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IL CINGHIALE

Nella trappola dell’Homo sapiens



Quando si tratta della verità e della giustizia, non c'è distinzione tra i grandi problemi e i piccoli, perché i principi generali che riguardano l'azione dell'uomo sono indivisibili.
Albert Einstein


Se uno pensa che gli animali siano piccoli problemi, eccolo smentito dalla frase di uomo di genio.
E, sempre pensando agli uomini geniali con coscienza che pure esistono anche se sono pochi rispetto ai dogmatici tradizionalisti, vogliamo confutare il giudizio di ideologia di cui spesso vengono accusati coloro che difendono ogni vita considerato che  dovremmo sapere tutti che ogni vita vuole vivere.

Purtroppo, la ricerca da parte dei mezzi di comunicazione, della notizia sensazionale, ha diffuso una falsa immagine di questo meraviglioso e intelligente suide rappresentandolo come “pericolo pubblico”.

I giornali  riportano frequentemente notizie di campi devastati o incidenti stradali  causati dai cinghiali.

Ma le domande scaturiscono spontanee:
  • il cinghiale è davvero il nemico che i media dipingono?
  • perché si è così diffuso?
  • perchè gli interventi di abbattimento non ne hanno consentito la riduzione?
  • perché arrivano in città?

In questa relazione le risposte, basate su documenti scientifici, esperienze, indagini, studi.

Chi sono i cinghiali


Sono esseri intelligenti viventi e senzienti, hanno una famiglia, sono madri, sono padri, allevano, proteggono e difendono i loro figli, cercano il cibo e un letto per dormire, un bosco tranquillo per vagare, soffrono, si lamentano, gridano se feriti, fuggono se spaventati, se perseguitati. Proprio come noi. Anche se non parlano come noi (Jeremy Bentham).

Dal libro “Il cinghiale” di Franco Nobile, 1931-2017, Libero docente in Semeiotica Chirurgica, specialista in Oncologia, onorato dal Presidente Ciampi con la medaglia d'oro al merito della Sanità Pubblica nonché cacciatore ed esperto di gestione faunistica.

“Il cinghiale attualmente presente in Italia è la risultante degli incroci della sottospecie maremmana autoctona Sus scrofa majori (di cui negli anni ’50 erano rimasti pochissimi esemplari per lo sterminio attuato dalla caccia) con i grossi, prolifici e meno timorosi dell’uomo cinghiali centro europei (importati dai cacciatori) e con (gli altrettanto prolifici e confidenti) maiali domestici Sus scrofa domesticus.”.Gli ibridi attuali si presentano con una vasta gamma di caratteristiche somatiche e comportamentali che richiamano, più o meno, le tre correnti  genetiche: maremmana, centro europea, addomesticata.

Nomade ed amante del quieto vivere, la sua presenza è incompatibile con un sovraffollamento umano. Le sue principali caratteristiche sono la socialità, la vita notturna, la predilezione per la macchia folta, l’erratismo ed  il desiderio di tranquillità.
E’ essenzialmente un nomade a meno che le modificazioni ambientali connesse con l’antropizzazione non ostacolino i suoi spostamenti. Per questo nottambulo il tempo ideale è quello piovoso che aumenta l’oscurità e la possibilità di grufolare nel terreno umido.

In ogni tempo e in ogni paese, il cinghiale è stato reputato tra gli animali selvatici più intelligenti.
Il cinghiale non teme le persone che parlano, persone inoffensive come i gitanti, cercatori di funghi o boscaioli. Se non è provocato o ferito, il cinghiale non aggredisce l’uomo.
Il coraggio del cinghiale è leggendario.
Ma per i cultori dell’ignoranza, se incontri un cinghiale rischi la vita.

In una popolazione di cinghiali geneticamente puri (quello che non sono gli attuali cinghiali), cioè non inquinati con i suini domestici, le femmine hanno una sola gravidanza l’anno, eccezionalmente due nelle annate con grande abbondanza di cibo. Alla prima gravidanza nascono uno o due piccoli, da due a quattro nella seconda, cinque o sei alle successive, con rapporto fra i sessi equilibrato.
Nei recinti di allevamento questa dinamica della popolazione viene profondamente sconvolta. Idem per eccessiva molestia venatoria (che evidentemente c’è considerate le numerose deroghe alla legge sulla caccia).

I cinghiali sono sensibili al freddo e quindi soggetti alla selezione naturale operata dai rigori invernali.
Se non interviene l’uomo, in caso di proliferazione eccessiva intervengono i noti meccanismi di autoregolamentazione (per la legge biologica della capacità portante).
Il tasso di mortalità dei porchetti è piuttosto elevato: nei primi otto mesi di vita può raggiungere il 30-40%.

L’attaccamento della madre ai figli è notevole, essa non esita ad affrontare qualsiasi avversario. I piccoli rimasti senza mamma vengono adottati dalle femmine dello stesso branco.
Alla sommità della scala gerarchica troviamo i maschi di tre anni e più, seguono le femmine anziane che si impongono generalmente ai giovani verri e le giovani madri; poi i giovani maschi ed infine i porchetti.
Il tipico branco, in un terreno libero e non disturbato continuamente dalla caccia, è formato da 3-5 femmine con la prole che ripartiscono la propria giornata riservando in media quattro ore agli spostamenti, sei all’alimentazione e quattordici ore al riposo.
Importante è il fabbisogno d’acqua del cinghiale. Oltre al bisogno di insogliarsi, quello del bere richiede la presenza di acqua potabile in quantità sufficiente.

La media annuale dei vari costituenti alimentari è rappresentata dal 45% di erbe, 26% di foglie, 14% di cereali e il 13% da alimenti di origine animale (lombrichi, insetti e lumache).
L’attrattiva maggior è esercitata dalle ghiande, dalle castagne e dalle faggiole. Ricerca molto le bacche e la frutta con la polpa zuccherina sia selvatica che coltivata. Ad esempio i frutti caduti per terra vicino ai margini del  bosco ed i vigneti intorno alle foreste.

Il cinghiale si presta ad essere addomesticato sin da piccolo, allevandolo con il biberon. Si affeziona facilmente all’uomo e con la sua intelligenza è in grado di imparare come o forse più di un animale domestico. Convive senza paura o ribellione con cani e gatti e senza prepotenze al momento del rancio.”

