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LA CACCIA AL CINGHIALE

(La mistificazione su cui si fonda una pratica crudele)


La Corte Costituzionale ha più volte dichiarato che "l’ambiente è un valore rilevante per la comunità mentre la caccia è mera facoltà di un gruppo".
La caccia al cinghiale è il parente volgare della caccia alla volpe che gli inglesi stanno tentando di debellare.
Volgare o nobile la brutalità è sempre brutalità e non può trasformarsi in comportamento amorevole anche se i cinghialai (cacciatori di cinghiali) ce la mettono tutta per far credere di essere quello che non sono: tutori della natura.
Ma come possono pensare che i loro siti pieni di fotografie spaccone e sanguinolente, i loro comunicati farciti di arroganza e di menzogna,  riescano a trasformarli in paladini di quella natura che distruggono e violano?
Ecco qualche motivo di riflessione sulla caccia al cinghiale.

L’allenamento dei cani
Cuccioli di cinghiale (si evitano gli animali adulti perché, detto in gergo,  "spaccherebbero" i cani) vengono introdotti nei recinti affinché i cani si esercitino in quella che sarà poi la caccia vera e propria. Questi cinghialini terrorizzati cercano la fuga inutilmente. Vengono inseguiti per ore e ore fino a che soccombono impazziti di paura,  dilaniati dai morsi dei cani eccitati dal sangue e dalle grida dei cinghialai.  
Ma anche il cane, giovane e inesperto può restare ferito, anche su di lui si accanisce il cacciatore per renderlo docile e adeguato strumento.
Viene pubblicizzato su internet, senza pudore, l’uso del collare elettrico vietato dalla legge; un collare per l’addestramento rapido che provoca scosse elettriche all’animale.
La legge n. 189 del 20 luglio 2004 punisce il maltrattamento degli animali a prescindere dal contesto in cui  il maltrattamento avviene. La legge n. 157 dell’11 febbraio 1992 regola le attività legali legate alla caccia ma se entro il contesto dell’attività venatoria un soggetto maltratta o incrudelisce su animali esulando dalle regole, la nuova legge si applica anche a tale reato. Quindi perché i cinghialini azzannati, perseguitati, uccisi dovrebbero sfuggire alla protezione della legge?

La vita dei cani
Vittime come i cinghiali, i cani vivono i due aspetti del maltrattamento: quello del periodo di caccia aperta e quello del periodo di caccia chiusa.
Durante la caccia i cani (per affermazione dei cinghialai stessi) vengono frequentemente feriti e uccisi dai cinghiali. Le ferite  possono essere di vario genere: da sfondamento, con fratture composte, scomposte o esposte, lesioni ad effetto iceberg, ecc.
I cacciatori si preoccupano di suturare, incidere, allargare la ferita, di ricollocare gli  organi fuoriusciti nel proprio alveo, "pinzare" le vene e le arterie per bloccare emorragie, come fossero veterinari provetti. Naturalmente tutto questo senza anestesia e dopo aver reso "inoffensivo" il cane. D’altra parte come fare se il veterinario non è lì con loro? Per salvare il cane devono intervenire e per imparare basta consultare le informazioni di pronto soccorso che molto dettagliatamente vengono dispensate su internet da veterinari professionisti.
Ma non è questa vivisezione?
A caccia chiusa i cani vengono condannati al letargo, prigionieri di canili lager, isolati nei boschi o ai margini delle città, spesso al buio, spesso legati a catena fissa e corta, ammassati in piccoli recinti rudimentali chiusi da teli verdi e spesso coperti da lamiere di eternit, con cucce fatte con ogni genere di materiale (dal cemento al legno putrido, ai bidoni….). Vengono nutriti a tozzi di pane secco buttati sul terreno infetto, tra gli escrementi; lasciati senza acqua o con acqua putrida in fondo a un secchio. Non c’è temperatura cocente o gelida che cambi le loro condizioni. I cinghialai che vanno ogni tanto a portare l’indispensabile cibo, neppure li guardano, meno che mai li accarezzano. Sono solo strumenti, se funzionano bene, altrimenti …
Eppure questi cani sono chiamati dalla legge 281 del 14 agosto 1991 "animali d’affezione", la nuova legge 189 del 20 luglio 2004 prevedere anche il carcere in caso di maltrattamento e di detenzione non conforme alla loro etologia.

