama mondiale, afferma che la pandemia di coronavirus è stata causata dal disinteresse dell’umanità per la natura e dalla mancanza di rispetto per gli animali. Goodall, che è meglio conosciuta per le ricerche pionieristiche in Africa che hanno rivelato la vera natura degli scimpanzé, ha chiesto al mondo di imparare dagli errori del passato per prevenire futuri disastri.
È il nostro disprezzo per la natura e la nostra mancanza di rispetto per gli animali con cui dovremmo condividere il pianeta che ha causato questa pandemia, che era stata prevista molto tempo fa. Perché mentre distruggiamo la foresta, le diverse specie di animali nella foresta sono costrette a una prossimità e quindi le malattie vengono trasmesse da un animale a un altro, e quel secondo animale ha quindi maggiori probabilità di infettare gli esseri umani poiché è costretto a stretto contatto con gli umani”.

Il prossimo accordo internazionale sulla biodiversità che doveva tenersi a ottobre 2020 nella città cinese di Kunming, è stato spostato a causa della pandemia di coronavirus. E’ già stato stilato da rappresentanti di 140 Paesi un testo che stabilisce, tra l’altro, la necessità di proteggete almeno un terzo degli oceani e delle terre, di ridurre del 50% l’inquinamento con rifiuti di plastica e i nutrienti in eccesso: “Preservare gli ecosistemi intatti e la biodiversità ci aiuterà a ridurre la prevalenza di alcune di queste malattie epidemiche. Quindi il modo in cui coltiviamo, il modo in cui utilizziamo i terreni, il modo in cui proteggiamo gli ecosistemi costieri e il modo in cui trattiamo le nostre foreste rovineranno il futuro o ci aiuteranno a vivere più a lungo”, avverte la responsabile Onu. www.animalequality.it/...

Il Covid-19 non è l’ultima patologia in corso.

Contemporaneamente al coronavirus, c’è un’altra epidemia che colpisce: la peste suina africana (PSA), un’infezione che sta falcidiando porcilaie e allevamenti causando la soppressione di milioni di animali. Benchè sia comparsa nell’agosto 2018 in Cina, è’ già arrivata anche in Europa così come ci racconta l’EFSA. Video www.youtube.com/...

Il timore di conseguenze politiche da parte del governo centrale e la mancanza di fondi locali per i rimborsi agli allevatori, avrebbero spinto non pochi allevatori a compiere un’azione pericolosissima: l’avvio al macello ai primissimi segnali della malattia, con l’inevitabile immissione nei circuiti del virus e l’aumento esponenziale del rischio di uno spillover, un salto di specie, visto che la carne cruda e infetta entra in contatto con l’uomo.

Con la peste suina africana, le autorità di Pechino avrebbero infatti assunto lo stesso atteggiamento avuto con COVID-19, cioè avrebbero prima negato e poi colpevolmente sottostimato l’entità della diffusione di un’infezione che avrebbe già dimezzato i 440 milioni di suini allevati nel paese, ridotto di un quarto quelli allevati nel mondo e, di conseguenza, alimentato un’impennata dei prezzi e un’inflazione mai vista negli ultimi otto anni.

La peste suina africana è una malattia virale dei suini e dei cinghiali selvatici, solitamente letale. Non esistono vaccini né cure. È per questo che la malattia ha gravi conseguenze socio-economiche nei Paesi in cui è diffusa anche se gli esseri umani non sono sensibili alla malattia.

La malattia ha continuato a diffondersi e, alla fine del 2019, era presente in nove Stati membri dell'UE: Belgio, Bulgaria, Slovacchia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania. www.efsa.europa.eu/...

In Italia la PSA è presente dal 1978 solo in Sardegna, sia nella popolazione di maiali domestici, allevati per lo più allo stato brado o semibrado, sia nel cinghiale. Il Ministero della Salute ha invitato alla prudenza www.salute.gov.it/...

C’è chi sostiene che, a causa dei cambiamenti climatici ormai inarrestabili e conclamati, lo scioglimento dei ghiacci, ghiacciai e permafrost (terreno permanentemente ghiacciato), potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi, risalenti addirittura a epoche precedenti la comparsa dell’uomo sul pianeta.

Non si tratta di un’ipotesi fantascientifica: a gennaio 2020 per esempio, un team di scienziati cinesi e statunitensi ha trovato all’interno di campioni di ghiaccio di 15.000 anni fa, prelevati dall’altopiano tibetano, ben 33 virus, 28 dei quali sconosciuti. www.agi.it/...

Per approfondimenti www.pro-natura.it/...

In attesa del prossimo spill-over.

“Non compiaciamoci troppo delle vittorie umane sulla natura.
Per ognuna di queste vittorie la natura prende la sua vendetta su di noi.
Ogni vittoria, è vero, in prima istanza ci porta ai risultati attesi, ma in seconda e terza istanza ha effetti abbastanza diversi e imprevisti che troppo spesso cancellano i primi”

Friedrich Engels


ANTIBIOTICO RESISTENZA


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Una mela al giorno toglie il medico di torno. Basta avere una buona mira.

Winston Churchill

Mentre in tutto il mondo ferve la ricerca di un possibile antivirus contro il nuovo Covid-19, purtroppo questa dolorosa emergenza non cancella anzi, si aggiunge, a quella già in corso: i cambiamenti climatici con i batteri che, in Europa, provocano infezioni alimentari e possono contare su un aumento della propria capacità di resistere agli antibiotici. Questo è il responso del nuovo rapporto sull’antibiotico resistenza nelle zoonosi stilato da EFSA insieme al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ECDC, che illustra quanto riscontrato negli uomini, negli animali d’allevamento e negli alimenti nel periodo 2017-2018. L’Italia in molte delle rilevazioni è tra i Paesi peggiori, risulta il secondo Paese in Europa per l’utilizzo di antibiotici negli allevamenti con oltre 1300 tonnellate all’anno.

La resistenza agli antibiotici è una grave minaccia per la salute pubblica e animale mondiale e richiede un’azione mondiale” ha affermato Marta Hugas, direttrice scientifica di EFSA. www.efsa.europa.eu/...

Nel mondo abbiamo bisogno con urgenza di nuovi antibiotici: i superbatteri resistenti uccidono ogni anno 700.000 persone, 33mila in Europa, 10mila in Italia per malattie come infezioni batteriche, polmonite, malaria, HIV/AIDS o tubercolosi. Dichiara l’OMS, che al riguardo ha diffuso una proiezione: entro il 2050 le morti per infezioni a germi resistenti supereranno quelle per cancro, con 10 milioni di vite perdute. (Vita e Salute marzo 2020).

Inoltre, l'Organizzazione Mondiale della Sanità OMS, dichiara anche che più del 50% degli antibiotici prodotti in Europa è utilizzato per gli animali e che, nel giro di 30 anni, si avranno più morti per le infezioni batteriche che per il cancro.

In natura la malattia è un evento raro che colpisce di solito gli individui dal sistema immunitario più debole: i cuccioli, gli anziani, gli animali feriti.

Considerato l'incredibile abuso che si fa degli antibiotici, i batteri, sempre più aggressivi, sono in grado di evolvere velocemente e produrre mutazioni. Hanno quindi sviluppato una resistenza, cioè la capacità naturale o acquisita di resistere a un farmaco antibiotico rendendolo incapace di combattere l'infezione che si vuole curare. Si tratta di un meccanismo che rende inutilizzabili farmaci importanti che, nel tempo, hanno contribuito in modo determinante a guarire malattie gravi o a ridurne al minimo le complicazioni. Malattie che in epoca pre-antibiotica avevano conseguenze letali. Riducono anche il rischio legato a interventi complessi ospedalieri, trapianti, impianti di protesi o trattamenti di chemioterapia. Nei prossimi decenni l'aumento dei casi farà crescere significativamente le spese ospedaliere e di assistenza sanitaria.

Mario Tredici, professore del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari, ambientali e forestali dell’Università degli Studi  di Firenze, stima che le infezioni intestinali e le patologie legate agli allevamenti siano in aumento e insieme alla resistenza agli antibiotici che gli allevamenti contribuiscono a diffondere più dell’uso medico, causa oltre 10 milioni di morti all’anno e che la spesa cumulativa prevista da qui al 2050 per combattere i patogeni resistenti ammonterà all’astronomica cifra di 100mila miliardi di dollari.

Secondo l'Istituto Superiore di Sanità ISS, circa il 30-60% dei batteri che causano infezioni ospedaliere è resistente agli antibiotici più comuni. Nel nostro Paese si sono verificati casi di resistenza pressochè totale e se questa tendenza non sarà invertita anche infezioni comuni o ferite leggere che per decenni non hanno rappresentato un problema potrebbero tornare ad essere una minaccia.

L'antibiotico resistenza è divenuta un'emergenza mondiale, "un vero allarme sanitario che va di pari passo con la crescente diffusione di questi farmaci nella pratica medica e veterinaria" sottolinea Annalisa Pantosti direttore del Reparto antibiotico-resistenza e patogeni speciali dell'ISS e: "la riserva di antibiotici non è infinita, al contrario".

Purtroppo, l'antibiotico resistenza è un fenomeno in rapida crescita che trova il suo fondamento nell'impiego irresponsabile dei farmaci specifici usati nella medicina umana e in quella veterinaria.

Ma perchè un uso tanto spropositato di antibiotici?

A prescindere dall'uso e, naturalmente, abuso per le infezioni umane, il 70% degli antibiotici venduti è destinato agli animali degli allevamenti intensivi, compresi quelli in acquacoltura, www.informasalus.it/... dove questi farmaci sono utilizzati in modo routinario e preventivo per tamponare gli effetti dello stress sugli animali (si mordono e si feriscono; defecano gli uni sugli altri; girano su se stessi; incorrono in mastiti e dolorose infiammazioni; i loro muscoli diventano abnormi rendendo loro impossibile muoversi e respirare; rimangono paralizzati e muoiono di fame e sete; subiscono amputazioni e debeccaggio senza anestesia; soggetti ad esalazioni che rendono la respirazione impossibile; non conoscono nè sole nè erba ma solo lampade al neon; ecc......ecc. www.ciwf.it/...) e cercare di evitare la comparsa di malattie negli ambienti sovraffollati e malsani dove gli animali vivono una vita di prigionia.

Sono le condizioni di vita degli animali negli allevamenti ad essere responsabili del loro debole stato di salute per cui si utilizzano gli antibiotici affinchè non muoiano prima di andare al macello. Ma il loro uso sistematico ha conseguenze rilevanti e non solo per l'antibiotico resistenza ma anche perchè i farmaci rimangono spesso nei tessuti degli animali e arrivano al piatto dei consumatori.

Non soltanto, in molti Paesi, anche se in Italia non sarebbe permesso, vengono usati come promotori di crescita per migliorare le rese zootecniche e per risparmiare sulle spese di pulizia e di sanificazione degli ambienti.

Ma si sa, i controlli mancano e gli interessi hanno il sopravvento. L'indifferenza verso la sofferenza di esseri senzienti proprio come noi, ci rende disumani come ha testimoniato Edgar Kupfer Koberwitz deportato a Dachau e ricordato nel saggio Un'eterna Treblinka di Charles Patterson: "Penso che finché l'uomo torturerà e ucciderà gli animali, torturerà e ucciderà anche gli esseri umani – e vi saranno le guerre – perché uccidere viene praticato e appreso poco a poco. Dovremmo cercare di superare le nostre piccole insensibili crudeltà, cercare di evitarle e cercare di bandirle. Ma siamo ancora troppo osservanti delle nostre tradizioni. E le tradizioni sono come una salsa grassa e saporita, che ci fa ingoiare la nostra insensibilità egoista senza farci accorgere di quanto questa sia amara".

L'autorità alimentare europea EFSA, European Food Security Authority, che monitora il fenomeno, ha rilevato come in molti casi i cibi di origine animale trasmettano all'uomo batteri resistenti agli antibiotici e l'ingestione continuata tramite la carne di questi medicinali, può alla lunga provocare disturbi www.efsa.europa.eu/...

Il problema non riguarda soltanto chi consuma carne dato che tracce di antibiotici possono entrare in contatto con i batteri presenti nel terreno attraverso le escrezioni dei liquidi organici degli animali, selezionando così ceppi resistenti che si diffondono nell'ambiente.

Nel 2018 la Commissione Europea si è espressa a favore del divieto dell'uso preventivo degli antibiotici nei mangimi medicati in tutta Europa e successivamente il Parlamento europeo ha confermato il divieto dell’uso preventivo di antibiotici negli allevamenti  in tutta l’UE e permesso solo a determinate condizioni. www.eur-lex.europa.eu/...

Il Ministero della Salute ha varato le "Linee guida per la promozione dell'uso prudente degli antimicrobici negli allevamenti zootecnici per la prevenzione dell'antimicrobico resistenza" www.salute.gov.it/....  Nel documento si analizza la situazione e le possibili strategie, proponendo considerazioni interessanti sul benessere animale e si sottolinea l'importanza di una corretta prevenzione garantendo agli animali non solo un ambiente pulito e confortevole ma anche libertà di movimento e possibilità di socializzare con i propri simili esprimendo comportamenti tipici della specie.

Sembrano buoni propositi.

Ma i buoni propositi non bastano visto come, nella realtà, gli allevamenti intensivi vengono gestiti. L'orrore di questi ambienti si scopre, non dalle parole che possono essere contestate, interpretate, modificate, stravolte, ma dai filmati di investigazioni effettuate da volontari che documentano le condizioni igieniche raccapriccianti, mutilazioni illegali e routinarie e cannibalismo nei suini, mucche lasciate morire di fame e sete, blatte nelle cisterne di latte, animali negli escrementi...... ecc.ecc., come già sinteticamente esposto.

Infatti, i filmati non mentono:


Quindi è difficile definire "guida pratica" le linee guida del Ministero, un elenco di suggerimenti che non indica i tempi delle azioni nè prevede controlli e sanzioni. Non sono norme giuridiche ma suggerimenti che si possono o non si possono seguire. E se non seguirli significa guadagnare di più, non si seguono.