Luigi Boitani (Airone 1985): “I cinghiali centro europei vennero utilizzati nelle reintroduzioni per tre motivi importanti per i cacciatori: la maggiore prolificità, l’accrescimento più rapido, il peso superiore. Al contrario, la razza maremmana è costituita da animali più piccoli, a bassa natalità, adattati alla povertà ambientale della macchia mediterranea originaria, più rustici, più resistente alla sete più adatti a spostarsi nell’intrico della vegetazione”.

Oltre all’uomo i suoi nemici sono i grandi carnivori rappresentati in Italia dall’orso e dal lupo.

Habitat


Ancora dal libro di Franco Nobile.

“Il suo habitat preferito è il bosco esteso, con folto sottobosco ma gradisce anche i terreni paludosi.
Oltre alla gregarietà, il nomadismo è una delle caratteristiche etologiche più importanti del cinghiale. Anzi, per loro rappresenta una vera e propria esigenza fisica.

Dopo lo sviluppo della rete stradale con il conseguente aumento del traffico veicolare diurno e notturno e con l’apposizione delle recinzioni ai bordi delle autostrade, l’habitat di questo ungulato è stato frazionato in una serie di scompartimenti non comunicanti fra loro che hanno impedito gli spostamenti.
L’ostacolo a un comportamento innato, la cui libera espressione rappresenta un’esigenza esistenziale, crea al cinghiale uno stress traumatizzante e può avere ripercussioni negative anche su altri comportamenti. E forse è proprio in  questo ostacolo al nomadismo che si possono ravvisare le cause principali dei danni provocati dai cinghiali alle colture agricole.
L’erratismo è influenzato dalla ricerca alimentare, i cicli riproduttivi, le variazioni climatiche, la ricerca di rimesse tranquille ed il disturbo arrecato dall’uomo, specie dall’uomo cacciatore. Il cinghiale si stabilisce dove trova quiete e nutrimento.

Il sottobosco deve essere molto fitto, impenetrabile e che ripari l’animale anche superiormente.
Ben lontano dall’essere negativo l’impatto sulla flora in una foresta ben equilibrata, cioè con una giusta densità di cinghiali liberi di circolare, è anche positivo. La rigenerazione di bulbi, tuberi e radici avviene grazie alla spinta delle grufolate che permettono il loro interramento e il germoglio successivo.

Da uno studio dell’ISPRA del febbraio 2014 risulta che il 67% degli habitat sono in cattivo o inadeguato stato di conservazione e non per cause naturali e che l’Italia è al primo posto in Europa “per numero di casi pendenti o giudicati presso la Corte di Giustizia  europea e l’ambiente rappresenta l’ambito di inadempimento più frequente”.

Quando il nomadismo di questi animali è ostacolato e la densità è eccessiva la foresta può subire un grave danno. E non solo la foresta.
Se i cinghiali vanno ad alimentarsi nei campi coltivati significa che non trovano nel bosco le risorse necessarie.

Un’altra causa importante dei danni alle colture agricole é la mancanza di quiete nella foresta e l’antropizzazione. Se il bosco è troppo disturbato i cinghiali non possono continuare a cercare il cibo e allora si dirigono verso i campi coltivati.”

Diffusione


Ancora dal libro di Franco Nobile: “Negli ultimi decenni il cinghiale si è diffuso nel nostro Paese  per la quiete subentrata allo spopolamento delle campagne, le terre incolte, i boschi abbandonati, la scomparsa di predatori naturali e, soprattutto, la sua elevata prolificità proveniente dall’ibridazione con la sottospecie centro europea e i maiali domestici”.

Negli anni il numero di cacciatori interessati alle forme di caccia collettiva al cinghiale è andato aumentando anche per la riduzione numerica delle altre specie selvatiche di interesse venatorio.

Anche i limiti di carniere sono andati aumentando negli anni con l’incremento delle prede a disposizione e parallelamente sono aumentati i danni alle attività agricole, gli incidenti stradali e le presenze dei cinghiali anche nelle aree periurbane e urbane.

Per cercare di contenere il proliferare della specie sul territorio le Pubbliche Amministrazioni hanno negli anni affiancato alla consueta attività venatoria anche attività di controllo cruento con l’utilizzo di personale delle Province, guardie volontarie e cacciatori formati come “selecontrollori”. I sempre maggiori numeri degli abbattimenti non hanno tuttavia conseguito i risultati prefissati e non hanno determinato una riduzione dei danni all’agricoltura, anzi ne hanno causato l’aumento.

La caccia ha contribuito ad alterare la diffusione e la composizione delle popolazioni selvatiche, non solo a causa delle immissioni a fini venatori, ma anche attraverso effetti diretti che si possono riassumere destabilizzazione della struttura demografica (più giovani, meno adulti), stimolazione di un investimento riproduttivo precoce, aumento della poliandria, la frequenza di paternità multipla nelle cucciolate e l’aumento delle dimensioni medie delle cucciolate.


Legambiente e WWF stimano che sul territorio italiano vivano circa un milione di cinghiali (600.000 nel 2005, 900.000 nel 2010) dopo tanti anni di caccia indiscriminata.

La caccia


La caccia aumenta il numero dei cinghiali.

La Legge n.157/1992 inserisce il cinghiale tra le specie cacciabili di cui all’articolo n. 18. La caccia costituisce una concessione dello Stato e della Regione a chi è in possesso della licenza e rispetta le regole e i limiti della legge nazionale e delle leggi regionali.

Ma, nonostante la super intelligenza di noi umani come cacciatori, amministratori, politici, armieri, agricoltori, ristoratori......la guerra la vincono sempre i cinghiali. Infatti, anzichè diminuire crescono di numero: a centinaia di migliaia vengono uccisi (184.774 durante 20 mesi in Toscana per la legge n. 10/2016) ma aumentano e, come l’Araba Fenice, risorgono dalle proprie ceneri.

L’attività di controllo è prevista dall’art.19 della L.157/1992 che recita: “Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zooagroforestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica.” Tuttavia, oggi, gli abbattimenti costituiscono l’unico metodo utilizzato per contenere la presenza della specie.

L’attività di controllo poi non potrebbe essere delegata ai cacciatori in quanto tali e ben sette sentenze della Corte Costituzionale hanno sancito la tassatività dell’elenco dei soggetti autorizzati previsto dall’art. 19 della L. 157/1992. Eppure in tutta Italia questo principio viene spesso aggirato e il controllo viene affidato a cacciatori che abbiano superato un esame e definiti “selecontrollori”.