La caccia
La caccia al cinghiale è una caccia brutale che alimenta nell’essere umano sentimenti indegni. E’  anacronistica e anche pericolosa per l’uomo producendo più di 50 morti e quasi 200 feriti in un anno.
Una squadra costituita in media da 40 cacciatori ben armati (fucili sofisticati con ottiche da 12 e più ingrandimenti, tute mimetiche, cellulari, radio) con l’uso di una cinquantina di cani, si prepara alla braccata. Per cercare di eliminare ogni pericolo, vengono proposte (per esempio in Friuli) altane e protezioni alle poste, in questo modo i cacciatori, armati di tutto punto, protetti  degnamente, possono sparare dalla poltrona come veri uomini.
Una volta che i cinghialai si sono sistemati nelle poste assegnate, alcuni di loro, i canai,  seguono i cani alla ricerca delle tracce.
Individuato, inseguito, scovato e braccato il cinghiale i canai eccitati urlano nel loro primitivo gergo le informazioni agli altri cacciatori  fino a che l’animale in fuga passando davanti a una posta  viene colpito.
Succede che il cinghiale colpito non sia ancora morto e che, per risparmiare il pallettone, venga quindi sgozzato.
A fine cacciata i cinghialai si ritrovano al capanno per festeggiare l’avventura con una bella mangiata davanti agli animali sanguinanti appesi a testa in giù. Dopo i festeggiamenti e le fotografie di rito, gli animali vengono squartati e fatti a pezzi.
Citiamo, per completezza, la seconda via perseguita dai cacciatori: quella del bracconaggio. L’uso di trappole, tagliole, lacci e cavi d’acciaio, munizioni spezzate, battute in zone protette, richiami elettromagnetici, visori notturni, ecc.

Gli abbattimenti selettivi
I cacciatori (con la stessa sfacciataggine con cui si sono autodefiniti protettori della natura, cavalieri dell’ambiente) si preparano durante ogni mese dell’anno, attraverso i quotidiani di tutta Italia, ad instillare nell’opinione pubblica ma soprattutto in quella delle istituzioni, in particolare quelle provinciali, la necessità dirompente di eliminare i cinghiali.
Il motivo è sempre il solito,  sono troppi, e creano danni: devastano i raccolti, provocano incidenti automobilistici, sono causa della rottura delle attrezzature agricole, disturbo alle altre specie, di inquinamento genetico, di impoverimento dei parchi naturali; c’è addirittura chi li accusa "di mangiare gli avanzi del cibo dei cani", chi "di introdursi nei giardini privati di villette bifamiliari", chi di "assaltare i muri a secco" ecc. ecc.
Il danno all’agricoltura (che li rende alleati degli agricoltori)  è comunque il pretesto principale per continuare la caccia indiscriminata a fini commerciali, basti pensare alla enorme richiesta nei ristoranti di carne di selvaggina.
Per i cinghiali si coniano parole come: devastante presenza, allarme sociale, flagello, pericolo mortale, piaga insanabile; aggettivi in negativo come: smisurato, enorme, esorbitante, grandissimo, ingente, notevole.
C’è chi ne promuove l’eradicazione come in Veneto o a Capalbio ma tutti i cacciatori e loro associazioni ne chiedono senza sosta l’abbattimento selettivo,  per ridurne il numero, dicono.
Ma se i cacciatori uccidono i cinghiali durante tutto l’anno perché questi non diminuiscono?
Perché invece, secondo gli stessi cacciatori, aumentano, perché si diffondono anche dove pochi anni prima non c’erano, perché riescono a raggiungere isole a nuoto?