Per combattere la resistenza agli antibiotici è necessario riconoscere il legame tra la salute umana e quella animale e ridurre il consumo di carne è fondamentale "in ogni caso e in ogni ambito di impiego, in campo umano così come in quello animale o ambientale con l'adozione di una strategia di lotta basata sulle indicazioni internazionali che chiedono di affrontare il problema in maniera globale, in una prospettiva definita One Health" come dichiarato da Fabrizio de Stefani, direttore del Servizio veterinario d’igiene degli alimenti  di origine animale dell’USLL 7 del Veneto www.ilfattoalimentare.it/...

"One Health" è un'espressione usata per descrivere un principio che riconosce la salute umana e animale come fortemente interconnesse e include anche l'ambiente. Ne abbiamo un esempio in questo periodo in cui il coronavirus sta compiendo la sua devastazione. Perché, come scrive David Quammen giornalista scientifico autore di Spillover: «là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro, come polvere che si alza dalle macerie».   

Dal 18 al 24 novembre 2019 si è svolta la Settimana mondiale degli antibiotici, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS  per sensibilizzare la popolazione sul corretto uso degli antibiotici e sui rischi connessi al fenomeno dell’antibiotico resistenza (AMR) www.ciwf.it/...

 
Infine, riconoscendo che la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi sono interconnesse, ovvero One Health, dobbiamo preoccuparci dell'antibiotico resistenza e delle sue conseguenze. Aprire gli occhi, togliere la maschera o mascherina e guardare lontano.


DEFORESTAZIONE


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

"Mi sento come se dovessi separarmi da una parte di me, un pezzo di me stessa, l'essenza del mio essere. Quando scenderò da quest'albero lascerò il migliore amico che abbia mai avuto"

La Ragazza sull'albero di Julia Butterflly Hill

La superficie di foreste scomparsa nel mondo in 15 anni, dal 1990 al 2015, è di 129 milioni di ettari. La mancanza di alberi ad alto fusto ha come effetto la diminuita capacità di catturare l’anidride carbonica.

Il 70% delle terre agricole dell’occidente è usato per allevare e nutrire gli animali. Un ettaro di terreno può produrre in un anno 2500 kg di proteine vegetali oppure soltanto 200 kg di proteine animali.

I due terzi delle terre fertili sono destinati alla coltivazione di cereali e legumi per alimentare animali (90% della soia e 50% di cereali). Per 1 kg di carne servono 15 kg. Di cereali.

Habitat incontaminati scompaiono per fare spazio a pascoli, piantagioni industriali di soia, palma da olio, cacao...... www.youtube.com/....

Il consumo crescente di carne, latte e uova richiede sempre più spazio e maggiore produzione di soia e cereali e quindi ulteriori nuovi territori da adibire a tali colture. Ciò comporta il disboscamento delle foreste. Oltre il 90% della soia prodotta nel mondo è utilizzato come foraggio per gli animali allevati.

Il Brasile è il maggiore esportatore di carne al mondo (l’Argentina è il secondo in Europa) quindi pascoli e piantagioni di soia servono per alimentare gli animali.

Uno studio pubblicato da Nature www.scientificast.it/..., stabilisce che erano 6.000 miliardi gli alberi sulla Terra prima della rivoluzione agricola (fine 1700). Oggi sono circa 3.000 miliardi. La metà. Sono bastati tre secoli per distruggere un patrimonio di milioni e milioni di anni.

L’intervento di Mario Tredici, professore del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari, ambientali e forestali dell'Università degli Studi di Firenze, riportato dal Fatto Alimentare 2019 www.ilfattoalimentare.it/...:
L’agricoltura è tra le prime cause del cambiamento climatico e ne subisce pesantemente gli impatti a livello locale e globale ed è responsabile d’ingenti danni ambientali: emissioni di gas serra, erosione di suolo fertile, deforestazione e desertificazione, inquinamento delle acque e dell’aria, perdita di biodiversità, eutrofizzazione e morte di vaste aree marine costiere. Il contributo maggiore a questi impatti negativi lo danno gli allevamenti di animali, ruminanti in particolare”. www.georgofili.info/...

Secondo Greenpeace, ogni tre secondi, nel mondo, un'area di foresta grande come un campo da calcio viene rasa al suolo. La distruzione ha conseguenze devastanti per il clima, la biodiversità e i diritti umani sacrificati sull'altare del profitto.

Senza gli alberi la vita sulla Terra sarebbe impossibile. Le specie vegetali forniscono l’ossigeno fondamentale alla nostra esistenza e sono al contempo una parte essenziale della catena alimentare. Non solo: grazie ai loro processi di respirazione e fotosintesi, gli alberi aiutano a combattere il riscaldamento climatico assorbendo anidride carbonica e contribuiscono alla pulizia dell’aria incamerando gli inquinanti.

Le foreste immagazzinano tonnellate di carbonio. Con l'aumentare degli incendi aumentano anche le emissioni di gas serra: oltre a quelle provocate dagli incendi stessi, il carbonio immagazzinato nella foresta viene liberato e si trasferisce in atmosfera favorendo, ulteriormente, l'innalzamento della temperatura globale.

Molte delle specie animali sono a rischio estinzione e milioni di persone rischiano la vita e vedono i loro diritti schiacciati dagli interessi delle grandi multinazionali del settore agroalimentare.

Il 2019 è stato il secondo anno più caldo dal 1800 ad oggi. L'anno degli incendi in Australia (governo negazionista sul clima), mesi di fuoco con 10 milioni di ettari distrutti, 25 morti, 2.000 case distrutte,1 miliardo di animali selvatici uccisi o gravemente feriti (koala, canguri....), danni economici che superano i 4,4 miliardi di dollari. Un unico colpevole: l'uomo.

Prima ancora in Siberia (la protezione delle foreste è lasciata ai casi in cui il loro valore economico sia superiore ai costi per spegnere gli incendi), Alaska, Groenlandia, Angola, Congo. E Amazzonia.

Durante l'estate del 2019 anche la foresta amazzonica, la più grande foresta pluviale della Terra, sette milioni di chilometri quadrati, di cui circa 5,5 milioni ricoperto da foresta pluviale (40% nel mondo), che si trova per il 65% nella parte nord-occidentale del Brasile e in porzioni di Perù, Colombia e di altri paesi del Sudamerica, è stata devastata da incendi dolosi.

Gli scienziati concordano che siamo prossimi a raggiungere il tipping point, o soglia critica, che determinerebbe la trasformazione della foresta pluviale in savana. Ciò comporterebbe una modifica del clima a livello globale.

Sempre parlando di numeri, l’Amazzonia ospita il 10% di tutte le specie animali, molti ancora sconosciuti, e vegetali (con piante medicinali che vengono utilizzate per la produzione di farmaci), presenti sulla Terra. E' considerata uno dei più importanti produttori di ossigeno per l’intero pianeta. E' stata sempre definita il polmone del mondo.

La FAO ha stimato che, complessivamente, il 70% delle terre deforestate dell’Amazzonia è stato trasformato in pascoli bovini e la produzione di mangime occupa gran parte del restante 30%. Inoltre, la geografa Susanna Hecth riferisce che il 90% dei nuovi allevamenti di bestiame in Amazzonia, sospende l’attività entro 8 anni dall’avvio per degradazione del suolo. I terreni diventano, praticamente, sterili e inutilizzabili, si trasformano in deserto. La continua pressione dello zoccolo provoca il compattamento del terreno e diminuisce la sua capacità di trattenere l’acqua e di rigenerarsi,  mentre l’estirpazione della vegetazione effettuata dall’animale per nutrirsi, provoca impoverimento della flora che compromette la resistenza del suolo non più trattenuta dalle radici.

Con l'uccisione di Chico Mendes il 22 dicembre 1988, scoppiò il problema gobale della deforestazione dell’Amazzonia.
Alle prime avvisaglie di aggressione alla foresta, Chico Mendes, estrattore di caucciù fin dalla nascita, formò un’unione di seringueiros portandoli a battersi contro la devastazione e per la creazione di aree protette gestite da comunità locali. Seppe unire contadini, indios, sindacalisti, preti e politici attorno a un’idea rivoluzionaria di foresta: un luogo senza padroni, in cui alberi e uomini possano vivere e crescere insieme, gli uni custodi degli altri.  Gli interessi dei poteri forti non lo permisero.

L’attuale presidente del Brasile, Jair Bolsonaro che, evidentemente, ama più il denaro che il suo Paese, ha confermato in più occasioni di essere favorevole alla deforestazione e questo ha probabilmente indotto piccoli e medi coltivatori ad appiccare più incendi del solito, sapendo di correre minori rischi legali rispetto a un tempo. Se si perdesse un terzo dell’attuale foresta, ci potrebbero essere conseguenze irreversibili per l’intera Amazzonia, con danni permanenti. Video www.youtube.com/...

Le ragioni per cui vengono volontariamente bruciate zone della foresta amazzonica (ma anche di molte altre foreste) sono principalmente tre: usare il legno e soprattutto aprire nuovi spazi all’agricoltura e all’allevamento. Il pascolo dei bovini rimane una delle principali ragioni di disboscamento (l’80%, secondo Ispra): non stupisce quindi che il Brasile sia il primo esportatore di carne al mondo: lo era nel 2018 e ha continuato ad esserlo nel 2019. Purtroppo l’Unione europea contribuisce, attraverso i propri consumi di carne, seppure in maniera indiretta, alla deforestazione dell’Amazzonia.

Secondo il WWF, chi studia l'Amazzonia sa che stiamo drammaticamente raggiungendo un punto di non ritorno (tipping point) che diversi autorevoli scienziati indicano intorno al 25% del complessivo ecosistema amazzonico distrutto, oltre il quale le foreste, non più in grado di svolgere le loro funzioni ecologiche, collasserebbero lasciando dietro di sè erosione, siccità e aride savane in una sorta di effetto domino.

I roghi che hanno distrutto in questo recente periodo la foresta amazzonica in Brasile e in alcuni Stati vicini (la foresta del Chaco dove si registra il più alto tasso di deforestazione nel mondo), sarebbero intenzionali e strettamente legati alla deforestazione. Tenendo conto che questa foresta è un ambiente delicatissimo e irripetibile, una volta scomparso sarà scomparso per sempre e nessun intervento di rinaturalizzazione potrà mai creare la straordinaria varietà, ricchezza e complessità di una foresta tropicale. www.rivistanatura.com/...

Altro motivo per la deforestazione è la spinta verso i biocarburanti che causano la scomparsa di migliaia di ettari di foreste convertite in piantagioni di palme da olio.
In Indonesia si brucia l'habitat di tigri e oranghi per fare spazio alle piantagioni di palma da olio, un olio a basso costo, presente in moltissimi prodotti (dagli alimentari ai detergenti) e nel biodiesel. Lo attesta il rapporto di Greenpeace www.storage.googleapis.com/... sintetizzato da Il Fatto alimentare www.ilfattoalimentare.it/...

Dall’inizio del 2019, solo in Indonesia sono bruciati poco meno di 860 mila ettari di terreno, di cui 227 mila di torbiere, rilasciando nell’atmosfera 465 milioni di tonnellate di anidride carbonica. E nello stesso anno sono oltre 900 mila i cittadini indonesiani ad aver sofferto di problemi respiratori acuti a causa dei fumi sprigionati dagli incendi. Info: www.valori.it/...

L'olio di palma è l’olio vegetale più usato al mondo e a rendere particolarmente economico il ricorso a questo ingrediente contribuisce il fatto che la palma, a parità di massa vegetale, è in grado di produrre olio fino a nove volte in più rispetto alle altre piante.

Ma gli effetti sulla salute sono ancora un tema discusso e controverso, gli effetti sull’ambiente, sottolinea il Wwf nel rapporto "Foreste che proteggono - foreste da proteggere", sono invece indiscutibili. La palma da cui si estrae questo olio è coltivata soprattutto in Indonesia e Malesia che, insieme, producono circa il 90% di tutto l’olio di palma usato nel mondo.

Se ancora 50 anni fa, l’82% dell’Indonesia era coperta da foreste, già nel 1995 la percentuale era scesa al 52%: al ritmo attuale, entro il 2020 le foreste indonesiane (seconde un tempo per estensione solo a quelle amazzoniche) saranno definitivamente distrutte. Le coltivazioni di palme da olio arrivano a crescere in Asia a un ritmo di 0,4 milioni di ettari l’anno.

In Africa le foreste vanno in fumo per fare spazio alle piantagioni di cacao.

La Costa d’Avorio rimane la nazione più colpita da questo drammatico fenomeno: basti pensare che nel solo anno 2017, nella zona sud occidentale del Paese si sono persi circa 14mila ettari di foresta. Uno scempio sostenuto più o meno direttamente dal governo ivoriano. In questi decenni, Costa d’Avorio e Ghana hanno perso quasi il 90% del loro patrimonio forestale proprio a causa della coltivazione del cacao. www.missioniafricane.it/...

Il consumo di cacao è in continua crescita nel mondo. Secondo i dati di ConsoGlobe, la produzione mondiale ha raggiunto nel 2016 i 4 milioni di tonnellate (127 chilogrammi al secondo). Per un giro d’affari corrispondente di circa 71 miliardi di euro (dato del 2015). Ma si tratta di una crescita che implica un enorme costo ambientale. Ogni anno, infatti, migliaia di ettari di foreste, in parte protette, vengono dati alle fiamme o rase al suolo per lasciare spazio alle fave di cacao. Nonostante gli impegni assunti delle aziende. www.valori.it/...

Riepilogando, il 2019 ha visto bruciare, secondo il WWF, circa 12 milioni di ettari in Amazzonia, 27.000 ettari nel bacino del Congo, oltre 8 milioni nell'Artico, 328.000 ettari tra foreste e altri habitat in Indonesia e infine, l'Australia.

"Oggi, osserva la FAO, il 33% del territorio risulta da moderatamente ad altamente degradato a causa di erosione, salinizzazione, compattazione, acidificazione e inquinamento chimico dei suoli". www.fao.org/...