L’utilizzo di cacciatori “selecontrollori” per l’attività di contenimento della specie non ottiene i risultati di riduzione dei danni perché il cacciatore è l’unico soggetto che non ha alcun interesse ad operare per ridurre la specie sul territorio. Come dire che il controllato è controllore di se stesso.

Nel suo comunicato stampa del 13 gennaio 2023 l’ISPRA sostiene che “nel periodo 2015-2021 il prelievo del cinghiale è aumentato del 45%  e in media sono stati abbattuti circa 300.000 cinghiali all’anno (di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in interventi di controllo faunistico). Sulla base dei numeri disponibili sui cinghiali prelevati e dei parametri reperibili nella letteratura scientifica (ciò che certifica la mancanza di censimenti scientifici) ritiene plausibile una consistenza minima al 2021 di 1.500.000  animali. Inoltre il 60% dei cinghiali uccisi erano adulti e il restante cuccioli con l’uso prioritario della braccata (88% di animali uccisi).

Con quale criterio la Coldiretti dichiara che 7 toscani su 10 (70%) ritengono che i cinghiali siano troppo numerosi? Se i cacciatori, che d’altra parte non fanno censimenti scientifici, e se Luigi Boitani, uno dei massimi esperti di cinghiali dichiara che esistono solo opinioni, non è un ricatto all’informazione stabilire una cifra inesistente anche considerando che i  cacciatori in Toscana sono 50.000 contro i 7 milioni di cittadini l’80% dei quali contrario alla caccia?

E come mai nonostante la L.R. n.10/2016 in Toscana nell’arco di 20 mesi abbia portato all’uccisione di 184.774 cinghiali non ha ottenuto alcun risultato? La risposta è semplice: la caccia non risolve il problema della sovrappopolazione, al contrario, lo peggiora. All’ignorante o all’interessato sembra strano, impossibile ma dietro c’è un meccanismo biologico che risponde bene alla perplessità.

Più abbattimenti e pressione sulla popolazione adulta ci sono, più e prima i cinghiali rimanenti si riproducono e i gruppi familiari si destabilizzano: i numeri quindi aumentano anziché diminuire.

In condizioni normali sono la femmina e il maschio dominante a riprodursi e per l’età dei genitori la prole non è mai abbondante.

“Con la caccia le matrone sono le prime a morire perché fanno scappare giovani e cuccioli e lo stesso vale per i grandi maschi, dichiara il prof. Mazzatenta dell’Università di Teramo –Docente di Psicobiologia e Psicologia animale alla Facoltà di medicina veterinaria. A quel punto ciò che resta dei gruppi matriarcali, le giovani femmine che sono sorelle, occupano un territorio e contemporaneamente entrano in azione i giovani maschi liberati dal controllo del dominante. Così inizia una fase riproduttiva intensa, anche per il maggior apporto spermatico dei giovani coinvolti che moltiplica rapidamente la popolazione con figliate anche di dodici, tredici cuccioli.”

Gli scienziati lo sanno, lo scrivono ma l’informazione (istituzioni, mass media, politici) è sorda come è sordo chi non vuol sentire.

Come affermato ormai da tempo da ricercatori, studiosi, biologi, zoologi, istituti scientifici, la caccia è un meccanismo che si autoalimenta e quindi come si potrebbe conciliare l’interesse degli agricoltori con quello dei cacciatori? I primi chiedono addirittura l’eradicazione del cinghiale (e del capriolo), gli altri ne vogliono quantità elevate per soddisfare il loro condizionante piacere.

Ecco alcune osservazioni.

Silvano Toso (ex direttore dell'INFS attuale ISPRA) nelle Linee guida per la gestione del cinghiale sintetizza: "Tra le cause che hanno favorito l'espansione del cinghiale hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale le immissioni a scopo venatorio, iniziate negli anni '50".

Fino a pochi anni fa le continue immissioni, i foraggiamenti intensivi, incrementavano le popolazioni per l'interesse dei cacciatori ma la legge 28 dicembre 2015 n. 221 ha finalmente vietato all'art.7, comma 1 e 2, sia il ripopolamento di cinghiali che il loro foraggiamento.

Uno studio scientifico di ricercatori biologi francesi (capitanati dalla Biologa Sabrina Servanty) ha seguito per un periodo di 22 anni la moltiplicazione dei cinghiali in un territorio del dipartimento Haute Marne, in cui sono sottoposti ad una caccia molto intensa, confrontandola con quella di un territorio con caccia poco intensa nei Pirenei (http://pubget.com/paper/22023578).
E' risultato che la fertilità dei cinghiali è notevolmente più alta quando la caccia è intensa.
Inoltre quando la caccia è intensa la maturità sessuale viene raggiunta più presto, prima della fine del primo anno di vita. Così i cinghiali raggiungono la maturità sessuale con un peso medio inferiore quando la caccia è intensa. Invece, nei territori in cui sono presenti pochi cacciatori la moltiplicazione dei cinghiali è minore e la maturità sessuale viene raggiunta più tardi, con un peso medio più elevato” (S.Servanty et al., Journal of Animal Ecology, 2009), link: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1365-2656.2009.01579.x/abstract
Uno studio di Norbert Happ,  noto conoscitore  tedesco di cinghiali e anche cacciatore, apparso sulla rivista venatoria Wild und Hund (nr.23/2002), stabilisce che “L'aumentata riproduzione è causata dall'uomo…Relazioni sociali disordinate con estri non coordinati e moltiplicazione incontrollata sono da imputare esclusivamente all'esercizio della caccia". Ulteriori fonti: http://www.norberthapp.de/  www.abschaffung-der-jagd.de

Uno Studio del prof. Josef H. Reichholf, Direttore della Divisione Vertebrati della collezione zoologica di Monaco di Baviera e docente di Biologia e Conservazione della Natura nelle due Università di Monaco, spiega che “quando in un territorio vengono uccisi molti animali mediante la caccia, che avviene soprattutto in autunno ed in inverno, i sopravvissuti hanno un migliore apporto nutritivo. Gli animali così si rinforzano e si riproducono in primavera più presto e con maggior numero di discendenti”. Secondo lo scienziato “attraverso la caccia le specie animali che sono già rare divengono ancora più rare, e quelle che sono comuni, diventano ancora più comuni.” (Suddeutsche Zeitung – 28 gennaio – Freiheit fur Tiere n° 3 – 2009).