Il perché di un successo
I cacciatori dimenticano di dire che il piccolo cinghiale autoctono, meno prolifico,  del peso di circa 70 kg. è quasi completamente scomparso dall’Italia. Sterminato.
Non dicono che in Sicilia il cinghiale era storicamente assente, che nei colli Euganei, nel Conero, nel triangolo lariano, a Caprera e in altre zone il cinghiale non era presente e che ora c’è.
I cinghiali per i quali si richiedono a grandi voci gli abbattimenti selettivi in ogni periodo dell’anno, sono i cinghiali alloctoni, proveniente dai paesi dell’Europa orientale, pesanti circa 200 kg. e molto più prolifici.
Ma com’è arrivato questo cinghiale a popolare la macchia italiana? Attraverso le importazioni, introduzioni e  ripopolamenti promossi  dagli stessi cacciatori (quegli stessi cacciatori che oggi gridano alla mattanza).
Alle importazioni si aggiungono gli allevamenti, spesso abusivi,  che, soltanto in Piemonte, sono 144.
L’art. 10 comma 7 della legge sulla caccia dichiara che le Province devono predisporre piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica anche tramite la cattura di selvatici presenti in soprannumero nei parchi nazionali e regionali. Che l’INFS (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) deve accertare le compatibilità genetiche degli animali immessi.  
L’art. 19 comma 2 dichiara che le regioni per la migliore gestione del patrimonio zootecnico…
(ecc.) provvedono al controllo  delle specie di fauna selvatica esercitato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici.
Inoltre l’art. 20 comma 1 dichiara che l’introduzione dall’estero di fauna selvatica viva, purchè appartenente alle specie autoctone, può effettuarsi solo a scopo di ripopolamento e di miglioramento genetico.
Non ci sembra che uccidere sia un metodo ecologico e che l’introduzione di cinghiali alloctoni  sia  compatibile geneticamente.

Metodi seri di controllo
Per controllare e mantenere nei giusti limiti la popolazione dei cinghiali e i danni prodotti, esistono vari metodi incruenti e poco costosi: recinzioni elettrificate, sterilizzazione, foraggiamento dissuasivo, campi coltivati a perdere, recinti odorosi, reti di protezione, segnaletica stradale, dispositivi ottici riflettenti ecc. già utilizzati efficacemente in altri paesi del mondo. Ma il sistema più semplice ed efficace, fra tutti,  sarebbe quello di vietare l’allevamento, il trasporto, la vendita, ecc. di animali vivi.

Riepilogo
Coloro che gridano "al problema" sono i veri e soli responsabili del problema.
Vogliono uccidere i cinghiali per coltivare il loro hobby, alimentare i loro commerci  e per farlo hanno bisogno di cinghiali da uccidere.
Poiché gli animali autoctoni sono già stati eliminati,  devono importare animali dall’estero.
Li importano, li allevano, li immettono e così facendo non si curano né degli agricoltori (con alcuni dei quali sono in affari), né degli automobilisti, né del mantenimento dei parchi, né delle leggi; si curano soltanto  della loro sanguinaria bramosia.
I cacciatori sono una ristrettissima  minoranza ma sono sostenuti dagli armieri, dai politici ricattabili, dai ristoratori, ecc.; i cittadini per l’ambiente sono la stragrande maggioranza suffragati dalla Corte Costituzionale ma, stranamente in questo paese, una maggioranza che non ha potere.
Nel frattempo le istituzioni pagano milioni di denaro pubblico per i risarcimenti agli agricoltori danneggiati e, soprattutto,  per i ripopolamenti a scopo venatorio.

Per concludere
I mass media, esclusi quelli di parte, per lo più si prestano a fare da portavoce alle intraprendenti associazioni venatorie senza approfondire l’argomento di cui scrivono.
Vorremmo visitassero i siti internet di queste associazioni, scoprissero il loro vero linguaggio, le immagini di cui vanno fieri, il loro mondo di sangue; vorremmo che si informassero del cosa, del come e del perché.
Infine, poiché i cittadini contrari alla caccia non sono affiliati ad alcuna lobby, dovrebbero concedere loro almeno la par condicio della parola.

Dalla lettera che Tolstoj scrisse intorno al 1899 a Elena Endreevna Telesova:
"La vostra indignazione all’idea degli animali torturati e uccisi per soddisfare l’avidità umana non è sentimentalismo bensì un sentimento fra i più leciti e naturali - la compassione per gli animali è la più preziosa qualità dell’uomo e io come uomo sono tanto più felice quanto più la sviluppo in me".


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