In Polonia, la foresta di Białowieża, è un'antica foresta vergine situata lungo il confine tra la Bielorussia e la Polonia. Conserva una notevole biodiversità ed è patria dell'ultimo bisonte europeo, il più grande animale selvatico terrestre che vive in Europa e che l’IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, considera specie vulnerabile. La foresta è catalogata come patrimonio UNESCO.

Il governo polacco ha ordinato il taglio di 180.000 metri cubi di alberi.
Nel 2018 la Corte europea di Giustizia ha bloccato il tentativo del governo polacco di abbattere in modo indiscriminato gli alberi dell’ultimo tratto della grande foresta che anticamente copriva il Continente ma il governo polacco continua il piano di abbattimento.

Quindi, dopo l'avvio della procedura d'infrazione volontariamente disattesa  dalla Polonia, la Corte europea ha adottato un provvedimento provvisorio, uno strumento da utilizzare in casi urgenti e che avrebbe dovuto comportare la sospensione immediata del taglio di alberi nella foresta di Bialowieza. Il provvedimento resterà in vigore finché la Corte di giustizia non emetterà una sentenza definitiva sul caso.

Il governo polacco sembrerebbe intenzionato ad ignorare anche il nuovo provvedimento e a procedere con il proprio piano di disboscamento, arrivando a tagliare fino a mille alberi al giorno. Viene da chiedersi: perché la Polonia resta dentro la Comunità europea?

Anche gli allevamenti di acquacoltura sono responsabili di una vasta distruzione delle foreste marine, fondamentali per la sopravvivenza di numerose specie, come avvenuto per esempio in Paesi come il Vietnam, Thailandia, Filippine, Bangladesh, Ecuador e Brasile, dove gli allevamenti di gamberoni tropicali hanno causato notevoli danni alla fascia costiera delle foreste di mangrovie. www.it.wikipedia.org/...

In Europa, secondo l’IUCN Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, quasi la metà delle specie arboree è a rischio secondo la nuova lista rossa degli alberi. Grave la situazione delle specie endemiche di cui il 58% è minacciato e il 15% in pericolo di estinzione.
Anche l'Italia ha le sue colpe.  Gli alberi vengono continuamente abbattuti nelle vie e nelle piazze da Roma a Trieste. Quando i cittadini reclamano, la giustificazione è una sola: per la sicurezza. Come se tutti gli alberi italiani crollassero insieme sulla testa della popolazione.

Con ogni albero abbattuto:

  • perdiamo assorbimento di polveri sottili; accresciamo l'inquinamento
  • perdiamo assorbimento di CO2; un albero assorbe fino a 360 kg di CO2 all'anno
  • perdiamo ossigeno; un albero produce 30 litri di ossigeno al giorno mentre un essere umano ne ha bisogno di 300 litri al giorno
  • la temperatura in città aumenta fino a +3° dove sono stati abbattuti interi filari di alberi.

Anche gli incendi in Italia sono all’ordine del giorno; l’ultimo è quello che i carabinieri forestali hanno scoperto nella lucchesia e che riguarda 50 ettari di prato e bosco. Colpevoli due pastori.

Ma, nonostante le menzogne e i segreti intenti, le ipotesi più convincenti sono: rifornimento per le centrali a biomassa (scarti delle attività agricole cui si sono aggiunte coltivazioni annuali espressamente indirizzate alla produzione di energia e www.ilfattoquotidiano.it/... - www.ilcambiamento.it/...) l’imminente avvio del nuovo sistema di trasmissione dati 5G per il quale gli alberi alti più di tre metri potrebbero essere d'impiccio e più alti di cinque metri costituire un vero e proprio impedimento www.nogeoingegneria.com/....

Perciò gli alberi si tagliano.

Come si spiega altrimenti la serie impressionante di abbattimenti in tutta Italia? Anche i boschi sono minacciati con tagli radicali e senza il controllo del Corpo Forestale dello Stato, ormai abolito. Anche qui, come nelle altre foreste del mondo, l'interesse economico di pochi sovrasta l'interesse di tutta la comunità.

L'industria italiana del legno è la prima in Europa. Il legname però arriva da altri paesi sostiene Federforeste (settore della legna da ardere, cippato destinato alle caldaie, alle reti di teleriscaldamento o di cogenerazione ovvero di produzione combinata di energia elettrica e calore - www.federforeste.it/...) tanto che la maggior parte dei mobili venduti in Italia è fatta con legno straniero senza che il consumatore lo sappia.

"Aumentano del 6,9% le importazioni di legname dall'estero mentre sono 12 miliardi gli alberi che riempiono i boschi da nord a sud della Penisola" dichiara il Direttore di Coldiretti Arezzo Mario Rossi. E continua: "Utilizzare solo legname che arriva da foreste controllate e curate, valorizzando la filiera corta e il prodotto a km zero che abbatte le emissioni inquinanti perchè non deve percorrere lunghe distanze su camion o navi prima di arrivare fino a noi". Si deduce che per abbattere le emissioni inquinanti è meglio abbattere gli alberi delle foreste italiane e non quelli delle foreste straniere.

Nel 2019 la Regione Toscana ha addirittura finanziato con 1,5 milioni di euro il piano "Foreste d'Arezzo" per dare una svolta all'economia locale legata alla filiera del legno creando un canale diretto tra produttori di legname (comuni aretini coinvolti del Casentino, Pratomagno e Valtiberina) e le aziende che si occupano del taglio, trasformazione e vendita. Quindi, non solo non si conservano gli alberi ma addirittura si premia chi li abbatte.

Le associazioni ambientaliste (Lipu, WWF, Italia Nostra, GrIG, ISDE) rilevano come gli enti gestori in Toscana attuino interventi invasivi su ampia scala, con il taglio completo di alberi, anche ad alto fusto e che le normative vigenti e le linee guida non vengano rispettate. Tali interventi sono condotti con macchinari che trinciano tutta la vegetazione e con essa qualsiasi forma di vita animale e vegetale anche con la nidificazione in corso che, secondo Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sottolinea l'impatto pesante sulla biodiversità di queste pratiche.

Il 5 maggio del 2018 è entrato in vigore il Decreto legislativo 3 aprile 2018 n. 34, dal titolo Testo unico in materia di Foreste e Filiere forestali (Tuff) www.gazzettaufficiale.it/..., relativo alla revisione e l'armonizzazione della normativa nazionale che non è stato bene accolto da chi ritiene che privilegiare lo sfruttamento economico delle foreste sia a discapito del loro ruolo ecologico e della biodiversità. Tant'è che è stato inviato ai vari ministri un appello tecnico scientifico da parte di docenti universitari e ricercatori di enti pubblici in scienze botaniche, zoologiche, ecologiche, geologiche, ambientali e forestali, nonchè Lipu e WWF (ma non Legambiente), per chiedere la revisione del piano in quanto basato su informazioni scientificamente insostenibili.

Prima dell’insorgenza dell’attuale crisi sanitaria, l’Italia figurava quale primo paese dell’Unione Europea per morti da inquinamento atmosferico (patologie respiratorie e cardiovascolari).
Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente erano 76.200 le vittime/anno, mentre nella Relazione annuale 2019 del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico del Ministero dell’Ambiente sono riportate 91.000 vittime/anno.

Più spazio e fondi alla natura, monitoraggi puntuali e rispetto delle normative ambientali. Lo chiedono oltre 3.600 scienziati provenienti da tutti i Paesi europei, preoccupati per l’impatto negativo che il modello agricolo europeo, tramite la Politica Agricola Comune europea PAC, ha avuto sulla biodiversità. www.cambiamoagricoltura.it

Nel 2021 l’Europa applicherà la nuova Politica Agricola Comune PAC, ovvero l’insieme di regole per l’assegnazione di sussidi e incentivi agli agricoltori e allevatori europei. Ma questi fondi non vengono assegnati in modo equo e il PAC è fondamentalmente ingiusto poiché sostiene in modo sproporzionato grandi aziende intensive e industriali e maxi allevamenti che inquinano di più, contribuendo alla scomparsa delle aziende più piccole e più sostenibili www.wwf.it/?1446 . Di qui la protesta e la richiesta di nuovi regolamenti che contengano azioni urgenti per arrestare la crisi della biodiversità www.wwf.it/....

Secondo Greenpeace www.greenpeace.org/italy/..., “Con le attuali regole in vigore infatti, la realtà sembra essersi rovesciata: chi inquina, non solo non paga…..ma viene pagato!” . Di qui la protesta www.wwf.it/news/... per:

  • mettere fine ai sussidi che sostengono la produzione intensiva di carne e latte;
  • incrementare sussidi che promuovano le aziende agricole ecologiche e locali;
  • adottare politiche per il cambiamento delle abitudini alimentari e modelli di consumo finalizzati a raggiungere l’obiettivo di ridurre del 50% il consumo di carne e prodotti lattiero-caseari entro il 2050.

Nonostante lo scempio che si fa del patrimonio verde, "dalla Cop26 (novembre 2020), all'anno internazionale della salute delle piante, passando per l'International conference on sustainable development, il Forum sulle foreste delle Nazioni Unite e la EU Green Week, si ribadisce la centralità di alberi e foreste nella lotta ai cambiamenti climatici ma assieme alle campagne per il ripristino dei boschi deve esserci 'impegno a preservare l'esistente", questo è quanto afferma FSC Italia Forest Stewardship Council che lavora per promuovere la gestione responsabile delle foreste in tutto il mondo.  Diego Florian, responsabile della ong internazionale indipendente e senza scopo di lucro, dichiara: "Gli effetti delle azioni di ripristino o reimpianto di alberi, potranno essere valutati e misurati solamente tra decenni, per questo il primo impegno deve essere sviluppare una gestione attiva e responsabile del patrimonio forestale esistente". www.it.fsc.org/it...

Eppure ci sono Paesi che navigano al contrario, cioè verso la forestazione.

Un esempio è l'Etiopia che, nel 2019, ha raggiunto il record mondiale di piantumazione di nuove alberature. In un solo giorno: 350 milioni di alberi strappando il primato all'India che, nel 2017, aveva piantato 66 milioni di alberi in un giorno. La campagna "Green Legacy", è stata avviata per riforestare il territorio e combattere il cambiamento climatico. www.lenostrebuonenotizie.net/...

Quindi qualcosa si sta muovendo nelle città del mondo.

La FAO nel 2020 annuncia le città pioniere di foreste urbane: Tree City.
Sono in totale 59 le città, tra cui anche Milano, Torino e Mantova, a cui sono state assegnate il riconoscimento di Tree City, con l’elenco annunciato dalla FAO. Stando a quanto affermato dai responsabili del programma oltre 100 ulteriori città dovrebbero in futuro ricevere, in virtù dell’impegno a rispettare gli standard indicati, tale nomina. www.technogym.com/...

Fra le città al primo posto per la maggior percentuale di copertura arborea, ci sono:

  1. Tampa: città della Florida che, secondo il progetto Treepedia, ha la maggior percentuale di copertura arborea del mondo (36,1%), nonostante sia una delle più densamente popolate della costa sudorientale degli USA, con 1.283 abitanti/Km2.
  2. Singapore: grande città nel sud della Malesia, con una densità di popolazione da brividi (7000 abitanti/km2), è fra le città con il reddito pro capite più alto al mondo. Il tasso di copertura arborea è intorno al 29,3%, è chiamata la città giardino.
  3. Oslo: la capitale della Norvegia è una delle città più care al mondo ed ha una densità di popolazione di 4421 abitanti/Km2. La percentuale di alberi è, in questo caso, del 28,8% e nel 2019 è stata riconosciuta come “Capitale Verde Europea”.
  4. Sidney: questa città australiana è la più popolata del paese (4,6 milioni di abitanti ma la densità di popolazione è fra le più basse al mondo con 400 abitanti/Km2). La percentuale di copertura arborea arriva quasi al 26%.
  5. Vancouver: città canadese con un tasso di copertura che arriva al 26%, è considerata come una delle migliori al mondo per qualità di vita con uno dei tassi di criminalità e delinquenza più basso al mondo, ha una densità di popolazione elevata (5249 abitanti/Km2).

Alcuni dei tanti esempi che la FAO chiede di imitare.

Quando avrete inquinato l'ultimo fiume, catturato l'ultimo pesce, tagliato l'ultimo albero,
capirete solo allora che non potrete mangiare il vostro denaro.

Profezia indiani Cree


BIODIVERSITA'


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

Grazie a Dio gli uomini non possono volare e devastare il cielo
come hanno fatto con la terra.

Henry David Thoreau

Il rapporto pubblicato dall’ONU nel maggio 2019 parla di un milione di specie a rischio di estinzione a causa dell’impatto umano, più che in ogni altro periodo della nostra storia, tra cui un terzo dei mammiferi marini.

Purtroppo, uccidere, sterminare, annientare, è la logica che si è impossessata degli umani e la applicano, non solo verso i propri simili, ma anche verso gli animali indifesi e innocenti la cui colpa è solo quella di vivere, di esistere“. Come non essere d’accordo con le parole del giornalista e scrittore Vincenzo Pardini!

Le specie viventi che popolano la Terra sono così tante e tali da far ancora faticare i biologi nell’attività di censimento. Se ne conoscono tra 1,5 e 1,8 milioni ma le stime tra quelle esistenti variano dai 6 ai 30 milioni e c’è chi ne ipotizza addirittura 100 milioni. Il 15% a livello mondiale, vive in Amazzonia.

Dal 1970 sono scomparsi 3 miliardi di uccelli migratori, 720 milioni di uccelli delle praterie, 160 milioni di uccelli insettivori. Inoltre alte percentuali di uccelli delle foreste e delle coste. Anche la caccia ha il suo ruolo.

Da questo capitale naturale dipendono la disponibilità di cibo, la regolazione dei gas, la purificazione di acqua e aria, la fertilità e la riduzione dell’erosione del suolo, l’impollinazione, la protezione da inondazioni e malattie, i servizi ecosistemici che, è stato calcolato, portano benefici per 125mila miliardi di dollari, superando il PIL sommato di tutti gli Stati del mondo.