Un documento scientifico a cura del Dr. Massimo Tettamanti (chimico-ambientale) dal titolo Dalla caccia alla scienza-attività venatoria danni all’agricoltura e gestione degli ecosistemi, afferma, tra l’altro: “…Dal punto di vista ecologico, è poi fondamentale osservare che, data la notoria difficoltà di far riprodurre gli animali selvatici in cattività, i ripopolamenti tendono ad essere effettuati con forme simili ma non identiche a quelle naturalmente presenti in un ecosistema, la maggior parte delle quali sono il risultato di ibridazioni tra specie selvatiche e domestiche. Il ripopolamento rappresenta dunque una fonte potenziale di inquinamento del patrimonio genetico delle specie selvatiche, tanto più che gli animali liberi talvolta si accoppiano con gli animali da ripopolamento. Questo è accaduto ad esempio con il cinghiale: il cinghiale da ripopolamento è un ibrido tra il cinghiale e il maiale Large White, un animale assai più grande e prolifico del cinghiale selvatico. Per quanto queste caratteristiche possano gratificare i cacciatori, che possono contare su una preda di dimensioni eccezionali, i cinghiali da ripopolamento, con i dieci-dodici piccoli che generano in ogni cucciolata, causano danni rilevantissimi ad attività economiche anche molto pregiate, come la coltivazione dei tartufi; ovviamente questi danni vengono usati dalle lobbies venatorie per sostenere la tesi della ‘nocività’ degli animali selvatici e quindi la necessità della caccia” (fonte: http://www.gondrano.it/desert/lab/caccia/ecosist.htm).

Il prof. Sandro Lovari tra i maggiori etologi italiani, afferma: “E’ difficilissimo gestire la popolazione animale solo con la caccia che è condizionata da aspetti emotivi. Per il controllo faunistico, prima di tutto serve attivare un’efficace prevenzione”.

Il prof. Andrea Mezzatenta dell’Università di Teramo –ha studiato il problema e dice: “nelle battute di caccia in braccata le matrone sono le prime a morire perché impegnate a far scappare i cuccioli (lo stesso vale per i grandi maschi). A quel punto ciò che resta dei gruppi matriarcali sono le giovani femmine che occupano il territorio.
Contemporaneamente entrano in azione i giovani maschi liberati dal controllo del maschio anziano. Così inizia una fase riproduttiva intensa, con un maggior apporto spermatico dei giovani, che moltiplica rapidamente la popolazione (figliate fino a dodici cuccioli) e colonizza aree molto più estese. Continua affermando che: i risultati di 26 ricerche scientifiche pubblicate con peer review (revisione tra pari) confermano che lasciare i cacciatori a uccidere i cinghiali ma spesso  ibridi con il maiale è proprio quello che non si deve fare se si vuole controllare la specie. Quindi dalla ricerca scientifica arriva una critica non solo rispetto all’inutilità delle campagne di abbattimento ma anche al ruolo che gli stessi media rivestono aiutando a volte a indurre una paura irrazionale anziché leggere il problema da diversi punti di vista.

Anche il prof. Carlo Consiglio docente di zoologia presso l’Università La Sapienza, affermava ancora nel 2014: la caccia disgrega i gruppi consolidati e contribuisce ad aumentare la fertilità della specie venendo meno il meccanismo della simultaneità dell’estro nelle femmine.
Inoltre i risultati stessi di una caccia senza quartiere e la presenza dei cinghiali che incontriamo oggi nelle periferie e nelle città, dimostrano l’assurdità della caccia nel  suo accaparrarsi grottescamente il ruolo di legge biologica.

Da ricordare il devastante metodo della braccata, durante la quale mute di cani stanano gli animali dalle aree loro vocate e causa la dispersione sul territorio degli esemplari e la disgregazione dei branchi.

La braccata, così come le battute, è causa di grave danno anche per le altre specie selvatiche. I cacciatori e i “selecontrollori” abbattono solitamente gli esemplari adulti di maggiori dimensioni perché producono una maggiore quantità di carne. I piccoli e gli esemplari giovani vengono meno presi di mira perché saranno le prede dell’anno seguente. Il branco è solitamente condotto dalla femmina anziana (quella di maggiori dimensioni) che solitamente è tra le prime vittime. Essa, con messaggi ormonali, riesce a regolare quella che gli studiosi chiamano “sincronizzazione dell’estro” delle femmine giovani. Ripetiamo, la sua uccisione determina la destrutturazione del branco, la dispersione dei giovani, la formazione di nuovi branchi e l’anticipazione del periodo fertile dei soggetti giovani. Aumenta il tasso riproduttivo della specie e conseguentemente il numero degli animali. La specie sopperisce in breve tempo alle perdite.

Inoltre, la braccata è una caccia crudele. I cani usati nella braccata non sono più animali d’affezione ma strumenti usati per attaccare il cinghiale, restare vittima delle sue zanne “così taglienti che certe ferite inferte sembrano provocate dal bisturi di un chirurgo anziché dai denti di un animale” Franco Nobile.

Devianze della caccia al cinghiale


I cani dei cinghialai che a decine partecipano alla braccata sono le prime vittime della caccia al cinghiale. Durante l'attività venatoria i cani sono infatti frequenti vittime di incidenti, spesso anche molto gravi, a volte mortali. La vita media di un cane da caccia al cinghiale è assai breve, si parla di circa 6 anni.
Questo è da imputare alle numerose ferite che vengono procurate all'animale durante la battuta di caccia e alle carenti o tardive cure che gli vengono prestate.
Va poi considerato che i cani feriti (anche con lesioni ad effetto iceberg come dal rapporto dell’Università di Pisa) vengono "rattoppati" personalmente dal cacciatore (sono rivelatrici le istruzioni di pronto soccorso suggerite dal web) come, in caso di sfondamento del torace: "reinserire con delicatezza all'interno i lobi polmonari che si riconoscono perchè di colore rosa, possibilmente utilizzando dei guanti di lattice...", oppure “in caso di rottura della milza per controllare l'emorragia annodare lacci o fili alla base dell'organo”.

Molti animali vecchi, inabili, incapaci, sventrati o mutilati vengono sommariamente soppressi con una fucilata per risparmiare le spese del veterinario.

Ma i cani non sono animali d’affezione particolarmente protetti dalla legge quadro 281/91 e dalle rispettive leggi regionali?

Il bracconaggio www.legambiente.it/... esercitato dall'80% dei cacciatori. Per i pochi procedimenti avviati i bracconieri risultano assolti in primo grado di giudizio per il 60%  senza alcuna sanzione penale, e i restanti procedimenti terminano con l’oblazione, con la non procedibilità per la tenuità del fatto o con prescrizioni. Si tratta di un fenomeno omertoso. I casi di condanna sono in numero irrisorio e in nessun caso l’autorità pubblica si è costituita parte civile. Il maggior numero di episodi illegali resta impunito concedendo ai bracconieri un campo d’azione sostanzialmente incontrollato.
Legambiente Report 2022 https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/tutela-fauna-selvatica-e-bracconaggio-in-italia_2022.pdf - “Nella Penisola la legge destina oltre 19 milioni di ettari alla caccia programmata e altri 4 milioni di ettari alla caccia privata, lasciando solo poco più di 3 milioni di ettari alla tutela della fauna. Allarmante la piaga del bracconaggio che rappresenta solo la punta dell’iceberg. Dall’anno 2009 al 2020, anni a cui si riferiscono i dati analizzati ricevuti dalle Forze di Polizia hanno accertato, per difetto, oltre 35.500 illeciti, ben 2.960 ogni anno, con una media di quasi 250 illeciti riscontrati ogni mese, che hanno portato alla denuncia di oltre 21.600 persone, poco più di 1.800 ogni anno, più di 150 ogni mese, con oltre 21.900 sequestri, oltre 1.800 ogni anno, circa 150 al mese, e all’arresto di 175 persone, 15 ogni anno, ogni mese”.

Il piombo, che secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è il peggior veleno e che, la Conferenza di Quito del novembre 2015 ne imponeva quindi l’eliminazione dalle cartucce (come è già avvenuto per la benzina, i giocattoli, le lattine, le vernici, ecc.), continua a riversarsi sul terreno, nei corpi degli animali e quindi anche in quelli umani.
L’eliminazione doveva avvenire gradualmente nel corso dei successivi tre anni (poi prorogata al 2018) indipendentemente dall’ambiente in cui viene praticata la caccia.
Le regioni non ritengono di vietare l'utilizzo di munizionamento al piombo per la caccia agli ungulati, perché costerebbe troppo ai cacciatori cambiare il fucile ad anima liscia con quello ad anima rigata e quindi il suggerimento dell'ISPRA diventa inaccettabile.

Le vittime umane, intorno a cento, tra morti e feriti, che vengono collezionate ad ogni stagione venatoria e considerate dai cacciatori e loro adepti, semplici effetti collaterali.
Bambini uccisi, feriti, traumatizzati da pallini che li hanno sfiorati, dal vedere ammazzati a pochi metri da casa i loro amici (centinaia di animali domestici protetti per legge), dal non poter giocare serenamente sulle loro altalene con la paura che possa arrivare un cacciatore. Pallini che arrivano dentro le case https://www.vittimedellacaccia.org/c-s-avc-90-vittime-umane-chiude-la-stagione-venatoria-2021-2022/

Mentre si è istituito il reato di omicidio stradale dal 1992, quello di omicidio venatorio dorme sonni tranquilli.

Il sacrosanto concetto della legge uguale per tutti, non vale per i cacciatori in quanto, grazie all'articolo 842 del C.C. del 1942 di epoca fascista, i cacciatori possono entrare nella proprietà privata.  Allora insieme a Orwell ci domandiamo: perché tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge ma i cacciatori sono più uguali degli altri?

Allevamento e vendita


Nonostante la legge 221/2015 che proibisce ripopolamenti e foraggiamenti, basta andare su internet per confermare quanto sia facile allevare e vendere cinghiali.


E’ possibile allevare cinghiali per venderli e ammazzarli, ovvero come gesto di egoismo e crudeltà, ma non è possibile adottare un cinghialino trovato e salvato, ovvero come gesto di soccorso e amore.

Filiera alimentare


L’animale abbattuto durante l’esercizio venatorio appartiene a colui che l’ha cacciato secondo il comma 6 dell’art. 12 della legge sulla caccia  157/92.

La legge 248/2005 all’art. 11 quaterdecies non parla di filiera alimentare (con quanto ne consegue: mattatoi, centri di sosta, corsi per cacciatori formati....) ma soltanto di caccia di selezione consentita al di fuori del classico periodo venatorio: “comma 5. Le regioni e le province autonome, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica o, se istituiti, degli istituti regionali, possono, sulla base di adeguati piani di abbattimento selettivi, distinti per sesso e classi di età, regolamentare il prelievo di selezione degli ungulati appartenenti alle specie cacciabili anche al di fuori dei periodi e degli orari di cui alla legge n. 157 del 1992».

Partendo dai sindaci per arrivare agli assessori regionali, non c’è nessuno che ascolti la scienza forse perché la vera finalità è in realtà quella di trasformare il cinghiale in una fonte di reddito, creando una filiera che parta dalle battute di caccia o di contenimento e arrivi alle macellerie?

Ma sappiamo come le leggi in Italia, nonostante il glorioso motto LEGGE E ORDINE, siano qualcosa di impossibile da rispettare e per chi contravviene e per chi controlla. E se sono le istituzioni le prime a violarle, com’è possibile che i comuni cittadini rinuncino a seguirne l’esempio?

Per avallare la filiera alimentare, non basta la caccia, la vendita di animali vivi, ma va bene anche la vendita di animali morti, ovvero la vendita di carne di cinghiale. Ecco alcuni siti da consultare on line:
https://www.lecarnidelbosco.it/ “Il nostro obiettivo è mettere a disposizione della nostra clientela, che va dal consumatore finale, alla ristorazione e alle attività commerciali, tutta l’esperienza che l’Azienda riesce a esprimere in termini di altissima qualità di prodotto e di lavorazione. Le nostre gustosissime carni provengono solo da territori boschivi italiani controllati e sono disponibili in tutti i periodi dell’anno. Surgelate con abbattitori di calore e confezionate sottovuoto, conservano inalterati i loro genuini sapori”.

Gli ungulati, cinghiali in primis ma anche caprioli, cervi e daini, vengono uccisi a fucilate o catturati con lacci o trappole e, senza alcun controllo sanitario, macellati e venduti ad agriturismi e trattorie di tutta la penisola.

Ogni anno alcune centinaia di migliaia di animali vengono uccisi per alimentare questo circuito, per un giro di affari che oscilla tra i 70 e i 100 milioni di euro.

Quindi un affare nascosto ma non troppo che rinnega sia l’esercizio della caccia regolata dalla legge 157/92, sia il divieto di commercio di fauna selvatica.