Per colpa dell’uomo, responsabile di un’offensiva nei confronti della biodiversità che gli scienziati definiscono “senza precedenti”, una specie vivente su otto è a rischio estinzione. Un milione di animali e vegetali è destinato a sparire in tempi brevi dalla Terra e dagli oceani. A lanciare l’allerta è un report dell’Onu presentato a Parigi dalla Piattaforma intergovernativa scientifica e politica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, IPBES.

Oggi si perdono 27.000 specie in un anno, fino a 150 anni fa si perdeva una specie ogni secolo.

Il tasso di declino è stimato del 38% per gli animali terrestri, del 36% per quelli marini e dell’81% per le specie di acqua dolce. Living Planet Report dicembre 2016 del WWF www.wwf.it/news/...

L’Italia con 60.000 specie animali e 6.000 vegetali è il Paese europeo con il più elevato livello di diversità biologica. Tuttavia, su un totale di 6.000 specie di piante e di fiori, quasi 1.000 rischiano di scomparire e ben il 70% delle specie di animali vertebrati sono considerate minacciate o in pericolo di estinzione”. Ancora: “E’ l’uomo la principale minaccia alla biodiversità. Il tasso di estinzione è stimato in circa una specie all’anno ma l’antropizzazione degli ambienti, la deforestazione e la pratica agricola delle monocolture determinano un tasso annuale diecimila volte superiore. Quando una specie scompare l’equilibrio che lega strettamente l’ecosistema, viene alterato”. Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, volantino ex Corpo Forestale dello Stato. Ma le parole se le porta il vento.

Quindi questa incredibile varietà è seriamente compromessa dalla distruzione degli habitat dovuta soprattutto alle monocolture, agli incendi e al bracconaggio, fenomeni spesso connessi fra loro.

L’Arma dei Carabinieri nel novembre 2018 ha organizzato la conferenza internazionale Biodiversity: engine of life on Earth, per sottolineare come la biodiversità contribuisca al buon funzionamento degli ecosistemi e alla mitigazione del cambiamento climatico, come dalla sua salvaguardia dipenda il nostro futuro e rimarcato l’importanza di una rete interconnessa di aree protette. www.attualita.it/notizie/...

Johan Rockstrom, l’ideatore dei planetary boundaries (i confini planetari) www.edizioniambiente.it/...,  pone al primo posto, in termini di gravità, tra le grandi questioni ambientali da affrontare, la perdita di biodiversità genetica che ha superato il limite della zona di incertezza ed è entrata nella zona rossa, quella estrema, di massimo rischio. Un dato ampiamente confermato dall’ultimo rapporto dell’IPBES, la piattaforma delle Nazioni Unite su biodiversità ed ecosistemi in base alla quale un milione di specie animali e vegetali è minacciato di estinzione nei prossimi anni/decenni. www.saperescienza.it/...

A 65 milioni di anni dalla scomparsa dei dinosauri, la Terra sta vivendo una nuova estinzione di massa, la sesta della sua storia. Secondo gli scienziati, in particolare il premio Nobel Paul Crutzen al quale si deve il termine, siamo entrati nell’antropocene, l’era geologica nella quale all’uomo e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, climatiche e degli ecosistemi.

Secondo le previsioni di Daniel Rothman – geofisico del Mit di Boston che ha comparato il ciclo del carbonio nei periodi in cui sono avvenute le altre estinzioni di massa – già da qualche anno è in atto un aumento dei valori tale da innescare il processo di estinzione che, entro il 2100, raggiungerà il suo apice e impiegherà circa diecimila anni per trovare un nuovo equilibrio. L’aspetto più drammatico è che per la prima volta in miliardi di anni, a causare l’anomalo aumento della concentrazione di carbonio è l’essere umano.

Lo dimostra anche uno studio pubblicato sulla rivista dell'Accademia americana delle scienze PNAS dai biologi dell'Università di Stanford e dell'Università nazionale autonoma del Messico.
Se questo andamento continuerà, la vita avrà bisogno di milioni di anni per riprendersi e la nostra specie, nel frattempo, sarà scomparsa”. Lo dice Gerardo Ceballos coordinatore dello studio sviluppato da cinque università nel 2011. Sulle cause della sesta estinzione di massa gli scienziati concordano: frammentazione e alterazione degli habitat, deforestazione, coltivazioni estensive, attività estrattive, diffusione di specie invasive, nuovi agenti patogeni, crescita abnorme della popolazione umana e sua organizzazione in grandi agglomerati urbani, defaunizzazione dovuta ad eccessive attività di caccia e pesca, inquinamento incontrollato fino ai noti cambiamenti climatici.

Secondo la comunità scientifica entro pochi decenni circa il 75% delle specie viventi scomparirà dalla Terra www.galileonet.it/... nonostante che dal 2000 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per celebrare l'adozione della Convenzione sulla Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity) ha dichiarato il 22 maggio di ogni anno la Giornata mondiale della biodiversità dedicata alla sua difesa e tutela. La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Dal 2003, ogni anno in marzo, ricorre la Giornata mondiale della fauna selvatica (World Wildlife day) con lo scopo di preservare la biodiversità in tutto il mondo. Perdere piante e animali selvatici che contribuiscono all’equilibrio naturale costa caro: più di una volta e mezza il prodotto interno lordo (PIL) globale, circa 145 miliardi di dollari all’anno che stiamo buttando via. Lo ricorda Sir Ribert Watson, uno dei maggiori esperti internazionali delle tematiche ambientali ed ex presidente della Piattaforma intergovernativa promossa dall’ONU sulla biodiversità, IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), a cui anche l’Italia ha aderito. www.wwf.it/?6340

Anche il Segretario dell’ONU Antonio Guterres ha lanciato l’allarme poiché continuiamo a sfruttare le risorse naturali e il loro habitat in modo insostenibile. Quasi un quarto di tutte le specie sono attualmente a rischio di estinzione nei prossimi decenni.


Ma, cos'è la biodiversità?  



La biodiversità, ovvero la varietà della vita sulla Terra, rende splendido e abitabile il nostro pianeta. Un mondo di bellezza e di poesia che non sappiamo apprezzare abbastanza.

Il concetto di biodiversità è stato definito per la prima volta nel 1992, nell'ambito della Conferenza Mondiale di Rio de Janeiro sull'Ambiente e lo Sviluppo, come la "variabilità tra gli organismi viventi provenienti da qualsiasi origine, inclusi gli ecosistemi terrestri, marini e acquatici e i complessi ecologici di cui questi sono parte". Comprendendo così la diversità all'interno delle specie, tra le specie e tra i diversi ecosistemi (ecosistema: l'insieme degli organismi viventi e della materia non vivente che interagiscono in un determinato ambiente costituendo un sistema autosufficiente e in equilibrio dinamico).
Noi stessi facciamo parte della biodiversità e ne utilizziamo i servizi: cibo, acqua, energia e risorse per la nostra vita quotidiana. Salvare la biodiversità, salvare il pianeta Terra, il nostro mondo, vuol dire salvare la Vita, in ogni sua forma.

Eppure, nonostante il suo valore sia unico, spesso diamo la natura per scontata. La pressione che esercitiamo su molti sistemi naturali aumenta di continuo e impedisce loro di funzionare al meglio, talvolta portandoli addirittura sull‘orlo del collasso.
Per questa ragione, l’Unione europea si è impegnata ad arrestare il collasso e negli ultimi 25 anni ha dato vita a una rete di 26.000 aree protette entro i suoi confini, per un totale di oltre 850.000 kmq. Natura 2000 è la rete di aree protette più estesa al mondo, una testimonianza di quanto per noi, in definitiva, sia importante la biodiversità. Ma, evidentemente, non basta. www.ec.europa.eu/...

La migliore scuola dove un giovane possa apprendere che il mondo non è privo di senso è la diretta frequentazione della natura. Con la consapevolezza che siamo in tutto e per tutto parte di questo mondo si acquista anche la consapevolezza che ne portiamo la piena responsabilità.” (Konrad Lorenz).

Si definisce specie a rischio, o in via di estinzione, una specie animale che, a causa della diminuzione della popolazione e in virtù di mutamenti avvenuti nel suo habitat, può scomparire.

Si tratta di un fenomeno biologico oggi allarmante: la situazione creatasi a partire dalla rivoluzione industriale ha portato molte specie vicino all’estinzione non a causa di fattori naturali, ma per effetto della pressione dell’essere umano sull’ecosistema.

Secondo i dati dell’Unione internazionale per la conservazione della natura IUCN, un quarto delle specie di mammiferi, un ottavo di quelle di uccelli, il 25% dei rettili, il 20% degli anfibi e il 30% dei pesci sono a rischio. Ovvero 8.500 specie sono presenti nella lista rossa e, come accertato, gli imputati principali sono il sovrasfruttamento, l‘agricotura intensiva, la caccia, la pesca, il commercio illegale, l‘eccessivo intervento sugli habitat naturali, i cambiamenti climatici e l’inquinamento www.iucn.it/liste.... In Italia sono a rischio www.iucn.it/liste...

Nonostante ciò, anche la caccia in Italia continua ad avere il sopravvento con le giustificazioni più bieche e spesso assurde ma, si sa, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Senza considerare le norme illegali emesse dalle Regioni italiane condannate ai vari livelli giuridici, compresa la Corte Costituzionale unica ad avere il diritto di emettere leggi sull’ecosistema (Art. 117 comma s della Costituzione). Purtroppo, sempre tardi quando i “buoi sono scappati dalla stalla”.

Negi ultimi 50 anni “l’impronta ecologica” umana, cioè la misura del consumo delle risorse naturali, è in crescita del 190%. In Italia, la biodiversità è minacciata anche dagli incendi e dal bracconaggio, fenomeni spesso connessi fra loro.

Nonostante i buoni propositi pubblici e privati, la biodiversità non viene rispettata e ci avviamo a quella sesta estinzione di massa senza muovere un dito, senza pensare che siamo tutti collegati e che, per la Teoria del caos coniata dal fisico Edward Lorenz: il battito d’ali di una farfalla in Brasile può provocare un uragano in Texas.

La biodiversità è minacciata anche dal traffico illegale di fauna selvatica che è diventato una delle attività criminali più redditizie in tutto il mondo con effetti devastanti ed un impatto altrettanto negativo sui Paesi coinvolti. Animali strappati a forza dal loro ambiente e dal loro gruppo familiare, costretti a viaggi disumani o fatti a pezzi sul luogo. Questo il destino che ogni anno milioni di esseri viventi sono costretti a subire, vittime silenziose del traffico illegale di animali selvatici. Questo aberrante commercio rappresenta una delle principali cause di perdita di biodiversità nel mondo www.youtube.com/...

Venti miliardi di dollari. Tanto è stimato il traffico di specie protette che rappresentano il quarto mercato illegale più fiorente al mondo dopo droga, armi e tratta di esseri umani. Il dato è emerso durante la presentazione del calendario CITES 2019 che si è svolta a Roma presso la FAO. www.giornalelora.it/... - www.carabinieri.it/arma/...

Anche gli esseri umani hanno un mercato? Allora ci domandiamo perché se la maggioranza dell’umanità si ritiene civile e potente, non riesce a debellare neppure questa abiezione? La risposta è: Così come ci giriamo dall’altra parte davanti alla distruzione del nostro pianeta, ci giriamo dall’altra parte per tutte le abiezioni, in ossequio al dio denaro.

Diverse sono le forme di traffico di fauna selvatica attivate da gruppi organizzati: commercio di animali catturati vivi e destinati a collezionismo privato (300.000 animali commercializzati illegalmente in Europa); atti di bracconaggio commessi da cacciatori  in regola con il porto d’armi che però operano nei tempi, nei modi e nei luoghi vietati (in Italia sono l’80% secondo il CABS Committee against bird slaughter); commercio di carne utilizzata dai ristoranti compiacenti; imbalsamazione ……..ecc.

Stranamente, il pangolino (additato come animale amplificatore, intermediario, ponte nel coronavirus) è il mammifero più comune nel commercio internazionale. Secondo un rapporto dell’Ente per la protezione della fauna selvatica cinese, realizzato in collaborazione con un team di ricercatori inglesi, ogni anno oltre 10.000 esemplari vengono introdotti illegalmente in Cina dal Sud-est Asiatico. Il contrabbando di pangolini non è che l’ultimo esempio della crescente domanda cinese di fauna selvatica illegale. Le squame di questo animale vengono impiegate nella medicina tradizionale cinese e la carne viene consumata nei ristoranti.

Il rapporto del 2019 dell’IPBES, Platform on Biodiversity and Ecosystem Services,  il Comitato internazionale e intergovernativo scienza-politica che per conto dell’ONU si occupa di biodiversità ed ecosistemi, parla chiaro: il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati modificati in modo significativo e circa 1 milione di specie animali e vegetali, come mai si era verificato fin ad oggi nella storia dell’umanità, sono a rischio estinzione www.open.online/.... Dati condivisi con quelli del Living Planet Report 2018 del WWF

Infine, il Parlamento europeo ha definito un piano strategico per la conservazione della biodiversità, Conferenza delle parti (COP15) della Convenzione sulla diversità biologica (Kunming 2020) e “osserva con preoccupazione che la relazione di valutazione globale dell'IPBES sulla biodiversità e i servizi ecosistemici evidenzia chiaramente l'entità della crisi ecologica e la necessità di compiere urgentemente sforzi concertati che promuovano cambiamenti profondi, dal momento che la natura è in declino su scala mondiale a un ritmo senza precedenti nella storia dell'umanità, il tasso di estinzione delle specie sta accelerando e quasi un milione di specie animali e vegetali sono a rischio di estinzione, con gravi ripercussioni sulle popolazioni di tutto il mondo che incideranno sulla vita delle nostre future generazioni”; www.europarl.europa.eu/...