Incidenti stradali e rimedi


Gli incidenti stradali con gli animali sono tanto reclamizzati dall’informazione con lo scopo di attrarre i lettori e gli ascoltatori ma, in realtà, terrorizzandoli.

Gli incidenti di caccia fanno centinaia di morti e feriti nel corso degli anni di attività venatoria  ma non si pensa a emettere una legge per condannare l’omicidio venatorio come si è fatto con l’omicidio stradale.

“Gli incidenti stradali si verificano principalmente sulle strade vicine al zone interessate dalla caccia e per nulla o quasi nulla su quelle che toccano le oasi, (chiarisce il prof. Mazzatenta) e il tema può essere affrontato con un sistema a basso costo di sensori e avvisatori luminosi e acustici. Scattano al passaggio degli animali e mentre il segnale luminoso avvisa gli automobilisti, quello acustico allontana gli ungulati. Chiaro poi che avviene una colonizzazione delle zone urbane: lì non si spara e gli animali lo sanno; ma non sono lupi mannari, e il vero problema è l’isteria popolare fomentata dai mass media. Abbiamo perso la capacità di rapportarci con la fauna selvatica.”
L’aumento degli incidenti stradali vedono coinvolti il cinghiale durante la stagione venatoria autunnale a causa degli spostamenti causati dalla caccia e, soprattutto, dai cani.

La presenza del cinghiale nelle aree periurbane e urbane è dovuto agli spostamenti e al nomadismo indotto dalla caccia oltre che dalla presenza di fonti trofiche (rifiuti di residui alimentari) abbandonati lungo le strade.

La mancanza di opportuna segnaletica stradale che avvisi del pericolo di attraversamento da parte della fauna selvatica, la mancata imposizione di opportuni limiti di velocità per i veicoli, la mancata manutenzione delle recinzioni delle autostrade e delle arterie di veloce scorrimento possono determinare la responsabilità dell’ente o della società che gestisce la strada.

Siamo invasi dai rifiuti, ne parlano i telegiornali, ne parlano i giornali ne parlano i cittadini. L’odore dei rifiuti in strada può attirare i cinghiali.
Secondo l’indagine di Legambiente, Park litter 2022, dal 30 settembre al 2 ottobre, in 56 parchi distribuiti in 28 città italiane sono stati raccolti dai volontari, quasi 32.000 rifiuti circa 5 rifiuti per ogni metro quadrato.
Purtroppo le responsabilità della specie umana vengono riversate sugli animali da un giornalismo dozzinale e irresponsabile che alimenta l’ignoranza e con questa il terrore assurdo.
La D.ssa Elisa Baioni – Master in Comunicazione della Scienza ‘Franco Prattico” Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste – nel corso del Convegno on line di Torino ha affrontato i diversi aspetti del modo in cui i media presentano al pubblico la questione cinghiale.
In due macro categorie, “Presentare il problema” e “Affrontare il problema”, la D.ssa Baioni ha analizzato le storture della odierna comunicazione che di fatto non affronta gli aspetti etici legati al rapporto con la specie selvatica e nemmeno presenta in modo adeguato i risultati scientifici. Le esigenze di enfatizzazione degli eventi al fine di favorire l’attenzione del lettore riduce a percentuali irrilevanti le informazioni scientifiche sul tema
Con la dispersione dei cinghiali causata dalla caccia e dalle attività di controllo aumentano gli attraversamenti stradali e gli incidenti, mentre cresce la colonizzazione delle aree periurbane e urbane. A tutto questo si aggiunge la militarizzazione del territorio, il pericolo anche per gli esseri umani a causa delle armi a grande gittata utilizzate, il disturbo per le altre specie animali.

L’utilizzo dei cani disperde gli animali, incrementa il pericolo di incidenti stradali, determina una destrutturazione delle popolazioni, la creazione di nuovi branchi e la colonizzazione di nuove aree con aumento e non diminuzione dei danni. E’ una opzione a costo zero.

Le vie di comunicazione contribuiscono alla frammentazione del territorio e registrano un numero di incidenti che vedono coinvolte e vittime le specie selvatiche. Oltre ai danni materiali dei mezzi coinvolti non sono rari gli incidenti con feriti o morti umani.

In Europa ci può insegnare molto il Belgio che negli anni ha realizzato ben 66 ecodotti che consentono agli animali l’attraversamento in sicurezza delle vie di comunicazione e la drastica riduzione degli incidenti stradali. Le strade a scorrimento veloce dovrebbero essere realizzate in modo da non consentire alla fauna di guadagnare l’asfalto e nello stesso tempo garantire modalità di attraversamento sicuro per gli animali.

Il Piano Faunistico Venatorio dell’Emilia Romagna prevede, lungo le strade più a rischio di collisioni con la fauna, la sistemazione di sensori luminosi e dissuasori acustici che allertano animali e automobilisti del reciproco avvicinarsi, al fine di aumentare la sicurezza sulle strade. I sensori già sono stati sperimentati dal 2014 nelle province di Rimini, Modena, Reggio Emilia, Piacenza con incoraggianti risultati. Sulle SS.PP: n.23 e n.12 del Reggiano si è assai ridotto il numero di incidenti gravi.

Quindi, per quanto riguarda gli incidenti stradali di cui si sottolinea la frequenza e la gravità, sarebbe giusto parlare con dati alla mano e non con le solite opinioni profane. Sempre tanti, ma solo quando si parla di morti e feriti umani prodotti dagli animali.

Secondo l'ISTAT, l’ACI, l’ASAPS (Associazione Amici Polizia Stradale), in Italia gli incidenti stradali causati da animali e da umani, sono stati:

Incidenti da animali                                                           
  • 2019 n.164 con 16 morti e 215 feriti
  • 2020 n.157 con 15 morti e 225 feriti                  

Incidenti da umani
  • 2019 n.172.183 con 3.173 morti e 241.384 feriti
  • 2020 n.118.298 con 2.395 morti e 159.249 feriti

Invece, durante la caccia le vittime umane dei cacciatori considerate effetti collaterali, di cui mai si parla, sono state:
  • stagione venatoria 2018/2019 n.21 morti e 59 feriti
  • stagione venatoria 2019/2020 n.27 morti e 68 feriti
  • stagione venatoria 2020/2021 n.14 morti e 48 feriti

A prescindere dagli incidenti stradali prodotti dagli umani, come si può notare sono superiori i morti umani prodotti dalla caccia, non considerati “omicidi venatori”, di quelli da incidenti stradali prodotti da animali.

I morti per la caccia sono meno morti?

Danni all’agricoltura e rimedi


Con l’ordinanza n.13488 del 29 maggio 2018 la Corte di Cassazione VI Sezione Civile ha statuito che la responsabilità per i danni “debba essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attività derivino”.

Da ricordare che, recentemente, in Mugello Toscana, ben sette persone sono state rinviate a giudizio “per aver presentato con artifizi e raggiri, danni da fauna selvatica superiori a quelli effettivamente subìti dagli imprenditori agricoli richiedenti e consistente nella liquidazione di somme non conformi a tali danni”.

Le misure di prevenzione con i recinti elettrificati, laddove sono state attuate, hanno avuto effetti positivi, pur necessitando di alcune accortezze nella fase di installazione e per la manutenzione ed essendo economicamente vantaggiosi in particolare per le colture più pregiate.

Le recinzioni elettrificate funzionano bene. Ci si può affidare semplicemente alla natura dove, un grosso contributo lo stanno facendo lupi, volpi e persino poiane predando larga parte dei giovani” dice il Prof. Mazzatenta.

Ma le evidenze scientifiche  difficilmente diventano elemento sui cui basare le scelte, si preferisce riproporre anno dopo anno le stesse soluzioni anche se non producono risultati positivi.

Anche lo studio sulla tendenza degli abbattimenti e sui rimborsi dei danni nel Parco regionale del Ticino lombardo condotto dal Prof. Alberto Meriggi – docente di Etologia dell’Università di Pavia – riferito agli abbattimenti tra il 1998 e il 2018  - ha dimostrato che all’aumentare degli abbattimenti aumentano proporzionalmente anche i danni.
Le moderne tecniche di difesa delle colture attraverso le recinzioni elettriche sono in grado di impedire l’accesso degli ungulati al campo coltivato. Sono ormai tantissime le realizzazioni effettuate con successo. Certamente il posizionamento dei recinti elettrici non può effettuarsi ovunque e richiede periodica manutenzione. Se correttamente posizionate e manutenute le difese elettriche offrono garanzia di successo vicino al 100% e costi gestionali sostenibili. Il Prof. Andrea Marsan dell’Università di Genova ne ha ampiamente parlato pubblicamente.

Anche l’utilizzo di dissuasori ad ultrasuoni ha prodotto buoni risultati in molte realtà.

Inoltre hanno preso il via i primi esperimenti di sterilizzazione attraverso interventi di vaccinazione. Con D.M. Salute del 28 settembre 2022  (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n.274 del 23 novembre 2022) è stata autorizzata la sperimentazione del vaccino immunocontraccettivo GonaCon per contenere le popolazioni selvatiche di Cinghiale (Sus scrofa) e il Ministero della Salute ha istituito un fondo con una dotazione di euro 500.000 per l'anno 2022.

La sua efficacia, per quanto finora verificato, raggiunge i sei anni di contraccezione e costituisce un elemento di grande interesse per rimediare all’aumento della consistenza degli ungulati in varie zone d’Italia.

Un vaccino che anche l’ISPRA ha proposto nelle sue Linee Guida per la gestione del cinghiale, vaccino di ultima generazione sperimentato con successo, nonché le barriere olfattive, le recinzioni non abbattibili né scavalcabili e, soprattutto, sottolinea, il divieto del foraggiamento ad libitum, l’allevamento e il ripopolamento di cui alla legge già citata n.221/2015.

Intanto la Regione Piemonte stabilisce la riduzione del cinghiale con la corretta applicazione dell'art. 19 della legge sulla caccia 157/92 (metodi ecologici), il superamento dell'art. 842 C.C., il divieto di realizzare una filiera della carne di cinghiale.....ecc. in linea con un approccio culturale che rientri nello spirito dell'art.  9 della nostra Costituzione.

Da tener sempre presente che se non interviene l’uomo, le popolazioni animali si regolano secondo la legge biologica della "capacità portante". Se si avviano piani di rimboschimento e di forestazione adeguati, si seminano piccoli appezzamenti incolti all'interno del bosco, si predispongono le colture a perdere, si organizzano corridoi ecologici, la legge biologica diventerà la regolatrice della fauna selvatica.

Proposte di gestione


Anche la Coldiretti, ha proposto come rimedio efficace per affrontare il problema della sovrappopolazione, il vaccino contraccettivo GonaCon ovvero la sterilizzazione temporanea degli animali.
Coldiretti continua: “….semplificare le norme vigenti in materia di autodifesa del suolo, incentivare la pulizia e la coltivazione dei terreni incolti cercando di trovare una volta per tutte una soluzione che permetta la convivenza con i cinghiali”.

“Nella stesura del piano di gestione dovremmo sempre collocare al primo posto le esigenze biologiche ed ecologiche del cinghiale soprattutto in rapporto al suo habitat.
Non esistono censimenti ma sono necessari per stabilire quale densità di cinghiali è la più rispondente ad assicurare la più razionale gestione sia del patrimonio faunistico che agro-forestale”.

“La foresta costituisce l’habitat fondamentale degli ungulati. Predisponendo i piani di rimboschimento e di forestazione bisogna tener conto delle necessità alimentari della fauna selvatica. Non solo di queste ma anche della conservazione e/o del ripristino del sottobosco adatto al rifugio ed alla difesa dai cacciatori.
Non bisogna eccedere in viabilità per poter raggiungere qualsiasi angolo della foresta e neppure tracciare troppi viottoli stradelli frazionando la macchia in un mosaico da giardino che farà irreparabilmente allontanare i cinghiali verso zone più tranquille. In alcuni paesi europei vengono costruiti ponti sulle autostrade per consentirne l’attraversamento ai selvatici.
Soprattutto è importante seminare piccoli appezzamenti incolti all’interno del bosco, sia per evitare che i cinghiali frequentino i campi coltivati sia per assicurare una maggiore quantità di alimenti in un ambiente a loro più congeniale sia per mantenere i cinghiali su quel territorio.
Si possono proteggere gli appezzamenti coltivati con rete, filo elettrico, cannoncini ad acetilene, repellenti olfattivi”.

La strada da percorrere è allora quella che porta alla riduzione dei danni e, nel contempo, a favorire una pacifica convivenza tra specie umana e specie animali selvatiche. Mentre nazioni nordeuropee sono molto avanti nello studio di strategie alternative agli inutili abbattimenti, in Italia viviamo ancora il Medioevo.