Ma lo sappiamo, per passare dalle parole ai fatti…secondo Alexander Likhotal presidente di Green Cross International Italia, i governi dovrebbero raccogliere seriamente e con concretezza, la sfida di pianificare e realizzare un mondo equo e sostenibile. Cosa che è ancora di là da venire. E se anche la pandemia del coronavirus in corso, non riuscirà a scavare nel profondo della nostra razionalità e della nostra coscienza, ogni studio, ogni ricerca, ogni relazione, ogni suggerimento e ogni proposta saranno soltanto la fine del vocabolario. www.greencrossitalia.org/...


ANIMALI MARINI


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

A forza di sterminare animali, si capì che anche sopprimere l’uomo non richiedeva un grande sforzo.

Erasmo da Rotterdam

Le Nazioni Unite, al vertice di Rio de Janeiro, nel 1992, hanno istituito la Giornata Mondiale degli Oceani che, soltanto dal 2009 è stata riconosciuta e quindi celebrata l’8 giugno di ogni anno.

Nel 2014, a Quito, l’ONU con la CMS, la Convenzione sulle specie migratrici, ha sancito il divieto di catturare i cetacei (mammiferi marini che partoriscono, allattano i propri cuccioli, li proteggono, giocano con loro…..video: www.focus.it/...) a scopi commerciali e di utilizzarli nei delfinari e oceanari che, essendo strutture di cattività, sono inadatti alle esigenze della specie. Il provvedimento prevede che i 120 Paesi membri modifichino la loro legislazione per vietare la cattura in natura e bloccare le importazioni dei cetacei per gli spettacoli nei delfinari.

Alla Cop 13 di Gandhinagar, in India, sono state prese importanti decisioni per ridurre il declino delle specie migratorie in tutto il mondo, ma……. sempre parole e nulla di fatto. Si parla bene e si razzola male. www.lifegate.it/...

L’Unione internazionale per la conservazione della natura IUCN ha richiesto che il 30% degli oceani sia protetto entro il 2030 ma, attualmente, lo è solo il 7,6%. www.storage.googleapis.com/...

Secondo la FAO, oggi nel mondo si allevano circa 550 specie di pesce anche se quelle largamente dominanti sono 25 di cui quattro star assolute: tonni, salmoni, spigole e merluzzi. Questa scarsa varietà contribuisce a minacciare la biodiversità e a creare squilibri di vario tipo, presenta un altro problema: nella maggior parte dei casi i pesci allevati sono carnivori. Ciò trasforma l’acquacoltura in una sorta di allevamento industriale dove il mangime è costituto da pesci considerati di poco valore, allevati per nutrire quelli più pregiati, con tutte le conseguenze per l’ambiente che ne conseguono”. Il Fatto alimentare febbraio 2020.

Il 70% del pianeta è formato dagli oceani e dai mari, pertanto esiste una grandissima quantità di animali marini, così vasta che molte specie non sono ancora state scoperte e catalogate. L'aumento della temperatura dell'acqua, l'inquinamento dei mari e la pesca incessante stanno minacciando la vita marina e alcune creature si trovano in pericolo di estinzione.

Tra queste:

  • la tartaruga embricata, originaria delle regioni tropicali e subtropicali la cui popolazione, nell'ultimo secolo, è diminuita dell'80% a causa della caccia che, nonostante sia proibita, incrementa il mercato nero per il guscio molto apprezzato per fini decorativi;
  • la tartaruga liuto, la più grande e più antica delle tartarughe marine esistenti, abita nell'oceano Pacifico e dagli ultimi anni è in pericolo per la pesca incontrollata;
  • la vaquita, piccolo e timido cetaceo, unico a vivere nelle acque calde del golfo della California; di questo cetaceo attualmente restano meno di 60 esemplari e la sua veloce scomparsa si deve alla contaminazione dell'acqua e all'eccessiva pesca nelle cui reti resta impigliato;
  • il tonno rosso, proveniente dal mar Mediterraneo e dall'Atlantico orientale, è uno dei pesci più quotati sul mercato per la sua pregiata carne e lo è a tal punto che la pesca eccessiva sta sottoponendo la sua popolazione a una diminuzione di circa l'85%. Nonostante ci siano misure di sicurezza per cercare di frenarla, la pesca del tonno rosso continua in maniera smisurata e gran parte di questa è illegale;
  • la balenottera azzurra, l'animale più grande del mondo, soggiace alla pesca illegale e incontrollata; di lei viene utilizzato sia il grasso che la pelle, per realizzare saponi o candele, in alcuni Paesi viene anche consumata la sua carne; altri motivi di rischio sono la contaminazione acustica e ambientale che danneggiano l'ecosistema di queste creature;
  • il dugongo, simile al lamantino, è uno splendido mammifero che abita in acque poco profonde e attorno alla barriera corallina, ciò lo rende facile bersaglio dei cacciatori e pescatori che da secoli ne vendono la carne, i denti e producono e vendono l'olio dal grasso dell'animale; è minacciato anche dall'inquinamento che causa la scomparsa delle praterie sottomarine della cui vegetazione si alimenta;
  • il cavalluccio marino che inquinamento, pesca incontrollata, impoverimento degli habitat costieri hanno messo in pericolo. Oltretutto, in Asia il cavalluccio marino viene utilizzato per la medicina tradizionale, aspetto che espone numerose specie a rischio di estinzione;
  • ……

Varie specie di tartaruga, di balena, lo squalo pinna nera, il pesce Napoleone....e tanti altri animali della barriera corallina sono a rischio di estinzione.

La stessa barriera corallina australiana si sta sbiancando. La grande formazione che si trova di fronte alle coste nord orientali del continente ha subìto il terzo massiccio sbiancamento in cinque anni, dopo quelli del 2016 e del 2017. Ne dà notizia l'Agenzia responsabile del Parco Marino della Grande Barriera Corallina, GBRMPA.

Lo sbiancamento rende le formazioni estremamente fragili. Nel 2016, il 93% dei coralli della grande barriera corallina è stato soggetto a sbiancamento, e il 22% è poi morto.

Per evitare la distruzione di questo tesoro marino è necessario quindi, secondo Giorgia Monti, Campagna Mare di Greenpeace Italia: "dimezzare le emissioni di gas serra e tutelare le zone più sensibili dei nostri mari è l'unico modo di evitare che ecosistemi così preziosi scompaiano con gravi conseguenze anche per l'uomo". Video www.youtube.com/... - www.greenpeace.org/...

Quindi, i vari comportamenti umani, legali e illegali, sono le cause principali (sommate all'avidità, all'insensibilità dell'essere umano che toglie la vita perfino per realizzare saponi, candele, decorazioni.....), della perdita di biodiversità e cioè della sofferenza estrema e della  morte a cui condanniamo esseri viventi e senzienti, depauperiamo il nostro pianeta, praticamente ci togliamo la terra da sotto i piedi.

Nei nostri mari sono sempre più frequenti i fenomeni di morie improvvise, epidemie e la biodiversità marina viene minacciata anche dalla pesca eccessiva e indiscriminata, ovvero dall'overfishing www.nationalgeographic.com/... che ha ridotto anche del 75% le popolazioni di molte specie ittiche commerciali negli ultimi 50 anni e che mette a rischio anche specie che non servono per l'alimentazione umana come la balena - al cambiamento climatico che sta alterando rapidamente gli equilibri degli oceani - dallo spostamento di specie tropicali in aree dove prima non si trovavano - all'innalzamento del livello dei mari - all'intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi www.essereanimali.org/... - In conclusione,  gli oceani stanno diventando sempre più vuoti.

Non solo. Ogni anno nel mondo sono vendute tra le 8 e le 14 tonnellate di pesce illegale che alimentano un mercato che vale tra i 9 e i 17 miliardi di dollari. I ricercatori della Fischeries Economics Research Unit e dell’iniziativa Sea AroundUs dell’Università della British Columbia, insieme a colleghi di altri istituti hanno pubblicato su Science Advances una valutazione sulla quantità di pescato illegale in 143 Paesi. Questa pesca è concentrata, per l’85%, in Africa, Asia e America latina. Una parte della pesca illegale è praticata da flotte industriali e, non di rado, a imbarcazioni che sfuggono al normale censimento. www.ilfattoalimentare.it/...

Il mare non ha altro re all’infuori di Dio dice Dante Gabriel Rossetti, pittore e poeta. Ma oggi il mare ha l’Homo Deus.

Nel 2019 il Fish Dependence Day, la data che simboleggia l'esaurimento delle scorte di pesce, molluschi e crostacei, in Europa è caduto il 9 luglio, in Italia il 6 aprile. L’Europa infatti consuma 5,5 milioni di tonnellate di pesce ogni anno ma ne produce appena 1,2. Anche l’Italia è fortemente dipendente dall’estero, infatti importiamo più dell’82% dei prodotti ittici che consumiamo. www.fishforward.eu/...

Inventari e studi dipingono un quadro abbastanza tetro per il futuro dei mari. Ma non è ancora troppo tardi per ritrasformare i nostri oceani in habitat puliti e ricchi di risorse. Il WWF richiama all'ordine governi e aziende affinché siano emanate e rispettate normative riguardanti lo smaltimento di rifiuti e sostanze chimiche. Il WWF si impegna inoltre per promuovere la creazione di ulteriori e più estese aree marine protette, nelle quali la pesca venga sottoposta a controlli severi e le trivellazioni, come quelle petrolifere, siano vietate www.wwf.ch/...

A inquinare le acque e  mettere a rischio la biodiversità sono anche i pescatori che perdono le reti in mare aperto o semplicemente gettano dalle barche quelle rotte. In esse rimangono imprigionati tartarughe, uccelli, balene, delfini e altri mammiferi marini che soffocano fra atroci sofferenze. Solamente nel Mar Baltico finiscono ogni anno fino a 10.000 pezzi di reti di origine sconosciuta.

Le reti da pesca in nylon abbandonate in mare e trasportati dalle correnti o ai fili vaganti possono anche produrre imitazioni al volo e al movimento portando gli uccelli a morire per annegamento o per inedia.

In Italia, Marevivo che si batte per la difesa del mare,  ha battezzato la sua operazione: "Reti fantasma", per recuperare le reti abbandonate o perse accidentalmente nelle aree marine protette che riempiono i fondali e costituiscono una minaccia per l'ecosistema www.marevivo.it/...

Perfino il Papa in occasione della Giornata del Creato ha diffuso un video per la salvezza degli oceani www.marevivo.it/news/...

Da Gennaio a Marzo, sulla costa occidentale della Francia, una media di 6.000 delfini vengono uccisi ogni anno da grandi pescherecci a strascico e da pescherecci accoppiati (con reti posizionate tra le due imbarcazioni). Quella cifra può arrivare a 10.000 esemplari, secondo il Pelagis Observatory con sede a La Rochelle, ed è più del totale dei delfini massacrati nelle isole danesi delle Faroe e nella baia di Taiji (Giappone) messi insieme www.seashepherd.it/... come denuncia Sea Shepherd che insieme al WWF fanno proprie le stime degli studiosi ovvero che tra non più di 30, forse 40 anni, mari e oceani potrebbero essere popolati da più plastica che pesce. Queste stime lasciano ben poche speranze alla fauna marina che, nonostante i ripetuti allarmi, continua ad essere depredata senza ritegno.

Le reti a strascico sono dei muri di rete che galleggiano nell'oceano, lunghe 1500 metri e profonde fino a 30 metri. Queste enormi reti uccidono "accidentalmente" ovvero bycatch, un numero di animali molto maggiore di quelli catturati appositamente: per ogni animale pescato per essere venduto ne vengono uccisi almeno altri sette. Si tratta di altri pesci, delfini, balene, otarie, squali, razze, uccelli acquatici che restano intrappolati e mentre cercano disperatamente di liberarsi vengono bastonati, appesi, accoltellati, tagliati a pezzi ancora vivi o lasciati morire soffocati - video www.agireora.org/...

A prescindere dalla malvagità che non ha commenti se non il senso di ripugnanza verso chi la compie, il problema è ormai  riconosciuto da tutti: la pesca eccessiva e sregolata sta portando gli oceani a essere sempre più vuoti. I pesci stanno diminuendo a un ritmo preoccupante e gli Stati devono trovare al più presto una soluzione per porre rimedio a questa emergenza, ma invece di vietare i finanziamenti statali destinati alla pesca intensiva tali finanziamenti continuano ad essere erogati e, anzi, aumentano. www.essereanimali.org/...

Infatti, ogni anno i governi indirizzano 35 miliardi di dollari alle attività collegate alla pesca: ben due terzi riservati a quella intensiva, un’attività indiscriminata che sta impattando in modo devastante sugli ecosistemi degli oceani, creando quell’impoverimento nelle popolazioni di pesci che pare non arrestarsi.

Le nazioni sono d’accordo nel contrastare questo grave pericolo e si spera che riescano a trovare un accordo internazionale per vietare, o quantomeno limitare, i sussidi statali destinati al depauperamento dei mari.

Il Won, ovvero la rete di World Ocean Network si impone la divulgazione, l'educazione e la ricerca scientifica sulle tematiche legate al mare.


ANIMALI TERRESTRI


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

L’amore per l’uomo non esclude quello per gli animali, e viceversa,
perché l’amore non è mai fonte di separazione né di giudizio. Chi ama, ama e basta.
Chi ama e separa, non ha mai iniziato a farlo.

Susanna Tamaro

Oggi, meno del 25% della superficie terrestre è ancora in condizioni naturali e i l 70% delle terre vergini rimaste è distribuito solo tra cinque Paesi (esclusa l’Antartide): Australia, Stati Uniti, Brasile, Russia e Canada.

Secondo Luigi Boitani, biologo e professore ordinario di Zoologia all’Università la Sapienza di Roma, intervistato i 23 marzo 2020 da Lorenzo Guadagnucci per La Nazione: “il rapporto fra insediamenti umani e animali è totalmente squilibrato. Abbiamo invaso i loro spazi in modo micidiale”. Anche se con il coronavirus in corso, molti animali selvatici si affacciano in città www.youtube.com/... - www.youtube.com/...

Tra gli animali terrestri tanti sono quelli a rischio o, se non più a rischio perché per loro si è promossa una specifica campagna per proteggerli, inseriti nella categoria dei vulnerabili.