Ma, ecco che la novella dello stento si incrina. Finalmente, qualcosa si muove nell'orizzonte immoto di chi non sa cosa sia il rispetto per ogni vita, l'ecosistema, la legge biologica, la tutela della biodiversità pronosticata dal Green new deal, dall' Agenda Onu 2030......ecc.ecc..

Come già accennato, c'è infatti una regione virtuosa, il Piemonte, che ha stipulato uno storico accordo tra il mondo scientifico dell'ambientalismo e gli agricoltori che segnerà un giro di boa nell'affrontare il problema della diffusa presenza dei cinghiali. Un accordo che premette come l'attività venatoria sia da considerarsi dannosa e inutile e stabilisce cinque punti cardine:

  1. La riduzione numerica della specie cinghiale sul territorio a livelli compatibili è obiettivo irrinunciabile a partire dalla corretta applicazione dell’art. 19 della Legge n. 157/1992, che antepone gli interventi ecologici a quelli cruenti, affidando la gestione agli enti pubblici e non ai cacciatori. La gestione del cinghiale deve essere sottratta al mondo venatorio, che non ha alcun interesse a vedere ridotta numericamente la specie e per il quale è fin troppo evidente il conflitto d’interesse. Le attività di controllo competono alle Province e alla Città Metropolitana di Torino attraverso il proprio personale e non ai cacciatori.
  2. L’agricoltore ha diritto di poter raccogliere ciò che semina. I ristori, peraltro doverosi che arrivano dalla politica, interessano poco: alle già tante difficoltà create dagli eventi atmosferici, non vi è bisogno si aggiungano le calamità create dal mondo venatorio per soddisfare i propri interessi ludici ed economici.
  3. L’attività venatoria non costituisce alcun valore aggiunto per l’agricoltura. Il cacciatore usufruisce gratuitamente dei terreni privati, coltivati e non, a spese dei proprietari e spesso è anche di ostacolo ad utilizzi turistici e culturali in grado di sviluppare economie locali ecologicamente compatibili. L’agricoltore ha il diritto di poter escludere dai propri fondi coloro che ritiene possano essergli causa di danni. Il superamento della deroga pro caccia dell’art. 842 del Codice Civile, che consente al cacciatore di poter entrare nei fondi privati contro il volere del proprietario, dovrà trovare accoglimento da parte del legislatore.
  4. NO alla realizzazione di una filiera della carne di cinghiale. L’ipotesi della realizzazione di una filiera della carne di cinghiale determinerebbe unicamente la permanenza e l’incremento dell’attuale situazione.
  5. Il futuro dell’attività agricola. Sarà nel tempo sempre più improntato a produzioni ecologicamente sostenibili, rispettose degli equilibri ambientali e del benessere degli animali nonché valorizzanti le produzioni e le eccellenze locali con il saggio decremento delle importazioni dai Paesi esteri.

Nella speranza che si ascoltino altre voci, ci auguriamo che questo bell'esempio culturale, su basi scientifiche, possa essere trasmesso e accettato in altri contesti.

Conclusione


Potenza tra le potenze, potere forte tra i poteri forti anche se con numeri deboli (circa 800.000 cacciatori in Italia) il plotone dei fucilatori sostenuto dai politici, armieri, ristoratori, industrie varie…. detta legge in Italia tant’è che la caccia, una delle ultime barbarie che la società umana si trascina dalla preistoria, persevera per volontà di coloro, pochi,  che non provano né compassione né empatia per la sofferenza altrui.

Ma siamo nel terzo millennio, andiamo a esplorare lo spazio, il futuro prospetta robot umanoidi, l’Italia ha concepito l’art.9 della Costituzione: “…..Tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali” e rientra tra i primi 12 articoli della Costituzione italiana che contengono i cosiddetti “principi fondamentali” alla base dell’ordinamento repubblicano.

Pertanto non accettiamo lo stigma di paese nel quale la legge non è uguale per tutti; non intendiamo corteggiare quel minuscolo plotone di cacciatori che fanno il bello e il brutto del territorio comune, dei boschi, della fauna e della flora, inquinano e avvelenano; non ammettiamo si concedano loro pagine di giornali per promuovere menzogne, autorizzazioni, deroghe, anticipazioni di ogni genere; tutto per consentire loro il piacere di collezionare cadaveri, umani e animali, iniquità culturali e giuridiche che la stragrande maggioranza dei cittadini rifiutano e moltissimi con il massimo disgusto.

Nonostante le parole che sventoliamo come bandiere ad ogni raduno, commemorazione, buona intenzione, siamo in realtà sprofondati nell’era che gli scienziati hanno denominato Antropocene, ovvero il periodo in cui noi e solo noi umani manovriamo la natura e tutte le sue creature: il cielo, il mare, le foreste e gli altri esseri viventi per i nostri interessi, anzi per gli interessi di pochi rispetto ai tanti marginali senza voce.

Siamo incapaci di riflettere sul fatto che siamo tutti connessi, maglie di una stessa catena, per la teoria del Caos ciò che succede a una farfalla in Giappone, scatena un uragano in Texas.

Tant'è che l'orologio dell'apocalisse, il Doomsday Clock segna 100 secondi alla mezzanotte. Ovvero alla fine.

Ma noi ci rassicuriamo pensando che siano tutte brutte favole e, come brutte favole, rispecchino solo fantasie morbose. Ma sono gli scienziati a raccontarle con tanto di dati e lunghi anni di studio. Non favolieri, maghi, stregoni o ignoranti imberbi.

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Per concludere questa breve relazione sui cinghiali, ricordiamo una storia di disamore, anzi di sadismo, concretizzatasi pochi giorni fa in provincia di Firenze. Protagonisti un cinghiale e alcuni essere umani in abiti legali, coloro che, secondo la legge dovrebbero soccorrere la fauna selvatica ferita o in difficoltà.

Un giovane cinghiale investito da un’auto che non si è fermata, è rimasto 16 ore paralizzato ma cosciente circondato da transenne, senza essere soccorso. Dopo 16 ore di agonia, abbandonato al suo destino, l’animale è stato ucciso a colpi di carabina. Ci chiediamo se sia umanità, se sia legalità, se sia compassione e non puro sadismo.

Sarà che l’autodichiaratosi Homo sapiens trasformato poi in Homo deus di Yuval Noah Harari, in Homo stupidus stupidus di Andreoli, sia diventato Homo diabolicus?

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Marzo 2023
Gabbie Vuote Odv – Firenze

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