Nessuno conosce il numero esatto di specie che si estinguono ogni anno, ma secondo il WWF, oggi è minacciata quasi la metà delle specie di mammiferi e quasi un quarto delle specie di uccelli, che subiscono l’impatto negativo dovuto ai cambiamenti climatici. www.wwf.it/futuro...

Il WWF con il suo Living Planet Report 2018 www.cloudfront.net/... ha stabilito che in meno di 50 anni, dal 1970 al 2014, è stato spazzato via il 60% della fauna selvatica.

L’Earth Hour (Ora della Terra), inaugurata nel 2007, è la grande mobilitazione globale del WWF che, partendo dal gesto simbolico di spegnere le luci per un’ora, unisce cittadini, istituzioni e imprese in una comune volontà di dare al mondo un futuro sostenibile e vincere la sfida del cambiamento climatico. È la dimostrazione che insieme si può fare una grande differenza. www.oradellaterra.org/...

Considerando che la specie Homo sapiens annovera 7 miliardi di individui, non può che gelarci l’incredibile misero numero delle altre specie animali.
Alcuni degli animali terrestri a rischio:

  • La tigre, il più grande tra i felini, immagine di bellezza e di potenza, sta scomparendo. Erano in centomila agli inizi del XX secolo mentre oggi, ne sopravvivono poco meno di 4.000 esemplari: un bilancio amaro quello stilato per la  Giornata Mondiale in cui si sono moltiplicate le iniziative per proteggerla. Il cambiamento climatico ne ha fortemente modificato l'habitat e la riserva di cibo disponibile. Dal 2010 nel mondo, il 29 luglio si celebra il Tiger Day www.wwf.it/...  con l’obiettivo di raddoppiare i numero di tigri rimaste in natura entro il 2022 e impedire che vengano ancora cacciate per le loro pelli, denti, ossa e altre parti del loro corpo che il mercato illegale sfrutta con la complicità di trafficanti e funzionari corrotti. Ma anche dei compratori. www.ilmessaggero.it/...
  • Il barbagianni (Tyto alba) un rapace che non immagazzina molto grasso in vista dell’inverno e non possiede piume impermeabili, quindi, quando piove, non può cacciare in modo efficiente e si adatta molto meglio a climi caldi e asciutti. Nonostante ciò David Ramsden, capo del Barn Owl Trust, l’associazione che tutela i rapaci notturni più conosciuta ed efficiente al mondo, con uno studio condotto nel regno Unito, mostra come le popolazioni inglesi di questa specie stanno avendo seri problemi dall’aumento delle temperature e dai fenomeni meteorologici estremi nelle differenti stagioni. In estate, ondate di caldo, siccità prolungata, incendi, piogge intense e inondazioni, possono minacciare la sopravvivenza dei barbagianni, così come le lunghe gelate invernali. www.deabyday.tv/...
  • L’elefante africano di foresta che “combatte” il riscaldamento globale ma, a causa del bracconaggio “contribuisce” invece all’aumento delle temperature. Lo spiega lo scienziato italiano Fabio Berzaghi con una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Geoscience che ha rivelato un fattore finora non considerato nella già drammatica situazione. Questi erbivori calpestano quasi esclusivamente alberi di altezza inferiore ai 30 centimetri e preferiscono mangiare piante a crescita rapida. Così facendo lasciano spazio per crescere ad arbusti più grandi, in grado di immagazzinare maggiori quantità di anidride carbonica che, in questo modo, non viene rilasciata nell’ambiente aggravando i cambiamenti climatici. Nel 1910 gli elefanti erano 28 milioni, nel 2016 solo 350.000. www.video.tvzap.kataweb.it/...
  • L’orso polare minacciato per le superfici ghiacciate ridotte che rendono pericolosi gli spostamenti. Per la grande difficoltà a reperire il cibo che lo costringe a lunghi mesi di digiuno e scarso accumulo di grasso, necessario per la sopravvivenza. Inoltre i conflitti con l'uomo e la mortalità dei cuccioli. Orsi denutriti e meno sani hanno un tasso di riproduzione più basso, e nelle femmine si riduce la capacità di dare il giusto nutrimento ai cuccioli. www.lastampa.it/.... Gli scienziati, infatti, hanno scoperto che spesso i cuccioli non sopravvivono alle difficoltà del clima artico sia per la mancanza di cibo sia perchè le madri che li allattano non hanno immagazzinato abbastanza grasso e sono denutrite. www.wwf.it/...
  • L’orso bruno marsicano è una sottospecie unica, presente solo nel nostro Paese e solo nella zona del Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. Eppure sono solo 50 gli individui presenti in natura.
  • Il lupo che nel nostro Paese ha rischiato un’estinzione certa negli anni ’70. Allora erano circa un centinaio i lupi in Italia. Oggi la popolazione del lupo in Italia conta circa 1600 esemplari, distribuiti principalmente nella zona appenninica, ma, il lupo non può ancora considerarsi fuori pericolo. Così è anche in altri Paesi del mondo. Contro il lupo si è scatenato un clima di odio, una vera e propria guerra fatta di lacci, trappole, bocconi avvelenati e piombo dei fucili e che si alimenta con la disinformazione di chi crede che la convivenza uomo lupo sia impossibile.  Una guerra che porterà alla completa e totale estinzione del lupo, se non agiamo immediatamente.  Eppure è dal lupo che ha avuto origine il nostro più fedele amico, il cane. L’ONU dal 2014 celebra la Giornata della fauna selvatica!!!!???? www.wwf.it/lupo/
  • Il rinoceronte di Sumatra è uno degli animali più a rischio: ne rimangono meno di 250 esemplari, la sua sopravvivenza è legata a quella del suo habitat: le foreste tropicali.
  • La lucertola delle Eolie, come tanti rettili, rischia di scomparire: sopravvivono meno di mille esemplari solo su alcuni scogli di queste isole.
  • Il pangolino cinese (calato del 90% dal 1960), che viene cacciato illegalmente per la sua carne e, soprattutto, per le sue scaglie, molto richieste sul mercato asiatico. Nel novembre del 2017, scrive il Wwf, in Cina è stato sequestrato un carico di scaglie di questo piccolo mammifero, destinato al mercato nero, pari a 12 tonnellate, che sarebbero costate la vita a circa 20-30 mila esemplari. www.lifegate.it/...
  • Il bradipo pigmeo che è stato scoperto solo nel 2001 e vive unicamente con alcune centinaia di esemplari nello stato di Panama. La sua dimora sono le foreste di mangrovia e il rischio di estinzione sarebbe direttamente collegato alla distruzione dell'habitat.
  • L’orso bruno del Trentino, protetto dal 1939. In passato era presente su tutto l’arco alpino ma la caccia spietata e, in misura minore, la graduale perdita di habitat, ne hanno causato una drastica e rapida riduzione numerica e distributiva. Attualmente sono poche decine gli esemplari. Nonostante questo e nonostante il finanziamento dell’Unione Europea che, nel 1996, ha dato avvio a un progetto, Life Ursus, finalizzato alla ricostituzione di un nucleo vitale di orsi nelle Alpi Centrali questa specie è ancora perseguitata come l’orso M49 che, uscito dal letargo, ha già collezionato decine di intrepidi cacciatori che con il fucile spianato sono pronti a eliminarlo. Ma perché i finanziamenti? Perché la protezione? Contraddizioni alimentate dal senso inconsistente delle leggi e dalla totale mancanza di controlli. www.ilfattoquotidiano.it/...
  • Il giaguaro, un animale emblematico che popolava vaste aree del centro e del sud America, rischia di scomparire. Si stima che nella regione Argentina del Gran Chaco ne rimangano meno di 20. Per salvarli Greenpeace Argentina rappresentata da un gruppo di avvocati sta chiedendo alla Corte Suprema del Paese di riconoscere i “diritti legali del giaguaro”. www.wwf.it/giaguaro/
  • Le rondini.  Da più di duemila anni le rondini sono nel nostro cuore. Le rondini fanno parte della nostra cultura e del nostro immaginario comune. Infatti non c'è una sola cultura del Mediterraneo che non abbia, in qualche modo, adorato la rondine dedicandole miti, poesie, leggende, fiabe e persino capolavori d'arte sacra. Eppure le rondini sono una specie in declino. La rondine si trova in uno stato di conservazione definito "cattivo" e il balestruccio "inadeguato". In Italia dal 2000 al 2014 la rondine è diminuita del 30% e lo stesso trend negativo ha interessato il balestruccio (dati 2000-2010). Nonostante in Europa siano protette dalla Convenzione di Berna, le rondini e i balestrucci sono in pericolo, non trovano siti per nidificare poiché gli edifici moderni non sono adatti, i vecchi nidi vengono distrutti, restano infilzate negli aghi metallici dei dissuasori per i piccioni, i pesticidi in agricoltura uccidono gli insetti di cui si nutrono. www.2017.gonews.it/...
  • I passeri (passera europea e passera d’Italia), le cui popolazioni, in media negli ultimi 10 anni, si sono dimezzate, sfrattati dal consumo di suolo ad uso urbano. Da uccellino presente praticamente in tutte le città d’Europa e del mondo, il passero è in pratica diventato una specie minacciata. Le cause di questa decimazione sono molte e variano da luogo a luogo ma, naturalmente, sono tutte dovute all’intervento dell’uomo.
  • ……………

E poi, tanti altri come il koala, il gorilla di montagna, l’orango, il leopardo dell’Amur, il panda gigante, lo scoiattolo rosso, la giraffa, l’allodola. ..…ecc. ecc. vulnerabili o a rischio di estinzione a causa, soprattutto, del disboscamento e la conversione dei terreni per l’agricoltura ma anche della caccia indiscriminata. www.assets.wwfit.panda.org/...


E infine gli insetti.


Sono piccoli e molti li detestano, non li conoscono né li considerano se non in senso negativo, ma in realtà sono dei giganti della natura, indispensabili alla vita. Primi indicatori della salute del mondo in cui viviamo, creature essenziali per la biodiversità, rappresentano il 75% delle specie animali del nostro pianeta. Un ruolo primario gli insetti lo hanno per l’impollinazione delle piante contribuendo al delicato equilibrio della biodiversità che fitofarmaci e prodotti chimici vari contribuiscono invece a rompere.

Si stima che a livello mondiale il valore economico dell’impollinazione degli insetti equivalga a 265 miliardi di euro l’anno. Solo in Europa sono oltre 4.000 i tipi di piante che dipendono direttamente dall’impollinazione degli insetti.

Eppure, nonostante la loro importanza nella riproduzione vegetale, gli insetti vengono usati anche nell’alimentazione e sono circa 1900 le specie cucinate in varie parti del globo.

La revisione di decine di studi fa il punto sul collasso ecologico nella classe più numerosa di questi animali terrestri: oltre il 40% di tutte le specie di insetti è a rischio di estinzione. In particolare gli impollinatori: soprattutto gli imenotteri (api, vespe, bombi….), poi i lepidotteri (farfalle, falene…), i coleotteri (coccinelle, scarabei….) e altri ancora che sono "responsabili" della buona resa del 75% dei raccolti su cui basiamo la nostra sopravvivenza. www.terraevita.edagricole.it/...

L’IPBES, Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, che a febbraio 2016 ha emesso il primo report sul declino degli insetti, parla chiaro: “Il nostro cibo dipende dagli insetti impollinatori che sono sotto minaccia”. Non solo le api ma tutte le altre 20.000 specie di insetti impollinatori dai quali dipendono il 90% dei fiori selvatici, il 75% della produzione alimentare. Gli insetti sono  a rischio estinzione per il cambiamento climatico, uso di pesticidi o biocidi (glifosato, misurol…ecc.)  che continuano ad essere usati nonostante il loro veleno, oltre che uccidere con pochissima selettività una numerosa serie di organismi utili, finisca nei terreni e quindi nelle falde acquifere e, da ultimo, nei nostri piatti e nei nostri bicchieri. www.ilfattoquotidiano.it/...

La causa principale della scomparsa degli insetti è anche l’intensificarsi dell’agricoltura industriale negli ultimi 60 anni e quindi l’attuale modello di produzione di cibo. Questo fenomeno si accompagna ad altre concause quali inquinamento, deforestazione, distruzione degli habitat naturali e seminaturali, l’espansione delle monocolture e la mancanza di diversità, l’ampio ricorso a pesticidi e fertilizzanti. In definitiva, l’agricoltura industriale è una delle principali minacce a livello globale. Ci sono poi cause biologiche, come il moltiplicarsi di patogeni e di specie invasive, indotte anche dai cambiamenti climatici www.focus.it/ambiente/...

Greenpeace chiede al Governo italiano e alla Commissione europea, di bandire l’uso di tutti i pesticidi dannosi per le api e gli altri insetti impollinatori; applicare rigidi standard per la valutazione dei rischi da pesticidi; aumentare i finanziamenti per la ricerca, lo sviluppo e l’applicazione di pratiche agricole ecologiche.

Tra gli insetti a rischio troviamo, soprattutto:

  • Le api. Sono insetti meravigliosi, possiamo imparare tanto studiando il loro modello di società perfetta, dove ogni singola ape contribuisce alla sopravvivenza dell’intera colonia, dove il superorganismo vive in armonia con ogni organo che lo compone. Per la progressiva perdita di habitat, per la continua urbanizzazione, per l’impiego di insetticidi altamente tossici, per il proliferare di parassiti e agenti patogeni oltre che per il riscaldamento globale, che mettono a serio rischio la salvaguardia di questi animali, indispensabili per il processo di impollinazione, le api stanno morendo. Negli ultimi anni hanno avuto difficoltà a trovare nettare e fiori. Per gli scienziati il loro declino è calcolato a un tasso così alto da ipotizzare che nel giro di pochi decenni si avrà la più grande crisi globale di biodiversità dall’era dei dinosauri.

Come già commentato, la sesta estinzione di massa ci attende. Sempre che non si cambi registro in fretta.

Le api la loro pandemia l’hanno avuta e l’hanno ancora, un eccidio senza eguali nella storia avvenuto nel silenzio più assordante per mano dell’uomo. Milioni di famiglie di api scomparse nell’indifferenza di un mondo troppo concentrato su interessi economici che senza alcuna visione prospettica continua ad avvelenare le campagne, prati e boschi con agrofarmaci sulla cui reale utilità dovremmo interrogarci”. Tratto dall’ ”autodichiarazione” ovvero la storia emozionante di un apicoltore (Diego Pagani, Presidente di Conapi, Consorzio Nazionale Apicoltori) che, in simbiosi con le api, riesce a provare amore per la Natura e a vedere la straordinaria bellezza nel mondo intorno.

Dave Goulson, ricercatore dell’Università del Sussex specializzato sulle api, in un’intervista su Nature sostiene che se non si prenderanno provvedimenti a breve, sarà possibile assistere al sesto evento di estinzione globale e, nonostante i moltissimi studi scientifici a riguardo, la politica, vittima delle lobby delle multinazionali, sta ancora tardando a prendere i primi seri provvedimenti.

Esiste anche un paradosso pericoloso e dalle ricadute incontrollabili: api geneticamente modificate perché tollerino pesticidi e insetticidi. Invece di eliminare questi elementi inquinanti prodotti dall’uomo, per tutelare interessi milionari, si preferisce spendere in ricerca modificando il DNA delle api affinchè resistano ai prodotti che continueranno ad avvelenare l’ambiente e l’uomo stesso. Un’assurdità degna delle più contorte menti e delle peggiori coscienze. L’allarme è stato lanciato dall’organizzazione tedesca TestBiotech (Terra Nuova novembre 2019).  

E’ forse la strada per la modificazione genetica dell’uomo?  Qualcuno già lo pensa.

Infatti, secondo Jürgen Schmidhuber, scienziato e filosofo tedesco, direttore dell'Istituto di Intelligenza Artificiale di Lugano e del Laboratorio di Robotica Cognitiva dell'Università di Monaco di Baviera, stiamo creando una nuova forma di vita, i robot dotati di una super intelligenza, capaci di provare sentimenti, si evolveranno da soli e ci trascenderanno. Andranno oltre l’umano e ci considereranno come noi ora consideriamo le formiche.

Qualcuno però ha capito.

Negli ultimi anni città come Parigi, Londra (che ha attivato varie strategia e messo a disposizione più di un miliardo di euro www.greenme.it/...) e a New York, stanno incrementando l’apicoltura urbana con alveari sui tetti di edifici storici e nei giardini pubblici. Le grandi metropoli sono così diventate ambiente protetto, lontano dai pesticidi, per questi insetti di importanza primaria.

Ma c’è un Paese, la Slovenia, che sta vincendo la sua guerra in difesa delle api. Nel 2002 il governo ha dichiarato la specie locale di ape, specie protetta. Ha diffuso gli alveari sui tetti, nei giardini e dovunque ci fossero le giuste condizioni; ha istituito corsi gratuiti per apicoltori, distribuisce gratis i farmaci, qualora necessari, e dato vita a un fondo specifico per rimborsare chi perde l’alveare a causa di una malattia; ha vietato numerosi pesticidi potenzialmente pericolosi; ha istituito squadre di ispettori per i controlli;  ha approvato una legge affinchè si coltivassero solo specie vegetali che producono nettare (castagno, girasoli, erbe aromatiche….); ha regolamentato e favorito la nascita di molti piccoli alveari nei territori, organizzato corsi in centinaia di scuole e infine promosso l’apiturismo. www.ehabitat.it/...

Il modello sloveno è ormai conosciuto in tutto il mondo, si studia e viene preso ad esempio mentre l’ONU ha istituito la Giornata mondiale delle api, fissata il 20 maggio, data di nascita di Anton Jansa, nato a Breznica vicino a Bled e considerato il fondatore della moderna apicoltura.

Purtroppo la politica pensa all’immediato, lo sguardo non va oltre i 5 anni di mandato. Il resto è lasciato al futuribile che, essendo futuribile, è un tempo che non arriva mai.

Finalmente il Parlamento europeo, a dicembre 2019, ha dichiarato che l’uso di pesticidi ha un costo ambientale enorme e minaccia il ruolo fondamentale che hanno le api e tutte le altre specie impollinatrici per la riproduzione delle piante, la protezione della biodiversità e l’agricoltura. Ci auguriamo adesso che la Commissione europea dia seguito all’European Green Deale con un impegno concreto verso un’agricoltura sostenibile e che dica addio all’uso indiscriminato di pesticidi.

È noto il detto, attribuito a Einstein, secondo cui senza le api all'uomo resterebbero soltanto quattro anni di vita.

Dovremmo ascoltare i suggerimenti delle grandi organizzazioni mondiali che si avvalgono di scienziati, studiosi, ricercatori e dati inoppugnabili e riportare a zero le liste rosse italiane. www.iucn.it/...

Cambiare stile di vita, se non è possibile farlo in una volta sola almeno procedere a passi, avanzando verso una meta di attenzione nei confronti delle risorse del nostro pianeta che non sono inesauribili e alla vita di esseri che ci accompagnano, mostrandoci la bellezza inverosimile di questa nostra, e per ora, unica Terra.


OSSERVAZIONI FINALI


Per sorridere, video: www.youtube.com/...

“Nei confronti degli animali ognuno diviene un nazista.
Per gli animali ogni giorno è Treblinka”

Isaac Bashevis Singer
Scrittore ebreo polacco - premio Nobel per la letteratura 1978

Ci viene spontaneo chiedere a chi gestisce la “cosa pubblica”, a chi governa, a chi sfrutta, a chi ignora la sofferenza, la fame, il degrado del pianeta, a tutti loro chiediamo: perché le società umane del terzo millennio, continuano a investire miliardi per le spese militari? Meglio uccidere che lasciar vivere? Perché la formula è facile: armi uguale morte.

Nel 2019 le spese militari mondiali sono state di 1917 miliardi di dollari, record storico secondo un recente studio di OPAL Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa, con una crescita del 3,6% rispetto al 2018. L’Italia, per il 2020, prevede una spesa di 26,3 miliardi di euro, il massimo registrato.  

Eppure l’Articolo 11 della nostra costituzione recita: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

L’Italia è anche il secondo maggior produttore mondiale di “armi comuni” ovvero quelle per l’utilizzo sportivo, venatorio o per difesa personale, Tuttavia le aziende di produzione e le loro associazioni di categoria non solo non forniscono dati sulle proprie vendite in Italia e all’estero ma tendono a sottostimare, fortemente, la destinazione militare e per corpi privati di sicurezza della loro produzione.

In Italia ci sono 231 fabbriche di armi comuni e ben 334 aziende sono annoverate nel registro delle imprese a produzione militare. Ce n'è invece solo una in tutta Italia che produce respiratori polmonari, per l'acquisto dei quali dipendiamo dall'estero. Quale sia oggi la priorità non occorre dirlo.

Secondo l’analisi su Global Firepower che ha calcolato l’indice della forza militare (PoweIndex) dei 208 Paesi del mondo (le potenze più temibili che dispongono dell’esercito più forte), è risultato che, nel 2020, al primo posto si trovano gli Stati Uniti d’America, al secondo la Russia, al terzo la Cina… e, “solo” al dodicesimo l’Italia. www.globalfirepower.com/...

Un Paese, l’Italia, che si è scoperto però disarmato, di fronte a un invasore che sta facendo stragi. Secondo Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo anche perché la sanità “in 10 anni è stata definanziata per 37 miliardi di euro”. La spesa sanitaria negli ultimi anni si è “ridotta dal 7% del Pil al 6,5”, mentre la spesa militare “è cresciuta dall’1,25% del 2006 all’1,43% previsto per il 2020, pari a 26 miliardi”. “Si ferma l’economia civile, ma quella incivile continua a lavorare”, è la riflessione lanciata con una lettera aperta a Governo, Parlamento e sindaci.

Difficile il disarmo? Eppure ci sono Paesi che lo hanno legalizzato da decenni. La Costa Rica, per esempio, che smantellò il proprio esercito nel 1948 dopo una violenta guerra civile. L’allora presidente José Figueres Ferrer disse: «La Costa Rica deve tornare a essere un paese con più insegnanti che soldati». Da allora la Costa Rica divenne nota per non avere più avuto conflitti interni né con altri Stati: uno dei suoi ex presidenti, Oscar Arias, ottenne inoltre il premio Nobel per la pace nel 1987.

Quindi, che speranza c’è di arrivare a definanziare le imprese distruttive (siano armi, allevamenti intensivi, deforestazione, inquinamento, abuso di prodotti chimici…….) e finanziare il contrasto al cambiamento climatico?

Se si dovessero elencare i colpevoli e loro complici per tutte le offese al pianeta (nostra madre Terra, casa comune, grande madre….) e quindi a noi umani, non serve la laurea al Massachusetts Institute of Technology (MIT), o alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, perché già li conosciamo. Ogni giorno li incontriamo. Sappiamo chi sono.

Sul banco degli imputati (secondo Manlio Masucci in un articolo su Terra Nuova nov. 2019) ci sono le grandi aziende agricole parte del sistema dell’agri-business, il sistema della grande distribuzione, associazioni di lobbisti, scienziati tutt’altro che indipendenti e giornalisti compiacenti e, infine, i politici che, continuando ad erogare sussidi ed assicurare agevolazioni fiscali ai soggetti sbagliati, garantiscono la sopravvivenza di un apparato obsoleto e fatiscente. Ma, nel piccolo, anche ognuno di noi.

L’agenda 2030 dell’ONU prevede i Sustainable development goals Sdg, cioè i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile www.aics.gov.it/... tra cui: acqua pulita,  energia pulita, città e comunità sostenibili,  la vita sulla terra, la vita sott’acqua, lotta contro il cambiamento climatico, sconfiggere la fame….. e “il mondo non può raggiungere questi obiettivi senza una svolta sostanziale nella gestione del sistema finanziario internazionale che consenta di affrontare le minacce più urgenti” ha sottolineato il vicesegretario generale Amina Mohammed.

Ci siamo disconnessi dal mondo naturale. Molti di noi sono figli di una visione egocentrica del mondo, per questo crediamo di essere il centro dell’Universo. Andiamo nella natura e deprediamo le sue risorse. Ci sentiamo autorizzati a inseminare artificialmente una mucca e a rubare il suo piccolo non appena lo dà alla luce, nonostante i suoi inequivocabili pianti di disperazione. Poi prendiamo il suo latte che sarebbe destinato al cucciolo e lo mettiamo nel caffè o nei cereali. Abbiamo paura del cambiamento personale perché pensiamo di dover sacrificare qualcosa o rinunciare a qualcosa. Ma gli esseri umani al loro meglio sono creativi e ingegnosi. Quando usiamo l’amore e la compassione come principi guida possiamo creare, sviluppare e implementare sistemi di cambiamento che fanno bene a tutti gli esseri senzienti e all’ambiente”. Joaquin Phoenix, attore, vincitore del premio Oscar 2020. Aggiungiamo che ci sentiamo autorizzati a tritare vivi, gettandoli in una macchina, i pulcini maschi che non fanno uova e costerebbe troppo allevare, oppure senza anestesia tagliamo il becco alle galline, castriamo i lattonzoli di una settimana, spezziamo loro i denti, mozziamo la coda…., quindi, al contrario dei sentimenti di amore e compassione, l’avidità per il denaro è talmente egocentrica da escludere anche il più prossimo dei prossimi dalla nostra considerazione morale.

Dalle torture antiche siamo passati allo schiavismo, al colonialismo, al razzismo, al sessismo, e poi agli allevamenti intensivi, alla vivisezione, alle torture legalizzate sugli animali. L’unica differenza con il passato è che oggi facciamo finta che l’orrore non esista poichè tutto resta nascosto, non si mostra, non se ne parla.

C’è una speciale caratteristica che rende l’Homo sapiens perfettamente umano. Non è l’intelligenza che lo rende geniale, né la fantasia che lo rende creativo, né la ragione che lo rende razionale, né la coscienza che lo rende giusto, ma la capacità di empatia. Quella capacità di mettersi nei panni dell’altro. Se tutti noi umani la utilizzassimo (cibo agli affamati, acqua agli assetati…..) il mondo sarebbe di nuovo un paradiso. Un’utopia? Forse. Ma occorre camminare verso l’utopia.

George Monbiot giornalista del Guardian esperto di questioni ambientali, www.ted.com/..., scrive che davanti alla crisi provocata dal lobbismo, dall’ineguaglianza estrema, dalla miseria e dalla ricchezza inaccettabili, la leadership mondiale è paralizzata, non sa cosa fare e coltiva ciecamente l’idea della crescita eterna malgrado questa visione del mondo porti alla devastazione del pianeta. Sempre Monbiot spiega che Kate Ranwort (economista inglese che lavora per l'Università di Oxford e l'Università di Cambridge) nel libro “Seven way to think like a 21st Century Economist” espone con chiarezza che la crescita infinita è un’eresia e che occorre una nuova visione del mondo che trascenda l’uomo economico, egoista, scelleratamente calcolatore, cieco verso le necessità degli altri viventi, umani e non umani. Spiega che occorre una nuova visione del mondo che guardi verso le necessità di tutti gli esseri.
Una società “umana”, dando a questo aggettivo il senso positivo intrinseco, ovvero magnanima, caritatevole, altruista, generosa, solidale….che non tortura, non uccide, non imprigiona gli altri esseri viventi, non affama, non degrada, i propri simili.

La nuova visione del mondo non può accettare, per esempio, che gli italiani, nelle feste di fine anno abbiano fatto regali inutili per 3,3 miliardi di euro. E, secondo i vari centri studi, siano 23 milioni gli italiani che hanno ricevuto qualcosa di cui non solo non hanno bisogno ma che non sanno neppure come e dove collocare mentre cinque su dieci ricicleranno gli oggetti ricevuti.

L’economia circolare potrebbe aiutarci.

L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti, il più a lungo possibile.

In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così si possono continuamente riutilizzare all’interno del ciclo produttivo generando ulteriore valore.

I principi dell’economia circolare contrastano con il tradizionale modello economico lineare, fondato invece sul tipico schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”. Il modello economico tradizionale dipende dalla disponibilità di grandi quantità di materiali ed energia facilmente reperibili e a basso prezzo. Ma il pianeta Terra ha dei limiti, non possiamo clonarlo. Almeno per ora. www.europarl.europa.eu/...

Secondo la rivista Forbes negli ultimi anni il PIL mondiale è aumentato ma l’82% di questo aumento è andato a finire solo nelle mani dell1% della popolazione, ovvero 2043 persone poco più o poco meno. La denuncia arriva da Oxfam, capofila di tutta una serie di organizzazioni non governative che a Davos ha presentato il nuovo Rapporto 2018 www.oxfamitalia.org/... e l’Italia non si discosta dal trend, il 20% dei paperoni italiani detiene il 66,41% della ricchezza nazionale e l’Italia si colloca al ventesimo posto per disuguaglianza dei redditi nella classifica mondiale. www.oxfamitalia.org/...

E’ veramente scoraggiante che l’Homo sapiens o, peggio, l’Homo deus di Harari, quell’uomo che crede di essere arrivato ad un supremo livello di civiltà, riesca a torturare miliardi di esseri viventi attizzando la sofferenza, come una volta attizzava il rogo che sacrificava le “streghe”, crocifiggeva e torturava, con i modi più agghiaccianti, migliaia dei suoi simili.

La cosiddetta civiltà, ci ha fatto passare da pochi martoriati a innumerevoli sacrificati, da barbarie pubblica delle strade e delle piazze, alla super barbarie privata, nei capannoni sigillati, occultati, inavvicinabili.

Se non riusciremo a capire questo non progrediremo verso quell’umanità di cui abbiamo coniato parole splendide, che chiamiamo intelligenza e non meccanismo, sensibilità e non durezza, solidarietà e non indifferenza, empatia e non egocentrismo, altruismo e non egoismo, coraggio e non vigliaccheria…..con le parole di Mark Twain: “Il fatto che l'uomo sappia distinguere il giusto dallo sbagliato prova la sua superiorità intellettuale sulle altre creature; ma il fatto che egli possa agire in modo sbagliato prova la sua inferiorità morale rispetto a qualsiasi creatura che non può farlo.”

Dobbiamo prendere il nostro pianeta in seria considerazione perché noi ne siamo parte anche se, in queste ultime centinaia di anni, la mentalità meccanicista del processo industriale ci ha portato a credere che siamo separati da esso, che ne siamo padroni e possiamo sfruttarlo. Ma questa è una bugia scientifica ed ecologica” . Vandana Shiva, scienziata ed ecologista su Informatore marzo 2018. www.reportcult.it/...

La scienza ci dice che il nostro Pianeta è avviato verso una strada senza ritorno, con un finale che appare già scritto. Le emissioni dovranno diminuire del 65% entro il 2030 ed essere totalmente azzerate entro il 2050. La soluzione esiste: abbandonare le fonti fossili, accelerare la transizione energetica verso un mondo 100% rinnovabile, diminuire (meglio azzerare) il consumo di carne, fermare la deforestazione, proteggere gli oceani”. (Greenpeace) www.storage.googleapis.com/...

Possiamo sperare che da questa pandemia di coronavirus che sta coinvolgendo oltre 100 paesi in tutto il mondo e il riscaldamento globale (che hanno un denominatore comune: la salute umana), si possa recepire un insegnamento importante, primario, essenziale: contrastare tempestivamente e a lungo termine, con tutti gli strumenti possibili, futuri rischi collegati rivedendo le tante storture, ridondanze e sprechi del sistema; programmando un nuovo sistema che tenga conto che la salute è One Health, il Pianeta è uno solo,  e solo noi possiamo tentare di rimediare (sempre che si sia in tempo) ai tanti danni arrecati alla Madre Terra e ai suoi figli (uomini, animali, piante).

Questo folle sistema basato sulla giustificazione naturale di ogni sopruso, sulla normalizzazione della violenza, sull’indifferenza verso il dolore di creature vive siano uomini o animali, sulla sopraffazione e sulla predazione. L’acqua, l’aria, i fiumi, i laghi, il mare, gli alberi, gli animali sono meraviglie che appartengono a se stessi e, virtualmente a tutti noi, e non possono essere barattati con il lurido denaro. Altrimenti l’Homo deus precipita nell’Homo stupidus stupidus stupidus, come dice il noto psichiatra Vittorino Andreoli.

Per sorridere un attimo in questo contesto di atrocità: George Bernard Shaw, il grande letterato e drammaturgo inglese divenne vegetariano a 25 anni (e visse in perfetta salute fino a 94 anni) andando contro il parere dei medici che sostenevano che sarebbe morto presto se l’avesse fatto. Molti anni dopo, quando gli chiesero perché non fosse tornato da quei medici per dimostrare loro che si erano sbagliati, rispose: “Avrei voluto farlo, ma purtroppo sono tutti morti…”

Luigi Lombardi Vallauri, filosofo ex professore ordinario di filosofia del diritto presso l'Università Cattolica di Milano e l'Università degli Studi di Firenze, www.viverevegan.org/... ha sintetizzato le principali buone ragioni per il veganismo, ovvero per l’abbandono dell’uso degli animali nella nostra vita:

  1. l’animalismo animalista: gli animali sono esseri senzienti capaci di dolore, sono soggetti di una vita;
  2. l’animalismo umanista: la violenza sugli animali disonora l’uomo;
  3. l’animalismo ambientalista: del valore, riduce la bellezza della nostra casa comune
  4. l’animalismo spirituale: in tutte le tradizioni filosofiche la crescita culturale passa attraverso un decremento della violenza;
  5. ……..

Albert Schweitzer, premio Nobel per la pace 1952, affermò che “La compassione, in cui tutta l’etica moderna deve mettere le radici, non può che raggiungere tutta la sua ampiezza e profondità, se abbraccia tutte le creature viventi e non si limita al genere umano”.

Ciò che ognuno di noi può fare.

Sono stati svolti un gran numero di studi sul cosiddetto consumo sostenibile, che hanno offerto ai consumatori un numero crescente di informazioni relative all'impatto sull'ambiente in generale, e sul clima in particolare, delle scelte personali di consumo. Molti di questi studi hanno concluso che l'impatto dei singoli individui è dovuto a tre fattori principali: il cibo, l'energia usata in casa e i trasporti, e di questi tre fattori, il cibo, ovvero ciò che il singolo decide di mangiare, rappresenta il più importante, poiché è quello che ha il maggiore impatto sull'ambiente, si trova sul più alto livello di scelta personale poiché non dipende da normative nazionali o sovranazionali, dalla disponibilità di mezzi pubblici o di fonti di energia alternativa, ecc., ma solo dalla decisione del singolo consumatore, e può essere modificato immediatamente, in quanto non occorre attendere i tempi che possono essere necessari per altre soluzioni che implicano cambiamenti nelle infrastrutture, nei beni disponibili o nella tecnologia usata. Queste conclusioni hanno contribuito a determinare un crescente interesse della comunità scientifica sull'influenza che il consumo di cibi animali può avere sull'ambiente, e diversi autori hanno indicato come la riduzione del consumo di carne debba considerarsi una necessità per contrastare i gravi effetti avversi della produzione zootecnica.

Uno studio condotto già nel 2007 e pubblicato su The Lancet ha esaminato la correlazione tra cibo, allevamenti, energia, cambiamenti climatici e salute. Secondo gli autori dello studio, la proposta avanzata porterebbe a molti effetti collaterali positivi: una dieta più sana, una migliore qualità dell'aria, una maggiore disponibilità di acqua e, inoltre, sarà possibile raggiungere una razionalizzazione nell'uso dell'energia e della produzione di cibo. www.isde.it/...

Altre soluzioni hanno proposto cambiamenti più radicali. Nel 2006 il programma di ricerca PROFETAS (Protein Foods, Environment, Technology and Society), finanziato dal Netherlands Organisation for Scientific Research, ha esplorato, attraverso un approccio multidisciplinare, la possibilità di un mutamento radicale nei modelli alimentari, concludendo che è essenziale un cambiamento che conduca da diete basate su proteine di origine animale verso diete basate su proteine di origine vegetale. Secondo i ricercatori, la situazione che si creerà nel futuro a seguito dei previsti aumenti della produzione di carne sarebbe ecologicamente molto difficile da sostenere, mentre il passaggio ad un nuovo tipo di alimentazione basata sulle proteine vegetali condurrebbe a molti vantaggi nell'uso energetico e delle risorse globali. Ad esempio, hanno osservato i ricercatori, gran parte del terreno utilizzato per la coltivazione di mangime potrebbe essere convertita nella produzione di biomassa a fini energetici, tanto da coprire un quarto dei consumi elettrici mondiali e frenando in tal modo la crescente distruzione delle foreste e, anzi, invertendo tale processo.

Alla medesima conclusione sono giunti nel 2009 i ricercatori del Royal Institute of Technology di Stoccolma in uno studio dove sono state valutate le emissioni di gas serra di diversi alimenti di uso comune per dimostrare come le scelte alimentari possano fare la differenza.

Analogamente, in un report pubblicato dall'UNEP United Nations Environment Programme nel 2010, si evidenzia come il consumo di cibi animali sia una delle principali cause di impatto ambientale, e gli autori, nelle conclusioni, affermano: “Si prevede che gli impatti dell'agricoltura aumentino in modo sostanziale a causa dell'aumento di popolazione, che comporterà un aumento del consumo di prodotti animali. A differenza dei combustibili fossili, è difficile vedere delle alternative: la gente deve mangiare. Una riduzione sostanziale degli impatti sarà possibile solamente attraverso un drastico cambiamento dell'alimentazione globale, scegliendo di allontanarsi dai prodotti animali.”

Diversi studi hanno evidenziato i vantaggi che è già possibile ottenere sul piano ambientale con l'adozione di diete vegetariane. Uno studio del 2003 condotto da ricercatori della Cornell University di New York ha costatato come “il sistema alimentare basato sul consumo di carne richiede più energia, terra e risorse idriche rispetto alla dieta latto-ovo-vegetariana”. Ad un'analoga conclusione sono giunti dei ricercatori della Loma Linda University in uno studio del 2009, dove è stato rilevato che “... la dieta non-vegetariana richiede 2,9 volte più acqua, 2,5 volte più energia primaria, 13 volte più fertilizzanti e 1,4 volte più fitofarmaci rispetto alla dieta latto-ovo-vegetariana”. www.it.wikipedia.org/...

Mai, come nella nostra epoca, sono state messe in discussione le tre fonti principali di diseguaglianza: la classe, la razza e il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini, prima nella piccola società familiare, poi nella più grande società civile e politica, è uno dei segni più certi dell'inarrestabile cammino del genere umano verso l'eguaglianza. E che dire del nuovo atteggiamento verso gli animali? Dibattiti sempre più frequenti ed estesi, riguardanti la liceità della caccia, i limiti della vivisezione, la protezione di specie animali diventate sempre più rare, il vegetarianismo, che cosa rappresentano se non avvisaglie di una possibile estensione del principio di eguaglianza al di là addirittura dei confini del genere umano, un'estensione fondata sulla consapevolezza che gli animali sono eguali a noi uomini, per lo meno nella capacità di soffrire? Si capisce che per cogliere il senso di questo grandioso movimento storico, occorre alzare la testa dalle schermaglie quotidiane e guardare più in alto e più lontano.” Norberto Bobbio, da Destra e sinistra, pp. 120-121. www.le-citazioni.it/...

Ecco un riepilogo molto chiaro, sintetico e nello stesso tempo esaustivo: www.progettoscuolevegan.weebly.com/...

Forse dovremmo considera una nuova filosofia di vita, forse dovremmo indicare come misura di valore il FIL (felicità interna lorda) come fa il Butan e non il PIL (prodotto interno lordo), forse dovremmo consumare meno per comsumare tutti, lavorare meno per lavorare tutti……

Noi ci auguriamo di essere finalmente in fondo al tunnel, speriamo di varcare il muro della specie dopo aver varcato quello delle etnie, delle razze, del sesso, delle religioni…Come se un grande movimento, dopo aver conosciuto le fasi della derisione e della discussione fosse giunto, finalmente, alla terza fase, quella dell’adozione preconizzata da Stuart Mill, filosofo ed economista.

Tra mille anni, guardandoci indietro, quasi sicuramente considereremo con orrore
e incredulità molte delle nostre credenze e pratiche attuali….
In futuro il genere umano troverà difficile credere che siano mai esistiti zoo, circhi
e allevamenti in batteria.
Ma potrei sbagliarmi. In migliaia di anni il nostro comportamento verso gli animali non è migliorato di molto. Abbiamo cominciato a cambiare atteggiamento
solo negli ultimi due o tre decenni.

Dal libro Nel regno dell’armonia di Jeffrey Moussaieff Masson
psicanalista americano e scrittore di successo


RINGRAZIAMENTI


Questa relazione si conclude con un ringraziamento a tutti quei giornalisti, quegli informatori, quei comunicatori che, fedeli all’etica dell’informazione, al codice deontologico, all’onestà intellettuale e morale, hanno ricercato la verità, trascurato ogni censura e, con coraggio, hanno:

  • affrontato argomenti difficili, da sempre occultati, per interesse,
  • mostrato la realtà/verità attraverso i giornali, la rete, la TV, le radio,
  • investigato situazioni, spesso difficili da avvicinare, restandone devastati,
  • difeso gli interessi della collettività anziché quelli privati.

Si conclude anche con un ringraziamento a tutte quelle aziende, istituzioni, organizzazioni, gruppi, individui che amano la Terra con tutti i suoi abitanti e lottano affichè torni ad essere, per i figli e i figli dei figli, quel paradiso che nelle leggende, nelle teologie, nelle tradizioni, nelle mitologie, ognuno di noi ha sognato.

GRAZIE.

Mariangela Corrieri di Gabbie Vuote ODV

Firenze maggio 2020



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